Ma soprattutto perché essa per progredire richiede talvolta, come ben spiega Thomas S. Kuhn, un salto concettuale per trasformare radicalmente sé stessa. Questo salto concettuale, questa rivoluzione scientifica, nasce e si sviluppa a partire da piccoli gruppi iniziatici – gli scienziati – che non possono evitare di andare avanti nella loro ricerca: “Non si può fermare, non c’è altra strada, c’è solo questa: più luce!”. Ma la trasmutazione della scienza in tecnologia – in applicazione pratica della conoscenza - rende gli effetti dirompenti della scienza evidenti e chiari a tutti. Così nessuno di noi può ignorare la scienza e la sua discendente invasiva e terribile - la tecnologia - anche quando questa appare antitetica al nostro sentire comune, alla nostra coscienza, alla nostra anima, e - soprattutto – modella e domina le nostre vite. Il rigore della rappresentazione del processo a Galileo passa attraverso l’uso del linguaggio seicentesco; qui le cose sembrano chiare; la nuova scienza non vuole contraddire la fede ma vuole solo indagare la verità leggendo il divino libro della natura; il linguaggio che permette di descrivere l’opera di Dio è il linguaggio della matematica. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, solo un nuovo modo per comprenderlo e descriverlo. Il mondo rappresentato dalle leggi matematiche del cosmo è pur sempre il mondo fatto da Dio. Questo salto della fede potrà essere sposato dal potere, rappresentato dall’Inquisitore, oppure potrà essere rifiutato, rinunciando per sempre al possibile ruolo della Chiesa quale mediatore culturale tra scienza e popolo. L’Inquisitore, magistralmente interpretato da Milvia Marigliano, non accetta le posizioni dello scienziato pisano, l’ottimo Luca Lazzareschi, che spinto anche dagli accorati appelli di sua figlia Virginia e del discepolo Bartolomeo, sceglie di abiurare e portare a compimento in privato la sua opera scientifica. Ma la rinuncia della Chiesa e l’abiura di Galileo avranno effetti molto più importanti. Infatti, il potere della Chiesa rifiuta la scoperta del movimento della terra e della non immutabilità dei cieli, ma accetta il vero serpente nel suo paradiso terrestre. Il cannocchiale – e con esso la tecnologia – è al centro di Processo Galileo ancor più dei satelliti di Giove. È il cannocchiale che squarcia i cieli, che crea una crepa in essi, che altera il mondo della gente comune. E la gente comune si perde davanti alle rivelazioni messe a disposizione dalla tecnologia. Mentre ancora si stanno chiudendo gli atti del processo il presente irrompe con un richiamo, il nome di un ragazzo. Tempo presente. Angela vive ormai pienamente il mondo stravolto dalla tecnologia: suo figlio vive meglio dentro un mondo virtuale limitato e con precise regole piuttosto che nel mondo reale; sua madre la richiama alla concretezza della terra e della creazione naturale ma lei non riesce a districarsi tra volontà di vivere e comprendere – da non scienziata – razionalmente il mondo e sentimenti ancestrali e primordiali quali il dolore del lutto. Non c’è più un Cielo a cui guardare, in un mondo in cui l’anima è la mente, e la mente può essere copiata e trasportata e resa immortale in una macchina. E mentre lo scienziato intervistato da Angela recita le parole della scienza come se fossero versi di una poesia, “un solo bene, la conoscenza, un solo male, l’ignoranza”, sale il groove e la recitazione diventa ritmica pura, una poliritmia in cui Virginia modula la litania dell’infinito catalogo stellare, in cui il giovane attivista batte con tutto il suo corpo, che cade come un grave sulla nuda terra, la lista infinita delle sconfitte dell’uomo verso il progresso delle macchine. Le voci del canone sono tutte esposte. Ora si intrecciano nel finale per mostrarci simultaneamente le nostre incertezze, le nostre contraddizioni, le nostre speranze e le nostre paure. Lo sgomento di una vecchia contadina che racconta di come da giovane, nel 1604 vide una supernova brillare nei cieli di Padova e ascoltò le spiegazioni di Galileo all’Università. La rabbia contro le macchine del giovane attivista che cade e si rialza nella sua lotta e sa che ad ogni sua sconfitta, ad ogni sua caduta, la macchina crescerà. Il dubbio di chi vede nella conoscenza una luce che cresce – “ma non c’è orrore più grande della luce piena” - per chi prova a guardarla senza essere uno scienziato, e lo scienziato che “Non si può fermare, non c’è altra strada, c’è solo questa: più luce!”. Sebbene questo Processo Galileo abbia giustamente come fulcro principale il testo, il contenuto, pure è assolutamente doveroso sottolineare come la resa scenica data da tutti gli elementi a disposizione sia assolutamente fondamentale: è uno spettacolo bello da vedere, bello da ascoltare e con una compagnia di attori bravissimi tra cui spicca, per il nostro gusto, Milvia Marigliano nei vari ruoli dell’inquisitore, della madre, della contadina. Una materia difficile e controversa trattata in modo tale da mantenere alta la tensione dello spettatore in ogni momento. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 10 gennaio 2023. |
PROCESSO GALILEO regia Andrea De Rosa e Carmelo Rifici scene Daniele Spanò
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