A più di venti anni dalla sua prima rappresentazione, approda nel tempio del teatro di Stato Fotofinish, l’opera forse più famosa del duo dalla “indipendenza radicale, ortodossa, che rifiuta lo Stato come committente”. Rezza-Mastrella innalzano i loro stendardi e chiamano a raccolta sotto il Palio il “cittadino”,
nel senso di colui che “appartiene a uno Stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per questa sua condizione è soggetto ad alcuni doveri e gode di alcuni diritti (dal vocabolario Treccani)” .Degli spettacoli fino a qui visti da me, questo è stato quello che più ha fatto ridere il pubblico, e un po’ mi è dispiaciuto: non vorrei che gli ormoni rassicuranti che si liberano nella risata abbiano un effetto troppo addolcente. O forse, come in una studiatissima montagna russa, il cocktail è ancora più complesso e serve a scatenare nel pubblico una disinibizione, un ingannevole senso di felicità e sicurezza, senza il quale sarebbe impossibile gettarsi nel “bungee jumping” finale. Non per niente Rezza, ineffabile nella sua crudeltà, allude a una delle sue vittime, dotata di mascherina, con un ineccepibile “C’è qualcuno che a torto si sente al sicuro”. Mai uno spettacolo, che dichiara di imperniarsi sulla solitudine del protagonista, ci ha fatto pensare così poco alla solitudine: forse siamo stati troppo impegnati a stare dietro alle performance di Antonio, mentre esplodono confini e vincoli delle strutture di Flavia Mastrella. “Raddoppio le parole per sentirmi meno solo.”. Una semplice dichiarazione programmatica, che accende di (un) possibile senso le iterazioni. Non parleremo con ordine di questo spettacolo, perché qualunque tentativo in tal senso si arrogherebbe la presunzione di avere “la spiegazione”. Nell’immagine iniziale del palcoscenico vuoto si vedono nitidamente bianche vele issate sugli alberi, e immaginando gli stendardi agitarsi al vento ci si sente chiamati in causa: “cittadini!”. Un autoscatto folle aiuta a constatare quanto ci siamo deformati, perché nell’immagine in cui noi stessi ci siamo immortalati “Dovevi levare Dio, non dovevi abbassarti tu” (dopo vent’anni abbiamo i selfie, e quella immagine la deformiamo con la AI… ).Così parte la corsa, non “al” ma “nell’ospedale”, e tutto è solo un fatto di percezione: la sfera quadrivelata da porta girevole si trasforma nel cappellone bianco delle Figlie della Carità, e nella corsa la madre superiore è in testa, quarto il primario che arranca, ma alla fine vince un cittadino, “sorte beffarda”. La corsa pazza si ferma e, ironia, “Mi ero appena fermato per sempre, che mi hanno messo le rotelle…”. Altre rotelle si vincono con il premio del concorso “Acqua di pozzo”: la bicicletta dell’irraggiungibilità, che ha la ruota anteriore come una proboscide rotellata. Altro concorso, altro premio, la bicicletta a sette marce, forse stavolta è sufficiente a “sperare in un infarto”. D’altra parte, cosa augurarsi di meglio, se si è un bambino di quattro anni che pedala sulla sua biciclettina affermando ineccepibilmente: “Ci ho solo 4 anni ma già non ce la faccio più – sono stati i quattro anni più difficili della mia vita”? In preda a un delirio progettuale, l’arringatore illustra la soluzione al crollo delle Torri Gemelle con il prototipo dimostrativo “Installazione di un solo manager al lavoro”: difficile morire se cadi da settanta centimetri. Però anche in questo caso la tecnologia, chiamata in causa nella persona del povero ingegnere progettista, non riesce ad occuparsi umanamente delle relazioni umane. Anche la casa, massimo rifugio, diventa un incubo, grazie a un mutuo inestinguibile. Caro pubblico, la sfera quadrivelata potrebbe anche diventare un razzo per le stelle, ma “Il problema è vostro, che vi aspettate sempre troppo”. Così dopo aver tentato di trasformarsi da uomo a donna e poi di nuovo uomo, il nostro novello Tiresia, non in balia degli dèi ma della sua follia, constata di “aver perso l’uso dei muscoli e dei sentimenti”. In preda ad una giusta e riflessiva ira, Rezza ci accusa di un “pacifismo che diventa arroganza”. Le parole che ci restano nella testa sembrano tratte dalla cronaca: “sta per scoppiare una guerra”, “vi sconvolgete qui a teatro, ma allora cosa dovreste sentire quando vi alzate tutte le mattine?”. Con l’aiuto di qualche poliziotto il pubblico viene giustiziato, poco male: “sembrano vivi ma erano già morti”. Intorno nella sala c’è chi è sconvolto e disgustato, molti ridono, moltissimi si nascondono come per l’interrogazione a sorpresa. Qualcuno si butta felice nella mischia e si sente protagonista. L’esperimento psico-ormonale ha funzionato ancora una volta. Però a Rezza sembra scappare un dubbio: “Ma guarda te se a 58 anni devo ancora fare ‘ste cose”. Questo è il terzo spettacolo del duo recensito su queste pagine web: dopo Hybris e Bahamuth, in una sorta di viaggio a ritroso nella loro produzione artistica, abbiamo visto anche questo spettacolo e ne siamo felici, anche se la carica eversiva ci è sembrata quasi stemperarsi nella piacioneria del pubblico, numerosissimo e anche molto giovane. Non siamo alla ennesima replica di “The Rocky Horror Picture Show”. Forse avremmo dovuto alzarci e andare? Forse avremmo dovuto ribellarci e picchiare gli autori a sangue? Forse avremmo dovuto chiamare lo spettacolo fuori dal teatro e trasformarlo in vita? Forse invece ciò che è successo nel teatro non ha importanza e quello che conta veramente è solo ciò che ci resta dopo, una volta spianato il picco ormonale residuo dello spettacolo. Forse dovremmo, con la ragione e la memoria, riprendere i pezzi di noi stessi sparsi senza pudore da Rezza e Mastrella sul palcoscenico e ricostruire la capacità di indignarci per le cose importanti, ricostruirla con estrema precisione. Questa recensione di riferisce alla rappresentazione dell' 4 aprile 2024. Altri spettacoli di Rezza e Mastrella recensiti da artistsandbands: Hybris Bahamuth |
FOTOFINISH con Antonio Rezza allestimento Flavia Mastrella produzione RezzaMastrella, Teatro Vascello – La Fabbrica dell’Attore
(fonte comunicato stampa) via Rivoli, 6 – M2 Lanza Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30 (salvo mercoledì 20 marzo, ore 15 per le scuole); domenica, ore 16. Lunedì riposo. Durata: 100' senza intervallo Informazioni e prenotazioni 02.21126116 www.piccoloteatro.org |