Il nome Zebrahead non sarà sicuramente nuovo a chi come me, nell’estate del 2000 lo conobbe grazie ad uno spassoso video, che vedeva questi baldi giovani californiani sognare come giornata tipo quella di vivere a stretto contatto con le conigliette di Playboy, in casa del loro mentore Hugh Hefner a bordo piscina, con tanto di finale “amaro”.
Il brano in questione era “Playmate Of The Year”, che permise alla band di uscire anche dai confini americani e spopolare in tutto il globo con una miscela efficientissima e poderosa di pezzi Hardcore miscelati a ritornelli Pop/Punk con strofe Rap. Per esemplificare il tutto mantenendosi sui generis, potremmo dire che il risultato finale che porta agli Zebrahead può essere considerata come la somma dei The Dillinger Escape Plan chiusi in sala di registrazione con i Sum 41. Dopo 8 anni, un cambio di line-up e diversi dischi dall’ottimo successo in madre patria ed Inghilterra, rieccoli qui freschi come rose con questo Phoenix, che ce li ripropone tali e quali a come erano nati, con la stessa energia solare e gli stessi difetti di forma e spesso di sostanza. Nelle 16 tracce qui contenute infatti troverete senza difficoltà quello che si può trovare da sempre nel loro sound, con la spedita e aggressiva “HMP” che ben testimonia la tendenza all’Hardcore, cosi come ascoltando l’antemica e successiva “Hell Yeah!” si denota anche l’altra faccia della medaglia (cioè la più melodica). Tutto perfetto, dalla copertina alla produzione, cosi come sono “perfettamente gradevoli” le canzoni, anche nei loro episodi più banali e semplici. Il riff iniziale di “Just The Trip” pare saccheggiato dagli Iron Maiden di metà anni ’80 per esplodere in un ritornello che farebbe felice qualsiasi fan degli Hot Action Cop (band semisconosciuta da queste parti che molti amanti delle “teste di zebra” apprezzerebbero di sicuro), mentre “Mental Health” gode delle accelerazioni che hanno fatto la fortuna dei Blink 182; i Bloodhoud Gang emergono negli echi ‘80s di “The Juggernauts” con una leggera vena malinconica nel suo progredire. Scorrendo le canzoni nel lettore (ben 16 per il mercato europeo, troppe, visto l’alto numero di filter riscontrabile), funziona bene l’incipit al limite dello Ska di “Mike Dexter Is A God…”, cosi come è apprezzabile l’uso dell’ Hammond per “All For None…”. Difficile quindi trovare un voto particolarmente equilibrato per un disco che funziona molto bene nel suo complesso, nonostante tutti i brani non segnalati siano dei veri e propri riempitivi che di fatto portano ad un giudizio finale al di sotto della sufficienza. In piena estate, magari festeggiando sulla Venice Beach con qualche ragazza bionda dai seni dirompenti però, l’ottica potrebbe completamente cambiare. 55/100
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Ali Tabatabaee: Voce Anno: 2004 Sul web: |