Una notte stellata sulla costiera amalfitana; un’inferriata separa un uomo e una donna. Lui è un giornalista, lei una donna biondissima e procace, vestita di tulle rosso. L’uomo non lo vedremo mai in scena, né lo sentiremo parlare. Ogni suo atto, ogni suo pensiero vivono solo attraverso le parole di lei. Ma lei è morta. Si, perché lei è Moana Pozzi. Non è quindi difficile prendere le distanze tra la realtà (Moana e la sua vita) e l’opera, cioè la rappresentazione dell’essenza e del pensiero della pornodiva così come è sedimentato nell’immaginario dell’autore, Ruggero Cappuccio e così come il suo linguaggio ce lo rende. Ci sentiamo raccontare che Moana è più viva da morta di quanto si sia sentita morta da viva, esprimere il dubbio sillogismo che se tutto ciò che è porno è immorale, allora tutto ciò che è immorale è porno, e così via, una figura retorica dopo l’altra. Non c’è dubbio che ci sono cose assai peggiori della pornografia. E non c’è dubbio che esista una attrazione erotica nel potere e, purtroppo, anche nella violenza. Né che il sesso e la violenza siano spesso mescolati nel linguaggio. Tuttavia, non abbiamo bisogno di una difesa del sesso e avremmo voluto un’altra discussione ben più profonda sulla pornografia e sul suo ruolo, oggi, nel modellare comportamenti e aspettative sessuali e di genere. Possiamo ridefinire la pornografia quanto vogliamo, possiamo provare a eliminarne l’accezione volgare, ma non possiamo dimenticare che il suo presupposto è la rappresentazione e il suo scopo è l’eccitazione sessuale. In un crescendo di frasi ad effetto - persino un tramonto, nel suo eccesso di bellezza, viene “accusato” di essere porno - mescolando autentiche citazioni a frasi e situazioni immaginate arriviamo ad un gioco seduttivo finale. Dove ci viene rivelato che il settimo senso è la relazione con l’altro, è ciò che – mancandoci – troviamo nell’altro, è il senso tra di noi. Questa rivelazione buonista ci disturba, e la sentiamo fuori contesto. Moana da viva era profondamente convinta di agire libera, ma ora, da morta, non può opporsi a chi usa la sua immagine e il suo nome per comunicare i suoi propri pensieri. Il tradimento tanto temuto dal personaggio si è consumato. E non è porno.
Settimo senso. Moana Pozzi |
di Ruggero Cappuccio drammaturgia e regia Nadia Baldi TEATRO PARENTI Via Pier Lombardo, 14 MILANO |