L'albergo dei Poveri
Milano, Teatro Strehler, dal 7 al 28 marzo 2024

Operazione impegnativa e importante quella di Popolizio con L’albergo dei poveri che torna, dopo 77 anni dalla storica inaugurazione  del Piccolo Teatro, nell’adattamento teatrale di Emanuele Trevi. Gli emarginati di Gorkij sono coloro che hanno raggiunto il fondo dell’esistenza umana, sono i poveri tra i poveri perché hanno perso la battaglia della vita e non sono più in grado di rialzarsi, nemmeno se ci provano.
Per dichiarazione stessa di Popolizio, questo è un ritorno alla interpretazione di un testo teatrale, dopo tanti romanzi trasposti per il palcoscenico secondo quella che è un poco la moda del momento, e alla produzione teatrale non minimalista, con ben 16 attori in scena che si producono in questo grande dramma corale.
L’attualizzazione del testo è affidata anche agli inserti da altri testi, tra cui Čechov e McCarty (bellissima citazione da “Il buio fuori” “anche un idiota è un fiore nel giardino di Dio”), sia all’ aggiunta di un africano immigrato e musulmano tra i caratteri in scena.
L’obiettivo percepito dallo spettatore non è però quello di una trasposizione ai giorni nostri, quanto piuttosto una resa atemporale dei vari modi di fallimento, di come si arriva sul fondo e come ci si vive, di come si lotta inutilmente per cercare di uscirne, della crudeltà della vita.
In tal senso è coerente l’aver aggiunto un migrante tra i personaggi, il quale paradossalmente ci sembra l’essere umano che più ha conservato dignità e speranza, che più ha mantenuto la sua identità.
La corporeità degli attori è ben utilizzata per dare identità ai personaggi, così ad esempio l’enorme avido Kostylev / Francesco Giordano viene sgonfiato dalle coltellate rabbiose di Raffaele Esposito, un prestante e vigoroso Pepel, ladro di orologi e di cuori, e muore ridicolmente con i piccoli piedi che si agitano davanti all’enorme vescica del corpo.
I costumi ci mantengono in occidente, in un generico tempo passato; quello di Luka il pellegrino è una citazione dell’iconografia del suo carattere in varie epoche storiche e luoghi, con la conchiglia e il bordone che richiamano i paesaggi con i viaggiatori sul cammino di Santiago, insieme alla barba da santone indiano e agli anelli e ai braccialetti da guru metropolitano.
A questa resa atemporale e mitizzata del dramma contribuisce la scenografia disadorna ma molto funzionale ai vari movimenti, che ci riporta indietro nel tempo semplicemente con una scopa di saggina per pulire il lurido pavimento e una vecchia macchina da cucire.
L’obiettivo di riportare alla vita, e alla sensibilità moderna, il capolavoro di Gorkij è passato per la riduzione del testo ed un suo snellimento; tuttavia, a nostro giudizio, l’operazione è riuscita solo parzialmente e malgrado la bravura innegabile degli attori e i tanti elementi positivi si è avuta una sensazione di prolissità.
Popolizio, nei panni di Luka, ci offre una resa ambigua della speranza e della spiritualità e come compare se ne va: nulla è cambiato, qualcuno è morto, qualcuno se possibile è sceso ancora più in basso, ma tutto questo non uccide la natura umana, né la speranza. O almeno non possiamo non pensare questo quando la chiusura dell’opera è data dalle struggenti note di Mio fratello che guardi il mondo, di Ivano Fossati.

“Tutti hanno l’anima grigia, e tutti ci mettono su un po’ di colore”




Questa recensione di riferisce alla rappresentazione del 7* marzo 2024.



L'ALBERGO DEI POVERI

uno spettacolo di Massimo Popolizio
tratto dall’opera di Maksim Gor’kij
riduzione teatrale Emanuele Trevi

con Massimo Popolizio
e con
Sandra Toffolatti, Raffaele Esposito,
Michele Nani, Giovanni Battaglia,
Aldo Ottobrino, Giampiero Cicciò,
Francesco Giordano, Martin Chishimba,
Silvia Pietta, Gabriele Brunelli,
Diamara Ferrero, Marco Mavaracchio,
Luca Carbone, Carolina Ellero,
Zoe Zolferino

scene Marco Rossi e Francesca Sgariboldi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
disegno del suono Alessandro Saviozzi
movimenti scenici Michele Abbondanza
assistente alla regia Tommaso Capodanno
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro di Roma – Teatro Nazionale

