Va innanzitutto detto che l'opera non è troppo distante dal format della commedia musicale, presentando una equa alternanza tra gli alvei cantati/ballati propri di ogni musical e le esposizioni narrative tipiche delle opere letterarie simpaticamente verbose ambientate a Baker Street. In tal senso, appaiono condivisibili le scelte di risparmiare al pubblico un Holmes ballerino e di limitare al minimo sindacale i suoi interventi cantati (senza nulla togliere alle doti canore di Neri Marcoré, piuttosto oggettive, invero, come dimostra il successo da egli riscontrato con i concerti "Gaber: monologhi e canzoni" e "Le mie canzoni altrui"), privilegiando, invece, e correttamente, dialoghi formali largamente intrisi del tipico umorismo inglese, peraltro perfettamente aduso all'attore marchigiano. Al riguardo, è vincente la scelta di circoscrivere la danza ai soli esponenti dell'ensemble, circostanza che permette di esprimere un bilanciamento estetico ove canto e dialoghi tra i protagonisti risultato equamente distribuiti, a loro volta perfettamente dosati con gli interventi mai invasivi del numeroso personale danzante. Ci è molto piaciuta l'idea di spogliare Watson dal rigido formalismo impostogli in origine da Arthur Conan Doyle, attrbuendogli, invece, e saggiamente, il ruolo di spalla divertente, se non propriamente comica: ottimo, in tal senso, il coinvolgimento di un attore spigliato come Paolo Giangrasso, capace di emergere occasionalmente con boutade, arguzie e ghiribizzi senza mai esprimere inopportunità, manifestando peraltro la capacità di non essere mai fagocitato dalla eterogeneità e multiespressività manifestate dello stesso Marcoré. Quanto appena riferito può certamente essere speso anche per Barbara Corradini e Giuseppe Verzicco, rispettivamente Signora Hudson e Ispettore Lestrade: la prima esprime una determinazione mista ad una verve a dir poco trascinante (ciò le permette di manifestare doti caratteriali non comuni e di incarnare perfettamente il ruolo di donna capace di tenere testa ad un uomo difficile come Holmes); il secondo è abilissimo nel palesare un borioso isterismo (espressione, nel mondo immaginario creato da Doyle, di invidia latente nutrita nei confronti del più noto investigatore). Infine, colpisce di quest'opera sia la mobilità architettonica giocata sul palco, grazie a strutture scorrevoli e ruotanti in grado di permettere la subitanea alternanza tra ambientazioni urbane e contesti domestici, sia l'uso sapiente delle luci, in grado ora di ricreare abilmente lo scenario notturno e vagamente decadente della Londra di epoca vittoriana, ora di lanciare sprazzi di luce sui singoli personaggi, al chiaro scopo di determinare parentesi solari, sublimate da interventi estroversi ad opera di ciascun attore. In chiusura, vanno tratteggiati alcuni punti deboli: il personaggio del Pastore protestante (Riccardo Giannini) è forse superfluo, mentre il trucco che riveste Mycroft Holmes è talmente pesante e caricaturale, da sommergere letteralmente l'espressività dell'attore Niccolò Curradi. Infine, una doverosa precisazione: animato da passione incondizionata nei confronti del personaggio di Scherlock Holmes, anche estesa ai numerosi scritti apocrifi nel tempo largamente prodotti, è impossibile per chi scrive rimanere insensibile alla scelta di inserire, nei dialoghi, l'immancabile incipit "Elementare, mio caro Watson", espressione mai appartenuta ad Holmes giacchè mai attribuitagli da Arthur Conan Doyle. Al riguardo, vale la pena precisare che tale locuzione è stata approvata dall’Associazione Sherlockiana Italiana “Uno Studio in Holmes Aps”, in quanto - come giustamente precisato in un colloquio privato con lo scrivente da Enrico Solito (membro della predetta associazione, nonché co-autore dell'opera) - "non è Holmes a pronunciarla, ma l'ispettore Lestrade che vuol fargli il verso: per questa ragione la signora Hudson si indigna, cacciandolo fuori di casa, specificando, appunto, che quella frase "così banale e sciocca" non è mai stata pronunciata dal grande detective. La gag può piacere o no, ma (.) l'esattezza della citazione holmesiana è salva". |
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