Scritto da Gianluca Renoffio Giovedì 17 Marzo 2016 10:42
Eravamo negli anni ’70 in piena stagione “progressive”, un fenomeno musicale a cavallo tra il Beat, la Psichedelia ed il Punk. Un breve ma felice momento che vide la nascita di album che sarebbero comunque rimasti nella storia della musica e che per certi aspetti sono da considerarsi “la musica classica” del presente e del futuro. Ma non solo … |
Scritto da Alex Marenga Martedì 15 Marzo 2016 10:42
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Scritto da Bartolomeo Varchetta Venerdì 11 Marzo 2016 10:42
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Scritto da Gianluca Livi Lunedì 07 Marzo 2016 19:42
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Scritto da Gianluca Livi Sabato 05 Marzo 2016 19:42
Dopo l'esperienza con il Biglietto per l'Inferno, il tastierista Giuseppe "Baffo" Banfi intraprende una carriera solista devota alla musica elettronica tedesca. Attratto dal verbo di Klaus Schulze dei Tangerine Dream, da lui incontrato nel corso della tournée del Biglietto del 1975 (Schulze era stato contattato per essere il produttore del secondo album del gruppo, poi non realizzato), pubblica in Italia Galaxy my dear, da lui interamente suonato, molto vicino alla musica cosmica tedesca e, nel 1979, il secondo Ma, dolce vita, registrato proprio per la Innovative Communication, l'etichetta del musicista tedesco. |
Scritto da Gianluca Livi Giovedì 25 Febbraio 2016 23:25
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Scritto da Gianluca Livi Martedì 16 Febbraio 2016 23:25
Che questo disco debba considerarsi un masterpiece è fuori di dubbio. Meno certo, invece, che ciò sia dovuto alla presenza di Jimmy Page, qui relegato a mera comparsa, semplice gregario al servizio di altri. |
Scritto da Gianluca Livi Giovedì 11 Febbraio 2016 23:13
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Scritto da Luca Driol Martedì 09 Febbraio 2016 23:13
Mr. Bungle, o anche “della follia”: dietro questo curioso moniker, ispirato dall’omonimo pupazzo della serie televisiva statunitense “Pee-wee Herman”, si cela una band estremamente creativa e dedita a un imprevedibile cocktail di generi musicali tra i più geniali di sempre. |
Scritto da Luca Driol Domenica 07 Febbraio 2016 23:13
Una chitarra in odor di flamenco, impasti vocali degni dei migliori The Byrds e una sezione fiati mariachi che inaspettatamente ruba la scena agli altri strumenti, il tutto condito da archi e arrangiamenti sopraffini: questa è “Alone Again Or”, opener e biglietto da visita di “Forever Changes”, uno degli album più riusciti degli anni ’60 e zenit dell’arte dei Love.
Il geniale Arthur Lee, dopo due album di acida psichedelia dominata da tre chitarre, dei quali il secondo (“Da Capo”) è imperdibile, decide di allentare la tensione elettrica e inserire elementi folk, chitarre jingle-jangle, archi e melodie malinconiche: quello che ne scaturisce è una raccolta epocale di canzoni di incredibile fascino.
Considerato dalla critica un album di rock psichedelico, in realtà “Forever Changes” è lontano da album coevi di colleghi più noti quali Jefferson Airplane, Grateful Dead e The 13th Floor Elevators: qui la melodia detta legge e gli strumenti aggiunti (viole, violini, violoncelli, trombe e tromboni) non creano paesaggi onirici o derive lisergiche, ma arricchiscono ulteriormente una proposta musicale già di per sé eccellente.
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