A cinque anni di distanza dal loro ultimo album, The King of Limbs, i Radiohead tornano con quello che è probabilmente il loro miglior lavoro dai tempi di Amnesiac: A Moon Shaped Pool. Cinque anni in cui Thom Yorke e Jonny Greenwood hanno prodotto vari lavori solistici, il primo con il supergruppo “Atoms for Peace” con il quale hanno esplorato le possibili commistioni fra elettronica e rock, il secondo con varie sperimentazioni orchestrali e colonne sonore. Il ruolo di innovatori del linguaggio della popular music assunto dai Radiohead nell’immaginario collettivo rende ogni loro nuovo disco carico di aspettative e A Moon Shaped Pool non delude. Sia le componenti prettamente tecniche della scrittura e della realizzazione del lavoro sia il tentativo di saldare canzone rock e musica elettronica, nuove tendenze dell’indie rock e tradizione riescono magicamente. Il lavoro è intriso di atmosfere psichedeliche e sognanti che richiamano ai suoni dei Floyd e dei Gong di fine anni 60 ma anche di manipolazioni digitali e di sintetizzatori modulari, di batterie elettroniche ma anche di pianoforti e chitarre perfettamente incastrate. E’ impossibile, al momento, sapere se A Moon Shaped Pool possa avere lo stesso rilievo generazionale di Kid A o Ok Computer, ma un dato è certo, si tratta di un lavoro che contiene dei brani importanti, che diverranno classici della band, in grado di ricongiungere i diversi pubblici che seguono i Radiohead (quello di cultura rock e quello dell’elettronica), ma se ascoltato con attenzione in grado di sedurre anche ascoltatori legati ai canoni estetici più tradizionali del rock anni '60 e '70. L’uscita di A Moon Shaped Pool (nono album dei Radiohead) è stata accompagnata da due videoclip che corrispondono ai primi due brani del disco, due composizioni completamente diverse. La prima, “Burn the Witch”, è un brano ritmicamente serrato, definito da un ostinato di archi che ne scandisce le armonie divenendo dissonante e sperimentale nel finale. Il video, un’animazione realizzata con la tecnica dello stop motion, è una reinterpretazione del soggetto di un classico del cinema di genere inglese degli anni 70 “The Wicker Man” (1973) ormai divenuto un cult movie horror. Il secondo brano è invece “Daydream”, composizione onirica e astratta, incentrata su un arpeggio essenziale di pianoforte filtrato, che ricorda vagamente le atmosfere di certi primi Genesis, accompagnato da un video surreale. Il terzo brano del disco è “Decks Dark”, forse uno dei migliori momenti dell’album, l’inciso, che alterna la melodia vocale di Yorke, è un tema di voci corali avvolte nei riverberi, che richiama atmosfere lisergiche di altri tempi. “Desert Island Disk” è una ballata acustica molto anni '70, con un inizio rilassatamente psichedelico porta al cuore della dimensione sognante che caratterizza tutto il lavoro. “Ful Stop”, è scandito da una ritmica di basso batteria che richiama lo stile di “The National Anthem” , ma molto più pigra e ipnotica, che emerge gradualmente avvolta da un lento tema di archi dai quali affiora la voce di Yorke. “Ful Stop” pur nella sua natura ritmica mantiene l’atmosfera trasognata che caratterizza questo lavoro. “Glass Eyes” è una ballata incentrata su un arpeggio di tastiere filtrato, la voce scandisce un tema quasi neoclassico sul quale emerge un’armonia di archi. Un brano breve, essenziale ed intimo ma davvero interessante sotto il profilo della scrittura. “Identikit” si apre su una batteria leggera e un lieve riff di chitarra sul quale la voce iper-riverberata di Yorke scandisce il tema. Anche qui le atmosfere sognanti prevalgono grazie a un sapiente uso dei riverberi e dei suoni elettronici su un brano tendenzialmente rock, un altro dei momenti più significativi del disco. “The Numbers” inizia tra frasi libere di piano e suoni trattati ma si concretizza in un’altra ballata acustica dal sapore molto anni '70, anche qui nell’inciso l’uso dell’effettistica contribuisce a declinare il brano verso una dimensione psichedelica (quasi alla Claudio Rocchi) rafforzato dal tema degli archi, che ricorda il suono e le linee che comparivano nelle incisioni prodotte da Phil Spector o George Martin negli anni '60. “Present Tense” è una bossa leggera e sinuosa accompagnata da una chitarra classica è caratterizzata dai giochi di effettistica sulla voce di Yorke. “Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief” porta al cuore dell’elettronificazione dei Radiohead, è un chiaro ritorno alle atmosfere sperimentali di Kid A (“Everything In Its Right Place” e simili), anche questo brano è fra i migliori momenti della recente produzione dei Radiohead. La suggestiva versione di “True Love Waits” che chiude il disco è la perfetta sintesi di un lavoro che unisce essenzialità, ricerca, scrittura, stile, personalità, gusto e ricercatezza. “True Love Waits” è un brano già edito in versione live, ma altre composizioni del disco erano state già rodate dal vivo e mai incise. Del resto è un processo di metabolizzazione dei brani diffuso in tutti i gruppi rock fin dalle origini. A Moon Shaped Pool è un grande ritorno dei Radiohead, è un disco che sfugge dalle logiche della musica commerciale che viene bruciata in pochi ascolti e che appare immediatamente “già sentita”. L’approccio di Yorke e Greenwood è di ricerca e messa a punto di esperienze personali e artistiche sviluppate all’insegna della sperimentazione e che nel collettivo trovano nuovi equilibri. Il ruolo dell’elettronica è di nuovo rilevante ed è ben inserito all’interno dell’architettura degli arrangiamenti, ma il pregio di A Moon Shaped Pool rispetto al già interessante The King of Limbs è la qualità della scrittura e l’omogeneità stilistica che contraddistingue tutti i brani. |
Thom Yorke: vocals, keyboards, electronics Clive Deamer: additional drums on "Ful Stop" Anno: 2016
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