Ci sono voluti 21 anni per ritrovare un vecchio amico. Tanti ne sono passati, infatti, da "Up", l'ultimo album di inediti di Peter Gabriel, sebbene, ad onor del vero, da allora siano stati effettivamente pubblicati diversi lavori a suo nome (tralasciando gli immancabili live, vanno al riguardo citati "Long Walk Home", colonna sonora del 2002; "Scratch My Back", album di cover del 2010; "New Blood" del 2011, nel quale rilegge in chiave sinfonica alcuni suoi brani; "Rated PG", raccolta del 2019 comprendente singoli brani apparsi in lavori accreditati a più artisti).
Vero è che per far uscire questo "i/o", il singer ha operato in maniera assai inusuale. Innanzitutto, nell'arco dell'ultimo anno, ha proposto in forma liquida le tracce che lo compongono, una per ciascuna luna piena, come fosse un novello licantropo della musica. È un approccio al mercato moderno che nasconde la malcelata intenzione di creare un'attesa trepidante, come succede con l'apertura di una scatola di un gioco a premi televisivo o con la divulgazione degli esiti di un televoto. Inoltre, e soprattutto, l'album è spalmato su tre diversi missaggi, di fatto tre album distinti che prendono rispettivamente i nomi di "Bright-side mix", "Dark-side mix" e "In-side mix". In questo modo, partendo da un unico master, l'artista ha cercato di adattare l’ascolto ai diversi gusti (e, viene spontaneo dire, anche alle diverse modalità di ascolto): il "Bright-Side" lo si potrebbe definire immaginifico e solare, il "Dark-Side" drammatico e oscuro, mentre il terzo, "In-Side" (disponibile soltanto in Blue Ray, come bonus dell'edizione in cd), al di là del tipo di sonorità espressa - per cui sarebbe necessaria una recensione a sé per ogni singolo brano, poiché gli strumenti sono mixati e posizionati in maniera differente sui multi canali - è connotato dalla tridimensionalità del suono fruibile con la tecnologia Dolby Atmos. Nell'alveo della stravagante originalità appena descritta, trovano anche spazio un paio di scelte estetiche piuttosto singolari, una delle quali genera alcune perplessità: i testi dei brani sono presenti soltanto nella versione in vinile, mentre opere grafiche espressamente scelte dall’ex Genesis per ciascun brano corredano entrambe le edizioni fonografiche. La prima non trova giustificazione alcuna, non essendo apparentemente sottesa ad alcuna ratio specifica; la seconda persegue il chiaro scopo di condurre il fruitore della musica verso un percorso bivalente indirizzato al coinvolgimento congiunto di vista e udito. L'opera ostenta la sequenza originariamente concepita, cosa che rende finalmente possibile apprezzare la sua natura di concept album. Indubbiamente la centellinata fruizione dei 12 brani, mese dopo mese, ha permesso da un lato di adeguarsi ad una logica di mercato sempre più mirata all’ascolto delle singole tracce, diversamente dalla proposta intera di un album strutturato su pezzi di medio-estesa durata (il più lungo, "And Still", lambisce gli 8 minuti mentre "i/o", con i suoi quasi 4 minuti, è il più breve), circostanza che esige comprensibilmente un’attenzione elevata (a scorrere le classifiche di ascolto degli ultimi anni, difficilmente si rinvengono singoli di durata superiore ai 3 o 4 minuti, uno standard temporale che si sta ulteriormente accorciando a favore di brani ancor più brevi, poiché l’attenzione dei fruitori scema ogni anno sempre più), dall’altro di permettere a Gabriel di portare dal vivo l'intera fatica prima della sua uscita formale (ad inizio tour, a maggio 2023, erano stati pubblicati i primi 5 episodi), così da dar modo ai propri fan, durante i concerti, di non rimanere completamente sorpresi dalle novità. Di contro va detto che, in questo modo, egli ha in parte smorzato la suspense dell'attesa, vanificando di fatto la sorpresa afferente alla pubblicazione della nuova uscita discografica. Volendo liquidare la “discutibile” scelta dei tre differenti mixaggi (che, se non parlassimo di Peter Gabriel, potrebbe legittimamente far pensare a scopi speculativi di dubbia