I The Record’s nascono alla fine dell'estate 2002 ma raggiungono un certo successo solo a partire dal 2007, anno in cui esce il loro esordio discografico, un EP dal titolo Joyful Celebration, da cui viene estratto il singolo Move Your Little Fingers, trasmesso dalle più grandi radio nazionali (tra cui Radio Deejay e Play Radio, insieme ad altre 54 emittenti radiofoniche).
L’anno successivo esce Money's On Fire, che si avvale della collaborazione di Giovanni Ferrano (P.J. Harvey), partecipano a Soundwave di MTV e si vedono gratificati con il brano Girl Of My Wet Dream, che diventa colonna sonora dello spot della Gazzetta dello Sport. Poco dopo, vengono ritenuti tra le migliori band italiane dal quotidiano Corriere delle Sera, e dalle riviste Rumore, Rockit e Indiemag. Nelle note biografiche lanciate dalla loro etichetta si legge: “Nella loro musica trovano spazio epoche e stili diversi a partire dagli anni cinquanta con accenni del rock early days, per passare attraverso i sessanta ed al garage, ricordandosi di country e folk ed arrivare ad ottenere una miscela decisamente indie. Nei loro brani inoltre si colgono in generale riferimenti anche alle esperienze cantautorali inglesi e americane”. Personalmente ho trovato che la loro proposta musicale sia circoscrivibile ad un pop-rock di stampo British, fortemente debitore nei confronti dei Beatles e, più recentemente, dei Blur. Li ho trovati simpatici ed accattivanti e - piuttosto che in chiave sixties, come asserito nelle note sopra riportate - ho gradito alcune loro riletture in chiave “Beatles”. Infatti, a voler essere precisi, il gruppo propone le sonorità squisitamente pop (e, si badi bene, non anche quelle sperimentali o più rock) tipiche di album come Help, Rubber Soul e Revolver, nonché gli episodi più easy della produzione successiva. Quindi, deve essere chiaro che brani come “A day in the life” o “Revolution” non esercitano alcun ascendente nei confronti del trio bresciano. L’opera è permeata di contesti allegri e maliziosi (“Easy Way Out”), di pop raffinato e accattivante (“We All Need To Be Alone”), di ricercatezze melodiche (di nuovo “We all need to be alone”), di atmosfere acustiche e delicate (“Panama Hat”, un brano che sembra estrapolato pari pari dalle sessions del White Album. Direi che il musicista di riferimento è sicuramente Paul McCartney, che viene tributato tanto per ciò concerne la struttura armonica dei brani, quanto per la voce, incredibilmente simile, soprattutto nei toni medi. Meno convincenti, invece, i richiami ad altri generi musicali come il country e il garage. Inoltre, non è ancora chiaro perché il gruppo sia restio a giocarsi la carta della lingua italiana. Personalmente io immagino queste sonorità orecchiabili, arrangiate con gusto, ben costruite, in contesti squisitamente estivi (ed italiani): una radiolina che trasmette in maniera delicata, ironica, mai invasiva, poggiata su un asciugamano, insieme ad un libro, in una spiaggia della Sardegna; oppure in piscina, dopo il pranzo, con i bambini che corrono allegri bordo vasca; o, infine, in auto, su un’autostrada assolata, dopo la pausa all’autogrill. Il cantato in italiano, quindi, ci starebbe proprio bene. Inserire il voto in centesimi, ad es: 70/100
|
Pierluigi Ballarin: Voce, chitarra Anno: 2010 |