Scritto da Salvatore Siragusa Mercoledì 21 Maggio 2008 18:17 Letto : 2309 volte
La proposta musicale di Elvira Madigan è un Black Metal Sinfonico che attinge a piene mani agli stereotipi ed alle tematiche care al Black classico e che tende ad un certo approccio pomposamente splatter, con una processione interminabile di brani cortissimi, più che altro movimenti di canzoni più lunghe, in stile Prog, brani incastonati tra loro o da frammenti narrativi o da passaggi strumentali che mancano completamente, specialmente per quel che riguarda la parte sinfonica di una qualsiasi sfumatura epica ed orchestrale, preferendo partiture nel complesso semplici e relativamente povere, lasciando da parte qualsiasi tipo di approccio sinfonico/strumentale o solenne/emozionale capace di spiazzare, interessare e catturare l'ascoltatore, meglio le parti di chitarra per fare un esempio che non quelle di tastiera, che appare veramente piatta e povera di colore e profondità spaziale. Solo qualche interessante intreccio lirico e melodico sparso qui e là è capace di portare con se momenti in grado di regalare un minimo di pathos e ricercatezza sonora, i cambi di tempo, laddove presenti, invece sembrano apparire inutili tentativi di spezzare e ravvivare un qualcosa che si trascina stancamente ed inesorabilmente in avanti. Uno screaming che ricorda il peggior Dani Filth, istericamente afono, aggiunto alla già accennata qualità della registrazione e del missaggio pongono un ulteriore macigno all'ascolto di Regent Sie, sicuramente meglio con il growl, certe volte più simile al growl di qualche band death/brutal e con il pulito, gli unici momenti lirici che si possono definire vagamente accattivanti. Un disco sostanzialmente inutile, povero sia a livello di personalità, che a livello ispirativo, sostanzialmente un clone dei peggiori Cradle of Filth che tentano di imitare i peggiori Dimmu Borgir, poco convincente e poco incisiva l'orchestralità e la costruzione sinfonica, totalmente assente epica e teatralità; in cui il poco di buono che traspare dalla sua lunghissima prolissità, alcuni interessanti intrecci lirici e melodici, viene schiaffeggiato e mortificato da una registrazione ed una produzione pessima. Direi che in fin dei conti ... non ne vale la pena, può benissimo restare dov'è. 50/100
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Marcus Hammarström: Voce, chitarra, basso, tastiere, batteria programming Anno: 2008 |