moralità) come la consueta bizzarria di un soggetto decisamente non omologato, e concentrandosi sull'opera in termini di valore assoluto, si può senz'altro affermare che la stessa non soltanto è in linea con l'eccellenza gabrielliana che tipizza tutta la sua discografia solista, ma segue anche la direzione sonora già espressa nei due precedenti lavori in studio ("Us" del 1992 e "Up" del 2002). In breve sintesi, si tratta di un pop/rock raffinatissimo che esprime alvei diversificati ed eterogenei: dagli orientalismi di "Panopticom", alle aperture solari della title-track “i/o”, forte anche dell'accattivante sequenza dei versi “stuff coming out/stuff going in/I’m just a part of everything” (che, a detta dello stesso compositore, racchiude il significato recondito dell'intero lavoro), passando per i sofisticati afflati orchestrali di "Love Can Heal" (brano peraltro contraddistinto da ritmi tribali contrappuntistici, allargati da melodie di violoncello e tastiere bustrofediche ed ipnotiche), per le suggestioni sussurrate delle ballate "And Still" e "Playing For Time" (strepitoso il finale del secondo, con l’accompagnamento della New Blood Orchestra, già ampiamente collaudata durante il tour orchestrale del 2011), per la conclusiva "Live And Let Live", impreziosita da uno straordinario lavoro al basso di Levin e alla tromba del nostro Paolo Fresu (il trombettista ha così restituito il favore all'inglese che, nel 2016, gli aveva regalato “What Lies Ahead”, scritta assieme al figlio Isaac ed inserita in “Eros”, uscita discografica accreditata ad Omar Sosa e allo stesso Fresu). A dirla tutta, da un punto di vista squisitamente musicale, Gabriel non dice nulla di nuovo, seguendo, come detto poco sopra, la stessa direzione sonora già sfruttata nei due titoli precedenti, nei confronti dei quali "i/o" si pone quindi in termini di naturale seguito. Addirittura, in "Road to Joy" - un funky veloce intarsiato da gemme strumentali solide e compatte - egli arriva pericolosamente a plagiare se stesso, ostentando, in termini quasi invariati, la medesima architettura di "Kiss That Frog" da "Us". Niente rivoluzione copernicana, quindi, ma ciò che realmente conta è che la qualità dell'opera sia alta, cosa su cui, ancora una volta - ed è sempre così quando si parla delle sue prove soliste - nessun dubbio viene sollevato, pure laddove egli non spicca per originalità. Nessuna riserva viene espressa per ciò che afferisce ai testi, invece, in grado di sollevare importanti spunti riflessivi sull’esistenza umana, sulla sua obbligatoria dipendenza sia dalle scelte individuali, sia dall'ascendenza esercitata dal mondo esterno su ogni essere umano. Viene cioè posto sotto esame l'unicum temporale dove passato, presente e futuro si fondono meravigliosamente assieme, assorbendo gli innumerevoli stimoli che ogni uomo riceve e fornisce (cioè l'input e l'output a cui il titolo "i/o" allude), con un suggestivo approccio in forma squisitamente intimista. Validissime e coerenti, alcune liriche sono più orientate al sociale, affrontando temi delicati, come le menzogne mediatiche di un mondo oramai globale ("Panopticom"), la torbida discrezionalità del potere giudiziario ("The Court"), l'incoerenza palesata da religioni troppo legate alla vita terrena anziché a quella spirituale ("Four Kind Oh Horses"). Analizzata la pericolosità del mondo esterno, il cantante si concentra poi sull'interiorità, avviando un percorso verso l’anima-mente insicura e sopraffatta dall’ansia ("Playing For Time", “So Much”, “And Still"), per poi affrontare la rinascita fisica e spirituale, la trasformazione, la necessità inevitabile di connessione con il prossimo ai fini di una crescita individuale ("Road To Joy", "Live and Let Live", "Olive Tree"). Anche dal punto di vista della produzione il disco è eccellente. In tal senso, le registrazioni sono impeccabili, finanche brillanti: il mastering, fortunatamente, non è stato oggetto di un editing finalizzato ad un innalzamento eccessivamente ardito dei volumi e alla compressione del segnale a sfavore