Interessante opera teatrale che scava in profondità nell'animo umano, con particolare riguardo alle dinamiche di amicizia - o, per usare le parole di una delle attrici - di frequentazioni forzate imposte dalle complesse dinamiche che si creano nei posti di lavoro. Sette donne diverse, ciascuna in possesso di un proprio substrato morale e un personale carico di esperienze di vita che determinano, in ognuna, specifiche necessità di sopravvivenza: la donna con un figlio disabile, quella incinta, la malata, la moglie del disoccupato, la straniera che non viene accettata e via dicendo. Sono storie comuni portate sul palco con grande sensibilità, in un contesto, quello del mondo operaio femminile, a volte difficile e spietato. Si tratta di un'opera drammatica ove, tuttavia, vengono innestate occasionali puntate ironiche, segnatamente ad opera di Francesca Antonaci (la notissima Gegia) ed Elisabetta Mandalari, che perseguono il duplice scopo di tenere alta la curva dell'attenzione e di inserire un po' di pepe in un alveo tragico e doloroso, finanche angoscioso, specie quando entrano in gioco passati scomodi e problematiche individuali di grave portata. Recitata prevalentemente in lingua romanesca, al chiaro scopo di sottolineare correttamente il contesto popolare ove agiscono le protagoniste, questa rappresentazione si segnala per una vocazione che oseremmo definire quasi neorealista, sublimata dalla regia attenta e mai scontata di Siddhartha Prestinari, già ampiamente apprezzata nelle opere "Fiori di campo" e "Imparare ad amarsi". La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 14 aprile 2023. |
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