Magia in scena ieri sera al Piccolo Teatro Studio, con Re Chicchinella di Emma Dante, che chiude trionfalmente la trilogia della regista e autrice siciliana ispirata a Lo cunto de li cunti. In uno spazio racchiuso, che utilizza il nero totale e il palcoscenico vuoto per creare una profondità sontuosa come una nera veste di velluto, si dispiega la più moderna versione del barocco, con una crudele fiaba che ci sbatte in faccia l’orrore della solitudine, della malattia, e di una vita di relazione basata solo sull’interesse personale. La fiaba del Basile è profondamente diversa, sia perché nel testo originale l’animale è una “papara” e non una gallina, sia perché è incentrata sull’invidia e non sulla avidità; infine, il personaggio regale è marginale nel racconto, mentre qui è assoluto protagonista. Tuttavia, l’anima dell’opera seicentesca non è tradita perché, sfruttando magnificamente le possibilità comunicative offerte dal testo del Basile, Dante reinventa la “sua” storia e guida il gruppo di attori in una performance che è recitazione, danza, mimica, farsa, tragedia e anche gioco. La scelta di cambiare animale è stata felicissima e feconda: irresistibile l’incubo iniziale, in cui una frotta di gallinelle ci introduce al tema dello spettacolo e al risveglio doloroso del re; perfetto il ballo delle damigelle, con le terga imbottite e rotonde come le accoglienti chiappotte ("'e chianelle") di una chioccia o di una pollastrina e la deliziosa crestina di brillanti; esilarante il gioco del telefono senza fili, in cui le damigelle fan pollaio ripetendo l’un l’altra la stessa frase senza senso, con uno sputacchiamento di frolle e biscottini: nobili fuori, ma galline dentro! In un gioco di parole certamente voluto, trasformano in poco tempo la corte in un’aia. Di chioccia è anche la duttile e spettacolare gonna nera con cui il re è costretto a vestirsi per poter gestire l’indesiderata ospite delle sue viscere. Abito nero, perché così era la moda dei ricchi e nobili del ‘600, una crinolina ondeggiante lussuosamente ricoperta di trine, tulle, giaietti e specchi, balze e falpalà in cui rifugiarsi e nascondersi nei momenti peggiori. La lingua usata nella riscrittura del testo riesce ad essere in perfetto equilibrio tra replicazione dello stile originario e concessione alla comprensione dello spettatore non napoletano, peraltro aiutato dalla mimica e dalla gestualità degli attori. La fantasia verbale di Emma-Basile esplode più volte sul palco in un fuoco artificiale, una “ghiottoneria lessicale-espressiva” di puro godimento: la lezione del re su come si annuncia il sorgere del sole, l’enumerazione fantasiosa dei cibi, l’insulto massimo “zompaperete” che racchiude la morale della fiaba, ossia questa corte e questa moglie che concede attenzioni solo per il proprio interesse. Per chiudere, Emma Dante concede anche una precisa citazione del testo originale, “Sarmace de penne a n’Ermafrodito de pilo”, che Basile utilizza, citando a sua volta il racconto di Ovidio, per rendere la maligna fusione tra i due esseri. Ecco, quindi, anche questa pennellata che completa la resa linguistica con la dotta citazione. Ma il capolavoro assoluto è la performance degli attori, primo fra tutti Carmine Maringola, lo sfortunato Re: è riuscito a dare corpo a questo uomo un tempo possente e impegnato solo a godersi la vita, ora malato e posseduto da questo essere vivente alieno con cui deve fare i conti e che ne condiziona ogni singolo gesto, gli muove l’addome, lo fa ponzare dolorosamente per una sola oliva. Paradossalmente questo re ci trasmette più dignità e rispetto in questo suo affrontare la malattia che in quella che doveva essere la sua vita precedente. Tutti gli attori però meritano un plauso assoluto: la secca e acida Regina / Annamaria Palomba, vestita monacalmente ma con nobile ricchezza di lussuoso nero e candide trine, rancorosa verso un consorte non certo scelto per amore e che reputa inferiore; la Principessa / Angelica Bifano, gaia e soave nel suo abito da bianca gallinella, che riempie di baci il padre pur di fargli mangiare qualcosa e così produrre il giornaliero uovo d’oro. Una menzione speciale è ampiamente meritata dalle Damigelle, che costituiscono quasi un personaggio unico, un corpo compatto che ride e sorride, parla senza senso, muovendosi come una frotta di gallinelle nell’aia nei vari eventi sociali della giornata a corte; sontuoso e divertente allo stesso tempo il ballo sulla Passacaglia di Franco Battiato. La musica è un altro elemento fondamentale del teatro barocco ed Emma Dante la usa con la consueta sapienza come base dei balli ma anche per generare colori, sensazioni e riflessioni, un sottotesto fondamentale alla mimica di scena. Lo spettatore vive ogni emozione, dal riso alla commozione, perché la ridicola sorte del sovrano non prende mai definitivamente il sopravvento sulla pietà che suscita quest’uomo e tuttavia come si può non irridere un re che muore non per una gloriosa battaglia, non dopo un lungo e saggio regno, ma per liberarsi di una gallina nel culo, seppure sulle sublimi note del “Lascia ch'io pianga” di Händel. Lasciamo l’epilogo finale, e le suggestive immagini che la regista ha creato, alla scoperta dello spettatore. Emma Dante chiude questo suo viaggio ne Lo cunto de li cunti accompagnata dagli applausi e dalle ovazioni del pubblico giustamente entusiasta. Spettacolo imperdibile. Questa recensione di riferisce alla rappresentazione dell' 8 marzo 2024. |
RE CHICCHINELLA elementi scenici e costumi di Emma Dante via Rivoli, 6 – M2 Lanza Lo spettacolo è in napoletano e sono presenti scene di nudo integrale Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30 (salvo mercoledì 20 marzo, ore 15 per le scuole); domenica, ore 16. Lunedì riposo. Durata: un’ora Informazioni e prenotazioni 02.21126116 www.piccoloteatro.org |