della dinamica, come invece accade nella stragrande maggioranza delle registrazioni immesse nell'odierno mercato discografico; i tre mix proposti, peraltro, hanno la capacità, ognuno a suo modo, di mettere in risalto la bravura dei molti musicisti coinvolti, il cui lavoro virtuosistico è sublimato da arrangiamenti magniloquenti e allo stesso tempo di gran gusto estetico. Al riguardo, vanno doverosamente citati i compagni di lungo corso Tony Levin, Manu Katché e David Rhodes, ai quali si affiancano, tra i tanti, John Metcalfe, nelle vesti di conduttore e arrangiatore, i numerosi membri della New Blood Orchestra, già coinvolti in "New Blood" del 2011, il preziosissimo Brian Eno, inconfondibile in "Panopticom" e "This is Home" (di Paolo Fresu, orgoglio tutto italiano, abbiamo già detto). Concludendo, dodici brani che si completano a vicenda, pur nella loro eterogeneità, mescolando sapientemente melodie pop/rock, ritmi ancestrali, polifonie vocali e stratificazioni elettroniche. Una ricerca spasmodica, la stessa di sempre quando si parla di Gabriel, finalizzata al perseguimento di un tutto armonico e popolare che si sostanzia in un disco assai riuscito, in grado di dimostrare la longevità bradiposa di un artista certamente inquieto, ma assolutamente mai domo.
(Gianluca Renoffio, Roberto Cangioli, Gianluca Livi)
Appendice del 3 marzo 2024
(di Gianluca Livi)
A distanza di quasi tre mesi dall'uscita dell'album, sorgono spontanee alcune considerazioni aggiuntive. Va premesso che la questione del doppio mix ha rappresentato, per chi scrive, un vero tarlo nella mente, anche considerando che in rete è tuttora assente un raffronto dettagliato tra le versioni "Bright-Side Mix" e "Dark-Side Mix" (fatta eccezione per un video, presente su youtube, ove viene espressa una valutazione di stampo più audiofilo, quindi più tecnica che emotiva, invece adottata nel presente scritto). Ciò non desta alcuna meraviglia, considerando che per assimilare veramente il substrato di un solo album sono necessari ascolti ripetuti, figuariamoci per assimilarne due. Insomma, la questione non è certamente liquidabile in una manciata di giorni. Quanto appena detto, quindi, giustifica l'operato di coloro che, all'uscita dell'album, pervasi verosimilmente dall'entusiasmo che l'evento ha legittimamente suscitato (anche in chi scrive), hanno liquidato la storia del doppio mix in forma meramente descrittiva, concentrandosi piuttosto sul valore assoluto di ogni brano, sulla sua effettiva sostanza, piuttosto che sulla forma sottesa ad ogni singolo missaggio. Detto ciò, in questi tre mesi, lo scrivente si è posto l'obiettivo di smarcare definitivamente la questione del doppio mix in termini critici, previa analisi dettagliata dell'opera nella sua forma bicefala (la terza versione, la "In-Side Mix", non è stata ascoltata in ragione del suo formato Blue Ray, mai posseduto). Invero, l'approccio assunto per sciogliere il bandolo della matassa non è stato quello di alternare l'ascolto dei due dischi di volta in volta (che è un po' quello che lo stesso Gabriel voleva venisse fatto dal fruitore della sua musica, pubblicando gradualmente ogni doppio brano), quanto piuttosto di procedere all'assimilazione massiva di uno dei due (nella fattispecie, il bright), per passare all'altro soltanto in una fase successiva. Il tutto, con il filtro di chi si definisce più un appassionato musicofilo, piuttosto che un audiofilo di stampo manicheo. Va premesso che, parlando di missaggi diversi, vengono in mente i lavori veramente trasversali che un tempo erano presenti nelle b-side degli indimenticati 12 pollici: si pensi, parlando ad esempio degli Yes, alla "Dance Version" di "Owner Of A Lonely Heart" o a quella "Acapella" di "Leave It"; oppure, rimanendo in casa Gabriel, alla forma alternativa donata a "Walk Through The Fire" come singolo, rispetto a quella inclusa nella colonna sonora di "Against All Odds". Alcune di queste erano veramente improponibili (come la prima degli Yes), ma, quantomeno, era innegabile che l'intenzione originaria