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Roma, Teatro Brancaccio, 7-30 aprile 2022

"C’era una volta… anzi c’è, o meglio ancora, potrebbe esserci un piccolo paese di montagna che sta qui, lì, dovunque, piaccia a chi sta ascoltando."
Questo l'incipit della voce fuori campo (di lassù) scandita, con modulata energica veemenza, da un acclamato ed imperituro Enzo Garinei.
È probabile che questa mancanza volontaria di un’ambientazione spazio/temporale definita e riconoscibile, sia la formula più efficace per concedere sempre, in ogni epoca, al singolo spettatore, un’attualizzazione, nonché una personalissima e soggettiva contestualizzazione, di quella che sembra essere una sorta di fiaba, fruibile però da un pubblico anagraficamente eterogeneo.
Gli appartenenti ad almeno tre generazioni, stasera, hanno reso gremito un teatro (Il Brancaccio) che ha omaggiato, con sentita partecipazione, un cast già ben rodato che si è destreggiato come una squadra davvero affiatata.
Anche grazie a questo spirito, al talento e all’indubbia preparazione professionale, il pubblico ha avuto modo di assistere ad uno spettacolo dotato di brillantezza, un pizzico di comicità, romanticismo e tenerezza; il tutto condito con una patina (neanche troppo velata) di satira religiosa, in precario equilibrio tra il diritto alla libertà dell’arte e quello di professione del proprio culto.
Il filo conduttore che permea ogni istante della commedia musicale, è una squisita “umanità”.
La vera protagonista è la realtà di questa condizione che ci identifica, ci muove, ci limita, ci schiaccia, ci lancia e ci slancia, ci fa arrossire, ci esalta nell’unione, ci appassiona, ci fa amare, adorare ma anche odiare e detestare; ci inscatola nei pregiudizi ma poi ci libera dai preconcetti; ci fa sperare, sognare, impegnare ma che a volte illude e disillude o che, ancora, ci fa gioire, entusiasmare e, quindi, sospirare per il sollievo.
La storia fa perno su tre aspetti cardine della natura umana, spiegandone, in maniera semplice ma adeguata, le articolate sfaccettature, anche per tramite delle canzoni: "Quando l'arca si fermerà" prevarrà il timore reverenziale nei confronti del “divino” e della sua somma potenza punitiva ma al contempo, emergerà la speranza che riponiamo in questo "Essere Superiore".
"Una formica è solo una formica": la solidarietà tra simili che può, unendo le forze dei singoli, moltiplicarle esponenzialmente, creando i presupposti per il conseguimento di qualsivoglia obiettivo comune, anche a dispetto della sua apparente palese irraggiungibilità.
"Peccato che sia peccato", "Consolazione", "L'amore secondo me".
L'universalità trasversale dell'amore, che può nascere come fa un fiore tra le rocce: inaspettatamente.
Tutta la colonna sonora, vergata sullo spartito dalla penna di un indimenticato Armando Trovajoli, curata per questa edizione, dal suo vecchio collaboratore Maurizio Abeni, è stata briosamente interpretata dalle voci soliste dei protagonisti, quest'ultime, in apparenza, sembrava fossero tenute in un piano sonoro quasi secondario ma con la celata intenzione di voler far esaltare, per differenza, i momenti corali.
Anche i testi della sceneggiatura originale di Garinei e Giovannini con Jaja Fiastri, sono stati supportati da una, a tratti sublime, recitazione, con un ottimo ritmo che ha tenuto sempre viva l'attenzione e il coinvolgimento empatico del pubblico.
Gianluca Guidi, nei panni di Don Silvestro, sembra essere stato clonato da una cellula dell'ugola del padre (primo interprete della fortunata versione originale del 1973); possiede caratteristiche vocali a lui perfettamente sovrapponibili in termini di colore, timbro, estensione e capacità di modulare ed interpretare canzoni e prosa. Anche se con un'impronta ed uno stile originali, chiudendo gli occhi (ma anche socchiudendoli) si prova la netta sensazione che sia Johnny Dorelli a calcare il palcoscenico.
Totò (amico, candidamente inesperto, del parroco) è intepretato con un artefatto ma piacevolissimo accento dialettale ciociaro/marchigiano, permeato di un'innocenza disarmante ma simpaticamente ed irrefrenabilmente esplosiva (per gran parte della commedia, egli peraltro emerge grazie a spiccate qualità canore).
Marco Simeoli è affidatario del ruolo forse più scomodo dell'intero copione (il Sindaco Crispino) la sua vivace ed incisiva comunicazione (anche non verbale) però, lo rende "goffamente" ma efficacemente adeguato al personaggio.
Lorenza Mario (nel ruolo di Consolazione) risulta essere, nella pièce teatrale, forse l'attrice più eclettica, con eccellenti capacità recitative, nonché canore. A lei il ruolo della donna di facili costumi, la quale (anche grazie ad un divino intervento) dapprima impersona la tentazione, poi la redenzione, il pentimento, il cambiamento e dunque il soggetto dell'integrazione e dell'inclusione sociale.
Camilla Nigro interpreta una Clementina (la figlia del sindaco perdutamente innamorata del parroco) con una simpatia, un'andatura, una padronanza nei movimenti scenici (anche e soprattutto durante la danza), un controllo della voce (sia cantata che recitata), con una maestria ed una professionalità davvero fuori dal comune.
Francesca Nunzi si cala, con sapiente ironia e consumata esperienza, nel ruolo di Ortensia (la moglie del sindaco) risultando caricaturalmente ma al contempo fieramente interprete, di un ruolo di moglie-madrepaesana che comunica con efficacia e che convince, anche nell' esecuzione dei brani musicali, grazie ad una adeguatissima impostazione classica.
Arricchiscono e completano il cast, i coloratissimi (grazie ai costumi di Francesca Grossi), coordinati (anche e soprattutto nei cori) e leggiadri componenti dell' indispensabile corpo di ballo.
La dinamicità dell'azione è garantita dal già sperimentato doppio girevole con la grande arca (riadattato dal progetto originale di Giulio Coltellacci, dallo scenografo Gabriele Moreschi) e superbamente corroborato da un ricchissimo gioco di luci (Umile Vainieri) e proiezioni video (Claudio Cianfoni) che trasformano con abilità ed ingegno il palcoscenico del Brancaccio permettendo un'immersione avvincente.
L'iconico volo della colomba bianca sulle note del brano ormai celeberrimo della scena finale, sancisce il principio imperscrutabile della rinascita, della rinnovata alleanza e del tutto è bene quel che finisce bene. Un finale che definire di maniera potrebbe essere limitante ma che nel contesto dell'opera assume le sembianze di un lieto fine di gran respiro...di sollievo.





