Direttamente da Cassino arriva Laura Liparulo, in arte Loneload, una ragazza intelligente e tenace che, durante un soggiorno di studio in Germania, concepisce un album.
Quest’ultimo presenta un titolo abbastanza significativo: Love would never work. Già dalle pagine del suo sito web Laura espone quelli che sono i temi affrontati nelle sue canzoni (ricordiamo inoltre che lei si dedica interamente al song writing e al midi programming, presentandosi quindi come artista a tutto tondo). Ciò che trapela dai testi, a partire dalla prima traccia “Einstein”, è il sentimento, positivo o negativo che sia, che l’individuo prova nel suo io più profondo. In “Einstein” il ritmo e la voce fanno sì che venga sottolineato l’aspetto negativo della realtà interiore in rapporto con quella esteriore. L’influenza degli anni ’80 si fa sentire soprattutto in “Bad Kitchen”, sebbene la voce,un po’ monotona, dia poco slancio all’intera canzone. Il punto di forza di Loneload, a mio avviso, non sta molto nella voce, ma nell’interpretazione strumentale (chitarra e armonica nel caso del brano “Silly Dead”). In seguito vi è “Into the city centre”, dove il ritmo si diversifica e il testo si fa più melodico. Nella quinta traccia Laura esterna quello che lei scrive nella sua biografia online, ossia il dolore (in particolare quello legato all’amore), che nella vita ha già provato e che come ogni essere mortale dovrà provare. “Bill Gates”, invece, rispecchia l’elemento grunge che caratterizza l’album, grazie infatti all’uso di melodie distorte, anche se però il testo appare un po’ scarno. La canzone in cui la voce di Laura si fa più accattivante ed espressiva è “Rotten lone”, mentre nel brano successivo, “Sick of the scene”, si delinea un’atmosfera a dir poco angosciante a partire dalle parole presenti nel testo. Molto buona è la parte della chitarra elettrica, che apre anche la canzone “To Alex”, il cui titolo fa pensare ad una possibile dedica ad un ragazzo. L’album si chiude con “Goodnight” e quindi con l’oscurità della notte che cela le passioni e i dolori sotto un sottile velo di Maya. In sé la concezione di Love would never work è originale e l’iniziativa di Laura Liparulo è più che buona. Tuttavia, ciò che reca ancora qualche dubbio è l’impostazione vocale, l’intonazione e alcune parti musicali che non contribuiscono alla completa riuscita dell’album, che risulta ancora vago e propone un sound abbastanza ibrido che ostacola un po’ l’ascolto delle varie songs. 55/100
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Laura Liparulo: Voce, chitarra e armonica Anno: 2010 |