di chi ci metteva mano fosse quella di diversificare il brano in maniera sostanziale rispetto alla sua originaria stesura. Orbene, quanto sopra è del tutto assente ascoltando "i/o" in ragione di differenze minime tra i due progetti che nulla aggiungono all'una o all'altra versione: premesso che Gabriel ha dichiarato di considerare un pittore l'autore del bright mix, uno scultore quello del dark mix, in tutta franchezza, i brani oggettivamente cupi (al riguardo, valga la pena citare quantomeno "Four Kinds Of Horses" e "And Still"), appaiono tali anche nella versione "Bright-side" e viceversa, gli altri pezzi non perdono la loro solarità intrinseca nella interpretazione "Dark-side" (come succede, ad esempio, parlando di "Live And Let Live", "i/o", "Olive Tree"). Anzi, a dirla tutta, si verifica il paradosso per cui la ricostruzione dark di "Panopticom" appaia, a chi scrive, addirittura più solare di quella bright, e questo la dice lunga sulla scarsa sostanza del doppio progetto, quantomeno negli originari intenti del cantante ("Sono fortunato", aveva dichiarato Gabriel, "ad avere due dei migliori mix engineer del mondo, Tchad Blake e Mark ‘Spike’ Stent, che lavorano con me sulla musica di i/o. Piuttosto di scegliere solo uno dei loro mix da pubblicare, ho deciso che le persone dovrebbero essere in grado di ascoltare tutto il grande lavoro che stanno facendo entrambi. Intendo chiedere loro di mixare la canzone di ogni mese, con i mix di Spike chiamati Bright-Side e quelli di Tchad indicati come Dark-Side. Il fatto che ascolti prima il lato positivo o il lato oscuro varierà a ogni luna piena, a seconda dell’ordine in cui decidiamo di rilasciarli. So che questa quantità di dettagli non è per tutti, ma spero che coloro che sono interessati alla loro produzione musicale apprezzeranno le loro diverse interpretazioni"). In fondo, e questo vale per ogni musicista coinvolto nel progetto, è veramente poco importante che la tromba di Paolo Fresu risulti maggiormente percepibile in una versione di "Live and Let Live", piuttosto che in un'altra, o che il riverbero bright presente in "The Court" sia molto più aperto e caldo rispetto a quello dark, che invece è più secco ed immediato. Alla fine dei conti, "Road to Joy" rimane sempre troppo simile a "Kiss That Frog", a prescindere da come e quanto si sia operato alzando o abbassando le leve di un mixer. Ora, l'artista non è nuovo a scelte trasversali, per cui, volendo escludere, come detto sopra, "scopi speculativi di dubbia moralità", questa cosa del doppio missaggio può essere senz'altro decretata quale ennesima stravaganza. Al riguardo, lasciamo pure che siano gli audiofili (ivi compreso, evidentemente, lo stesso Gabriel), con le loro intransigenze dogmatiche, ad occuparsi di questa sottigliezza acustica e concentriamoci, noi musicofili, sul valore intrinseco delle composizioni. Quanto speso fino ad ora riguardo alla forma data alla musica dell'inglese non muta di una virgola l'opinione maturata in ordine alla sua sostanza: anzi, l'ascolto ripetuto ha rafforzato l'impressione che, con questo nuovo album, pur non percorrendo nuove strade rispetto al passato - anzi, a volte, ricalcando quanto già fatto illo tempore, come nel caso della citata sesta traccia - l'ex Genesis si palesa ancora una volta pregevolissimo autore ed inteprete, in linea con la direzione musicale già intrapresa nei due precedenti lavori in studio (pur considerando che in "Up", del 2002, egli osò molto di più rispetto ad oggi). Detto ciò, un approccio sano all'acquisto di questo suo nuovo lavoro si potrebbe sostanziare, a modesto avviso di chi scrive, nella scelta di una soltanto delle due edizioni in vinile, non importa quale, unitamente al doppio cd (del resto, con riguardo a questo formato, le due versioni non sono commercializzate separatamente). Ai completisti e agli audiofili, invece, si omette di fornire qualsiasi consigilio, certi che, in ragione della loro natura oltranzista, compreranno entrambe le versioni, verosimilmente in tutti formati pubblicati.