Questa recensione si riferisce alla rappresentazione dell'8 aprile 2022.


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GIANLUCA GUIDI
MARCO SIMEOLI
PIERO DI BLASIO
CAMILLA NIGRO
FRANCESCA NUNZI “LA VOCE DI LASSÚ”: ENZO GARINEI
CON LA PARTECIPAZIONE STRAORDINARIA DI LORENZA MARIO

COMMEDIA MUSICALE DI GARINEI E GIOVANNINI
SCRITTA CON JAJA FIASTRI
LIBERAMENTE ISPIRATA A “AFTER ME THE DELUGE” DI DAVID FORREST
MUSICHE DI ARMANDO TROVAJOLI

ENSEMBLE:
ANTONIO BALSAMO
ANTONIO CAGGIANELLI
VINCENZA BRINI
FRANCESCO CARAMIA
SILVIA CONTENTI
STEFANO DILAURO
NICOLAS ESPOSTO
MARTINA GABBRIELLI
MARTA GIAMPAOLINO
GIAMPIERO GIARRI
SIMONE GIOVANNINI
FRANCESCA IANNÌ
KEVIN PECI
ARIANNA PROIETTI
ANNAMARIA RUSSO
ALESSANDRO SCHIESARO
YLENIA TOCCO

COREOGRAFIE: GINO LANDI
DIREZIONE MUSICALE: MAURIZIO ABENI
REGIA ORIGINALE: PIETRO GARINEI E SANDRO GIOVANNINI
RIPRESA TEATRALE: GIANLUCA GUIDI

Regia di GIANLUCA GUIDI
Produzione di Alessandro Longobardi per OTI Officine del Teatro Italiano in collaborazione con Viola Produzioni




Teatro Brancaccio

Via Merulana, 244
00185 Roma
whatsapp: 344 1455127

orario apertura al pubblico
martedi – sabato h.16.00/19.00
domenica h. 15-00/18-00
lunedi chiuso


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