Come suonerebbe un brano che vedesse accorpati membri dei Black Sabbath e dei Van Der Graaf Generator in una inaspettata jam collettiva? Questo suggerisce "Hunter", primo brano di questa complicata opera, ove paiono unite la tipica pesantezza del gruppo di Birmingham e le macchinose astrusità partorite dal Peter Hammill più contorto ed introspettivo. Fondamentale, in tal senso, il lavoro profuso dal fiatista Benjamin Mekki, qualcosa di più di un semplice emulo di David Jackson, che contribuisce non poco a creare un background sonoro incredibilmente incisivo ed efficace, pur assai stratificato. “Hydra” dimostra che l'incursione nel doom di matrice settantiana è stata una sperimentazione, pur efficace: il secondo brano, infatti, testimonia un altro connubio, ancorché difficilmente definibile: su un iniziale archetipo sonoro piuttosto serrato - che tradisce chiaramente ascolti ripetuti dei gloriosi leoni della NWOBHM, quantomeno da parte di chitarrista e bassista - si innestano le consuete ascendenze dei Van Der Graaf più criptici, esaltate da un'apoteosi che, pur delirante, procede imperterrita con una sua precisa ratio collettiva. Liquidando "Ikaros" quale brano più irregolare dell'intera fatica discografica, al punto di dare l'impressione di ospitare il John Zorn più camaleontico e delirante di sempre (il brano offre in un sol colpo tanti, troppi generi musicali: dal prog al punk, passando per il jazz, l'hard rock, finanche le sperimentazioni avanguardistiche), si giunge al pezzo conclusivo, "Sisyphus", opera che - tralasciando gli iniziali e poco contestualizzati vocalismi baritonali - pare richiamare, quantomeno ai blocchi di partenza, gli Echolyn più riflessivi, tradendo poi le consuete influenze del Generatore inglese, stavolta sublimate dal caotico lascito del Re Cremisi, puntualmente richiamato in termini di nevrosi interiore e delirio estetico. Concludendo, i Seven Impale sono autori di un terzo album tipizzato da un progressive assai criptico che, nella sua complessità estetica, saccheggia dal passato al chiaro scopo di attualizzare e non di tributare sterilmente, esercitando un certo fascino magnetico al quale pare impossibile sottrarsi, pur con i doverosi e reiterati ascolti concetrati che la complessa tortuosità di una tale musica necessariamente impone. |
Stian Økland / vocals, lead guitar |