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Peter Gabriel – lead vocals, backing vocals, treated vocals (on "And Still") keyboards, piano (on "The Court", "So Much", "Olive Tree", "Love Can Heal", "And Still" and "Live and Let Live"), synths, programming (on "Panopticom", "The Court", "i/o", "Road to Joy", "Olive Tree", "This Is Home", "And Still" and "Live and Let Live"), percussion (on "Four Kinds of Horses", "Love Can Heal","And Still" and "Live and Let Live"), manipulated charango (on "Road to Joy"), glass harp (on "And Still"), orchestral arrangements (on "The Court", "So Much", "Olive Tree", "And Still" and "Live and Let Live"), choir arrangement, production, design concept.
With: David Rhodes – guitars (except on "Playing for Time"), acoustic guitar (on "Olive Tree"), acoustic 12 string guitar (on "So Much" and "Olive Tree"), backing vocals; Tony Levin – basses; Manu Katché – drums (except on "Four Kinds of Horses", "So Much","Love Can Heal" and "And Still"); Ged Lynch – percussion (on "Olive Tree" and "Love Can Heal"); Tom Cawley – piano (on "Playing for Time"); Evan Smith – saxophone (on "Olive Tree"); Josh Shpak – trumpet (on "Road to Joy" and "Olive Tree"); Melanie Gabriel – backing vocals (on "The Court", "Four Kinds of Horses", "So Much", "Love Can Heal" and "Live and Let Live); Ríoghnach Connolly – backing vocals (on "Panopticom", "Love Can Heal" and "This Is Home"); Jennie Abrahamson – backing vocals (on "Love Can Heal"); Linnea Olsson – cello (on "Love Can Heal"), backing vocals (on "Love Can Heal"); Angie Pollock – synths (on "Love Can Heal"); Brian Eno – synths (on "Panopticom", "The Court", "This Is Home" and "Live and Let Live"), bells (on "Panopticom"), percussion (on "The Court"), rhythm programming and progressing (on "Four Kinds of Horses" and "Road to Joy"), electric worms and additional synths (on "Four Kinds of Horses"), manipulated guitar and ukulele (on "Road to Joy"), rhythm programming (on "Live and Let Live"); Oli Jacobs – synths (on "Panopticom", "Playing for Time", "i/o" and "This Is Home"), programming (on "Panopticom", "The Court", "i/o", "This Is Home" and "Live and Let Live"), piano (on "Four Kinds of Horses"), tambourine (on "This is Home"); Don-E – bass synth (on "Road to Joy"); Katie May – acoustic guitar (on "Panopticom" and "i/o"), percussion (on "The Court", "This Is Home" and "Live and Let Live"), Rickenbacker guitar (on "i/o"), synths (on "i/o"), rhythm programming (on "Four Kinds of Horses"), guitar effects (on "Love Can Heal"); Richard Evans – D whistle (on "i/o"), mandolin (on "Olive Tree"); Richard Chappell – programming (on "Panopticom", "The Court", "i/o", "Olive Tree", "And Still" and "Live and Let Live"); Richard Russell – filtered percussion (on "Four Kinds of Horses"); Hans-Martin Buff – additional percussion and synths (on "Road to Joy"); Ron Aslan – additional synths (on "Road to Joy"); Oli Middleton – percussion (on "This Is Home"); Paolo Fresu – trumpet (on "Live and Let Live"); Steve Gadd – brush loop (on "Live and Let Live").
Orchestral and choral musicians: Violins: Everton Nelson, Ian Humphries, Louisa Fuller, Charles Mutter, Cathy Thompson, Natalia Bonner, Richard George, Marianne Haynes, Martin Burgess, Clare Hayes, Debbie Widdup, Odile Ollagnon; Violas: Bruce White, Fiona Bonds, Peter Lale, Rachel Roberts; Cellos: Ian Burdge (including solo cello on "And Still"), Chris Worsey, Caroline Dale, William Schofield, Tony Woollard, Chris Allan; Double basses: Chris Laurence, Stacey Watton, Lucy Shaw; Trumpet: Andrew Crowley; Tenor trombone/Euphonium: Andy Wood; Tenor trombone: Tracy Holloway; Bass trombone: Richard Henry; Tuba: David Powell; French horn: David Pyatt, Richard Bissill; Flute: Eliza Marshall; Orchestra conductor: John Metcalfe; Orchestra leader: Everton Nelson; Orchestral arrangements: John Metcalfe, Peter Gabriel (on "The Court", "So Much", "Olive Tree", "And Still" and "Live and Let Live") and Ed Shearmur (on "Playing for Time").