foto di scena Claudia Pajewski

Dopo la prima nazionale, il 9 febbraio scorso, al Teatro Argentina di Roma, dove replica fino al 3 marzo, arriva a Milano, al Teatro Strehler, dal 7 al 28 marzo, L’albergo dei poveri, il titolo che, nel 1947, inaugurò il Piccolo Teatro, ora coproduttore insieme al Teatro di Roma. Massimo Popolizio prosegue la sua ricerca artistica e civile portando in scena il dramma corale di Maksim Gor’kij, nella riduzione teatrale di Emanuele Trevi. In scena, una compagnia di 16 attori, incastonati nelle scene di Marco Rossi e Francesca Sgariboldi, con i costumi firmati da Gianluca Sbicca, le luci di Luigi Biondi, il disegno del suono di Alessandro Saviozzi e i movimenti scenici di Michele Abbondanza.
Conosciuto anche come I bassifondi, o Nel fondo, o ancora Il dormitorio, l’opera di Maksim Gor’kij fu rappresentata per la prima volta a Mosca nel 1902 con la regia di Stanislavskij e poi ribattezzata L’albergo dei poveri da Giorgio Strehler nel 1947, in occasione della regia che inaugurò il Piccolo Teatro di Milano il 14 maggio del 1947. In scena era lo stesso Strehler, nei panni di Aleška (oggi interpretato da un ex allievo della Scuola del Piccolo, Gabriele Brunelli), affiancato da attori del calibro di Lilla Brignone, Marcello Moretti, Salvo Randone, Gianni Santuccio.
Dopo 77 anni da quella prima, storica, rappresentazione italiana, Massimo Popolizio ripropone al pubblico il titolo voluto da Strehler, in virtù del suo valore emblematico e poetico, oltre che storico.
L’albergo dei poveri è un grande dramma corale che si potrebbe definire shakespeariano nel suo sapiente dosaggio di pathos, denuncia sociale, amara comicità, riflessione filosofica e morale sul destino umano.
In scena una compagnia di 16 attori, che impone alla regia la ricerca di un ritmo adeguato al continuo mutare delle situazioni e dei punti di vista. Un crescendo di tensione reso ancora più evidente dall’angustia dello spazio evocato: un rifugio di derelitti e alcolizzati dove i personaggi trascorrono i loro giorni tentando di non soccombere alla disperazione e all’inerzia della sconfitta.
Si tratta di una sfida che, dopo Stanislavskij e Strehler, è stata raccolta anche da grandi maestri della regia cinematografica, tra gli altri, Renoir e Kurosawa. Se le grandi opere viaggiano nel tempo per essere rilette a ogni generazione da angolature diverse, lo stile di regia di Popolizio, la sua maniera di dirigere gli attori e il meccanismo teatrale nel suo complesso, sembra particolarmente adeguato a scrivere un nuovo capitolo di questa storia di interpretazioni. Il nostro non è il mondo del 1902, e nemmeno quello del 1947: è mutato anche il concetto stesso di «povertà», ma l’energia drammatica, la forza visionaria, la disperata lucidità dei personaggi di Gor’kij è ancora intatta, grazie anche alla nuova scrittura drammatica di Emanuele Trevi.
«Scoprire che cosa possa accadere con un copione come quello che abbiamo trattato – spiega Massimo Popolizio – significa riscriverlo in scena con gli attori e le attrici. Hai tra le mani un oggetto che è fondamentalmente un materiale di interpretazione; una parola, questa, invece completamente fuori moda. Qui non c’è alcun metateatro, questo è un teatro di personaggi che devono essere resi tridimensionali, che dalla carta devono alzarsi in piedi sul palcoscenico. Essendo di carne e d’ossa, una volta alzati in piedi ci raccontano qualcosa a prescindere dalle parole. È un lavoro molto complesso».
«Lavorando abbiamo passato dei mesi molto nutrienti dal punto di vista creativo: a definirti artisticamente – racconta Emanuele Trevi – non è solo quello che fai, ma anche quello che escludi di fare. Abbiamo cominciato a lavorare alla vecchia maniera, su dei testi non teatrali, i due grandi romanzi Satyricon di Petronio e Metamorfosi di Apuleio. Però quel che a volte succede è che, se vuoi innovare, ti trovi a tornare su qualcosa di apparentemente più convenzionale, per cambiarlo dall’interno. Per me è stata fondamentale la lettura dei Vagabondi, la raccolta di racconti giovanili di Gor’kij».

(fonte: comunicato stampa).



Piccolo Teatro Strehler
largo Greppi – M2 Lanza

Orari:
martedì, giovedì e sabato, ore 19.30;
mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16

Durata: 100 minuti senza intervallo

Informazioni e prenotazioni 02.21126116
www.piccoloteatro.org


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