Bella prova d’attore per Sergio Castellitto, che dopo vent’anni riporta in scena in un nuovo allestimento il monologo che Margaret Mazzantini, sua moglie e compagna di una vita, scrisse proprio per lui. In una narrazione a spirale come gli aloni delle stelle nei cieli notturni di Van Gogh, evocati nella canzone di apertura, Zorro ci porta avanti e indietro nel tempo, dalla sua vita di oggi a quella di “prima”, ricostruendo gli eventi che lo hanno portato dove è ora, a questa sua vita di marciapiede. E in questa ricostruzione degli eventi si rivela sempre più chiaramente questa anima forse non grande, ma bella e luminosa, essenziale e naturale come un nocciolo di pesca, pulita e pronta a riaffrontare la vita senza mai più tradire, nemmeno per amore, senza mai negare la responsabilità, anche quella senza colpa, e senza mai mentire, soprattutto a sé stesso. Come si chiami veramente Zorro, non si sa: la sua accogliente madre, dal profumo di strofinaccio e miele, lo chiamava Pizzangrillo e anche sua sorella Nandina lo chiamerà così, nel tentativo amorevole di rimanergli vicino. Pizzangrillo: cioè il diavoletto buono, ma scatenato, irrefrenabile e giocoso, la gioia e disperazione di ogni genitore. Zorro invece era il nome del suo cane, salvato dalla strada dal piccolo birbante e portato a casa nonostante le proteste della mamma. Il cane non c’è, però in scena vediamo la sua ciotola e il guinzaglio di corda. Zorro, l’uomo, ha il sorriso sulle labbra e una acuta percezione del mondo intorno a sé. Lo vive attraverso i profumi. Lo scruta con affetto o con interesse. Lo mima, per analizzarne il senso: nella sua “giornata da uccello” si fa un pezzo della “vita da cormorano” di un ignaro passante con gli occhiali firmati e il quotidiano in mano. Chissà perché noi “regolari” siamo cormorani: non abbiamo certo tutti il naso curvo…forse è perché siamo pigri e avidi mangiatori, ingordi di tutto quanto non serve veramente. Lui, Zorro, ha un giornale vecchio di due anni che però in fondo ha le stesse notizie del giornale di oggi. - Attenti, cormorani! Zorro vi guarda, cascate giù come shangai! – dice Castellitto bucando il pubblico con uno sguardo intenso e un lieve, ironico sorriso. Nel suo andare avanti e indietro per le strade del suo volontario eremitaggio, ha la dignità di un principe, soprattutto quando sente odore di gentilezza. Solo la voce ogni tanto lo tradisce: parla poco, quasi niente. Il suo è un soliloquio interiore: quando la parola si tramuta all’improvviso in suono, gli esce una voce brutta, che sputa contro tutti. Ma poi il senso di ciò che dice è tutt’altra cosa. E così, tra la musica delle strade, parla di fame e di poesia, di capelli, di stazioni, di telefono, di quel giuda cormorano di Marchioni Ilario, parla di Anna e parla di Mario e naturalmente di Zorro, parla del destino e della speranza, in una danza a tratti triste ma sempre con il sorriso ed un lieve umorismo. Sul palcoscenico essenziale bastano pochi oggetti per girare la città e andare avanti e indietro nel tempo: una panchina e un dorato telo termico d’emergenza; un inginocchiatoio nella mensa della Caritas; un lampadario di cristallo e un tavolo da pranzo con le sedie, che riporta al passato. E tutto intorno una nebbia che può evocare lo sbuffo di calore della metropolitana che passa, o il gelo, il sudore, il vapore del cibo ben cucinato, delle lasagne di Nandina, di una polenta con spuntature il 10 di agosto. Una nebbia che si leva dopo che tutti sono scivolati via dal tavolo di cristallo che si è inclinato, dopo che Zorro si è tolta la Lacoste a maniche lunghe e si è infilato al collo il guinzaglio. E’ una alluvione quella nebbia, e ciò che resta è carne alluvionata. “Poi però una mattina viene lo strano, un po’ di vita t’è tornata dentro. Sei neonato, sei piccolo e bisognoso, però sapiente. Un nocciolo di pesca è tutto quello che ti serve”. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 25 gennaio 2023. |
ZORRO. UN EREMITA SUL MARCIAPIEDE di Margaret Mazzantini Sergio Castellitto
via Pier Lombardo, 14 - MILANO ORARIO SPETTACOLI |