Scritto da Paolo Marchegiani Giovedì 06 Febbraio 2025 19:58 Letto : 434 volte
Basti pensare che l’ultima rappresentazione bolognese de La fanciulla del West risale al lontano 1989. Ed è un peccato, perché l’opera è sperimentale e di assoluto interesse, pur distaccandosi dalla tradizione romantica, dalle tipiche arie laceranti e da certi duetti serrati. L'intero opus si sorregge, piuttosto, su una lunga e scorrevole scena per ciascun atto e su orchestrazioni che frequentemente riecheggiano i contemporanei impressionisti francesi di Puccini: Claude Debussy e Maurice Ravel. Dal punto di vista tecnico, Puccini rifugge dalle arie chiuse e si allontana dalle forme convenzionali, prediligendo una scrittura sinfonica continua, con un impiego raffinato del leitmotiv per caratterizzare i personaggi e le situazioni. L’armonia è più sfrontata rispetto alle opere precedenti, con un fitto ricorso ai cromatismi e armonie espressive che anticipano soluzioni tipiche del tardo Romanticismo e dell'Impressionismo. L'orchestrazione è particolarmente elaborata, con una varietà timbrica che arricchisce la narrazione drammatica. Sin dal preludio, si percepisce l'intenzione di procedere attraverso grandi scale dai toni interi che sembrerebbero suggerire, anche metaforicamente, l'infinito potenziale di un territorio inesplorato, ma anche la sua proibitiva solitudine. Nonostante non abbia raggiunto la popolarità di Tosca o La Bohème, La fanciulla del West è un'opera di grande spessore e sofisticatezza musicale. Dal punto di vista vocale, il ruolo di Minnie richiede un soprano drammatico con grande estensione e resistenza, mentre Dick Johnson (Ramerrez) è un ruolo tenorile lirico-spinto di grande intensità emotiva. Jack Rance, lo sceriffo, va tratteggiato da un baritono in grado di esaltarne il carattere oscuro e dispotico, ma anche di articolare l'immagine di un uomo, in definitiva, sinceramente innamorato. Paul Curran, affiancato da Gary McCann per scene e costumi e da Daniele Naldi per le luci, immagina tre semplici ambientazioni: gli interni lignei della Polka e del nido di Minnie nei primi due atti, con uno squarcio dal quale fanno capolino, rispettivamente, il cielo della California e la tormenta nevosa. Per il terzo e conclusivo atto, si affida a una radura stilizzata, quasi soffocante. Carmen Giannattasio, nei panni di Minnie, affronta bene la scrittura vocale, piena di salti improvvisi tra registro centrale e acuto, alternando momenti di grande impeto drammatico – come in occasione del duetto con Johnson nel primo atto e durante la palpitante tensione della partita a poker in conclusione del secondo – e passaggi più lirici e intimi: declina bene, in tal senso, il "Laggiù nel Soledad". Pur essendo al debutto assoluto nel complesso ruolo, appare molto espressiva anche nel fraseggio dei recitativi complessi, nel passaggio dal canto al declamato. Angelo Villari propone un Johnson/Ramerrez piuttosto solido: seducente e affascinante nel primo atto, tratteggia bene disperazione e redenzione nei due successivi. La voce emerge sopra un'orchestrazione molto ricca e spesso densa, senza perdere colore ed espressività. Risulta convincente anche negli acuti estremamente esposti. Nel "Ch’ella mi creda", è squillante, lirico, ma allo stesso tempo eroico. Claudio Sgura, veterano nel ruolo di Jack Rance, incarna il personaggio con il giusto tratto autoritario e minaccioso. Affronta la tessitura sostenuta nel registro centrale e acuto, oscillando tra il lirismo e la declamazione, con molte frasi intense e un fraseggio scolpito. Dall’ampio e valido cast, menzione particolare meritano il fedele e romantico Nick di Paolo Antognetti, il robusto e sicuro Ashby di Nicolò Donini e il generoso e misurato Sonora di Francesco Salvadori. Il donizettiano Riccardo Frizza dirige l'opera con buona precisione e flessibilità, gestendo i numerosi cambi di tempo, gli accelerando, i ritardando e il rubato, denotando una particolare attenzione agli ingressi di Minnie e Johnson, caratterizzati da ampie libertà agogiche. Apprezzabile anche l’attenzione alle sfumature timbriche e la tenuta complessiva garantita all’arco drammatico della narrazione, grazie anche all’apporto di un’orchestra piuttosto solida. Di assoluto spessore la prova del coro, diretto da Gea Garatti Ansini, capace di esaltare le sfumature dinamiche estremamente dettagliate richieste da Puccini, evitando di coprire l’orchestra o i solisti. Buona anche la tenuta dei tenori, con corposa proiezione e intonazione stabile nelle estensioni più ampie. Nel malinconico “Che faranno i vecchi miei”, il suono risulta morbido e uniforme, sostenendo bene il legato, mentre nella scena del linciaggio di Johnson, durante il terzo atto, le entrate risultano compatte e l’espressività esalta la complessità della scrittura. Foto: Andrea Ranzi |
Teatro Comunale – Stagione 2025 LA FANCIULLA DEL WEST Opera in tre atti Libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini Musica di Giacomo Puccini
Minnie Carmen Giannattasio Dick Johnson Angelo Villari Jack Rance Claudio Sgura Nick Paolo Antognetti Ashby Nicolò Donini Sonora Francesco Salvadori Trin Cristiano Olivieri Sid Dario Giorgelè Bello Paolo Ingrasciotta Harry Orlando Polidoro Joe Cristobal Campos Marin Happy Paolo Maria Orecchia Larkens Yuri Guerra Billy Jackrabbit Zhibin Zhang Wowkle Eleonora Filippomi Jake Wallace Francesco Leone José Castro Kwangsik Park Un postiglione Enrico Picinni Leopardi
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna Direttore Riccardo Frizza Maestro del Coro Gea Garatti Ansini Regia Paul Curran Scene e costumi Gary McCann Luci Daniele Naldi
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
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