Come amano loro stesso definirsi, i Polaris più che un gruppo, sono un progetto “aperto” che muta e si trasforma ad ogni incontro “creativo”.
L’album d’esordio vede Dario Nistri alla batteria (e voce nell’unico pezzo cantato), Robert Barrett alla chitarra ( in 5 brani), Andrew Casa Apice al minimoog, Mitch Coda al basso e Gabriel Di Maggio al sax (quasi sempre grande protagonista nei 10 brani presenti nella raccolta). L’aspetto “improvvisato” emerge sin dalle prime battute di “Lovers and giants” con il sulfureo suono del sax, il basso e poco altro ad accompagnare una “melodia” ipnotica che ci riporta (a grandi linee) ai King Crimson di “Islands” o, meglio ancora, alle performance live di quella incarnazione “cremisi” . Ancora il sax ed una ritmica ossessiva per descrivere “Cassiopea”, a cavallo tra jazz-rock e space. “Contaminata” non poco è “Dawn to dusk” tra psichedelia seventies ed intrugli “space”. Piuttosto inquietante l’ovviamente oscura “Bible black” , con il sax di Di Maggio che spadroneggia su una base sincopata di basso e batteria. Brano ostico ma intrigante. La lunga (quasi 10 minuti) “Run run run” è una cavalcata psichedelica con ancora un grande apporto del sax e una sezione ritmica ossessiva che si affievolisce solo sul finale. “Improvattack” è una magnetica nenia space rock, mentre “Lay down” flirta con le atmosfere rarefatte di un certo post-rock. Un album, dunque, di non facile presa ed di altrettanto complicata “lettura”. Malgrado ciò, credo che possa conquistare gli amanti di sonorità “alternative” ad i soliti cliché progressive e coinvolgere le menti musicali più aperte, perché il melting-pot sonoro prodotto dal progetto Polaris è certamente originale. |
Dario Nistri: batteria, voce Anno: 2016 |