The Soweto Gospel Choir (on "i/o", "Road to Joy" and "Live and Let Live"): Soprano: Linda Sambo, Nobuhle Dhlamini, Phello Jiyane, Victoria Sithole; Alto: Maserame Ndindwa, Phumla Nkhumeleni, Zanele Ngwenya, Duduzile Ngomane; Tenor: George Kaudi, Vusimuzi Shabalala, Xolani Ntombela, Victor Makhathini; Bass: Thabang Mkhwanazi, Goodwill Modawu, Warren Mahlangu, Fanizile Nzuza; Soloists: Phello Jiyane (Soprano), Duduzile Ngomane (Alto), Vusimuzi Shabalala (Tenor), Fanizile Nzuza (Bass), Victor Makhathini (Male voice Zulu improvisations), Phumla Nkhumeleni (Female ululating and chanting) (on "Live and Let Live"); Musical director/vocal arranger: Bongani (Honey) Ncube.
Orphei Drängar (on "This Is Home"): First tenors: Per Bergeå Af Geijerstam, Lukas Gavelin, Stefan Grudén, Lionel Guy, Samuel Göranzon, Björn Hagland, Peter Hagland, Henrik Hallingbäck, Magnus Hjerpe, Oskar Johansson, Lars Plahn, Carl Risinger, Alexander Rosenström, Pär Sandberg, Magnus Sjögren, Magnus Store, Stefan Strålsjö, Henrik Sundqvist, Staffan Sundström, Jon Svedin, Olle Terenius, Maki Yamada; Second tenors: Johan Berglund, Kristian Cardell, Jens Carlander, Jun Young Chung, Joakim Ekedahl, Olle Englund, Nils Frykman, Anton Grönberg, Johan Hedlund, Daniel Hjerpe, Fredrik Kjellröier, Kristofer Klerfalk, Nils Klöfver, Mattias Lundblad, Per-Henning Olsson, Peter Stockhaus, Peter Stureson, Anders Sundin, Erik Sylvén, Clas Tegerstrand, Magnus Törnerud, Sebastian Ullmark, Oskar Wetterqvist, Erik Östblom; First basses: Jonas Andersson, Filip Backström, Nils Bergel, Rickard Carlsson, Daniel Dahlborg, Oloph Demker, Nils Edlund, Erik Hartman, Lars Johansson Brissman, Elis Jörpeland, Jan Magnusson, Johan Morén, Tobias Neil, David Nogerius, Stein Norheim, Jacob Risberg, Stefan Simon, Henrik Stolare, Tor Thomsson, Håkan Tribell, Gunnar Wall, Fredrik Wetterqvist, Kristofer Zetterqvist, Samuel Åhman; Second basses: Gustav Alberius, Lars Annernäs, Emil Bengtsson, Anders Bergendahl, Peter Bladh, Max Block, Ludwig Engblom Strucke, Stefan Ernlund, Fredrik Hoffmann, Boris Klanger, Adam Liifw, Andreas Lundquist, Marcus Lundwall, Joakim Lücke, Johan Muskala, Björn Niklasson, Mattias Nilsson, Elias Norrby, Ola Olén, Carl Sandberg, Magnus Schultzberg, Anand Sharma, Isak Sköld, David Stålhane, Stefan Wesslegård, Gustav Åström; Choir conductor: Cecilia Rydinger; Choir arrangement: Peter Gabriel with Dom Shaw and Cecilia Rydinger.
Anno: 2023 Label: Real World Records Genere: Rock, Pop, Art Rock
tracklist: Panopticom - 5:16 The Court - 4:21 Playing For Time - 6:18 i/o - 3:53 Four Kinds Of Horses - 6:47 Road To Joy - 5:22 So Much - 4:52 Olive Tree - 6:01 Love Can Heal - 6:02 This Is Home - 5:04 And Still - 7:44 Live And Let Die - 6:46
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