
Doppia Recensione a firma di Bartolome Varchetta e Gianluca Livi
Formazione norvegese al debutto, i Gentle Knife sono una band che trae spunto dalle tendenze prog anni '70, senza vantare pretese di innovazione. L'album omonimo è un concept ipoteticamente ispirato ad ambientazioni boschive, anche se non dal punto di visto sonoro, che invece è la pedissequa riproposizione di quelle che sono state atmosfere tipiche dei King Crimson, dei Van Der Graf Generator e di quei gruppi che hanno fatto del mellotron, dei fiati e degli organi, il proprio marchio di fabbrica.
Purtroppo però, nonostante io sia un divoratore di prog, soprattutto anni '70, devo dire che non ho trovato nell'incisione spunti degni di nota e l'ascolto non è risultato molto interessante. Tutte le tracce sono ritmicamente monotone e melense, e frequentemente anche tediose. Tranne che in rari momenti, si fatica a scorgere qualche barlume di vivacità strumentale. Dal punto di vista del cantato, la situazione non è certo migliore, considerato che per la quasi totalità, la parte vocale viene proposta in duetto tra una voce femminile ed una maschile, quasi mai in sintonia tra loro, in particolar modo riguardo la prima che a mio avviso è quasi perennemente fuori fase anche in solitaria, quantomento rispetto alla parte strumentale. L'idea iniziale era forse quella di proporre una incisione riflessiva, ma purtroppo il risultato è stato, a mio avviso, quello di una incisione depressiva. L'unica traccia leggermente più vivace è quella conclusiva, ma neanche per tutta la durata e comunque pervasa da uno spirito malinconico. In gergo sinfonico potrebbe essere definito un album "lento adagio", al massimo "andante moderato", ma non oltre. La mia è pur sempre una opinione strettamente personale, ma credo che, per riuscire a giudicare positivamente senza compromessi questa incisione, bisognerebbe dotarsi di tanta buona volontà.
di Bartolomeo Varchetta
Pur presentandosi al pubblico con un nome che richiama il meglio della tradizione progressiva inglese, i Gentle Knife percorrono territori assai rassicuranti, offrendo un prodotto non particolarmente elaborato, genuina commistione tra un prog riflessivo e un pop rilassante. Ne consegue che il loro esordio è caldamente consigliato, ma soltanto al pubblico che dovesse avvicinarsi per la prima volta al genere musicale, trattandosi, in sintesi, di una fatica onesta, decisamente pastorale, perfetta per l'ascoltatore acerbo, ancora impreparato a recepire le variegate complessità esecutive e le stratificate architetture arrangiative tipiche del prog più elaborato e multicolorato. Chi, invece, mastica prog da anni, non farà fatica a sentenziare che, per entrare nel ristretto cerchio del gotha progressivo, non è sufficiente fregiarsi di un nome che evoca Genesis e Gentle Giant in un colpo solo o piazzare flautisti e sassofonisti nella formazione, peraltro estesa a ben 10 elementi. Per costoro, purtroppo, la citata fatica discografica risulterà certamente pregna di buone idee, ma decisamente poco elaborate o, peggio, sviluppate in maniera uniforme e piuttosto ordinaria, se non piatta.
di Gianluca Livi
Anno: 2015 Genere: Prog Etichetta: Bajkal records Nazione: Norvegia
Formazione: Astraea Antal: Flute Pål Bjørseth: keyboards, vocals, trumpet Odd Grønvold: bass Thomas Hylland Eriksen: sax Håkon Kavli: vocals, acoustic guitars Eivind Lorentzen: guitars, synth Ove Christian Owe: guitars Melina Oz: vocals Ole Martin Svendsen: drum, percussion Brian M. Talgo: samples, words
Tracklist: 1.Eventide 2.Our Quiet Footsteps 3.Remnants Of Pride 4.Tear Away The Chords That Bind 5.Beneath The Waning Moon 6.The Gentle Knife 7.Epilogue: Locus Amoenus 8.Coda: Impetus
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