Ecco un esempio di regia, cast e scenografia al servizio di un solo attore, un gigante, a dirla tutta, peraltro inaspettato, quantomeno per chi scrive. E' proprio così. C'è un sottile e ricorrente dualismo in questa rappresentazione teatrale: ad esempio, sul palco, tutti agiscono in bilico tra irruenze caratteriali e disturbi patologici, mentre Leo Gullotta procede in forma disgiunta, chiaramente collocato in una dimensione introspettiva. Di conseguenza, paiono concretizzati gli effetti di due regie diverse: una direzione pragmatica sembra far muovere gli attori tutti; indicazioni immaginarie esercitano ascendenze sul protagonista, il quale pare ispirarsi alla drammatica e fantasiosa visione del Pasolini di "Uccellacci e Uccellini". E' un nome altisonante ma pertinente, peraltro non unico: in questo contesto, infatti, ed incredibilmente, l'attore siciliano riesce a concretizzare la mimica caricaturale di Totò e il romanticismo poetico di Charlie Chaplin, alle quali unisce, in un connubio che fino ad ora risulta totalmente inedito, un pizzico del surrealismo grottesco di Ugo Tognazzi. Si aggiunga che egli, con il solo sguardo (giacchè pochissime sono le battute a lui concesse), si insinua oltre la quarta parete e lo fa in maniera sottile, delicatamente, confondendo ogni volta lo spettatore che, estasiato da questa sua abilità, non riesce mai a realizzare se lo si stia effettivamente chiamando in causa oppure se il personaggio di Bartleby vaghi con la testa, visualizzando percorsi propri, estranei alla concretezza, forse trascendenti, in una direzione, quella della platea, che probabilmente è soltanto una delle tante. Le rigide convenzioni giornalistiche imporrebbero ora di accennare alla morale sottesa al racconto, alle abilità attoriali e direttive di cast e regista, alla efficace scenografia, fornendo, così, ai fini dell'acquisto del biglietto, preziose indicazioni al potenziale spettatore. Beh, "avrei preferenza di no": si ritrovi, il lettore, in quanto ampiamente descritto sopra, andando a teatro e constatando de visu, possibilmente omettendo di documentarsi leggendo anzitempo il racconto di Herman Melville, al quale questa pièce si ispira, assicurandosi così la possibilità di apprezzare in toto le potenzialità di un personaggio unico poiché scevro da drammaturgia, quasi muto, del tutto singolare, a tratti alieno. La vera arte teatrale è qui, in questo Leo Gullotta. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 29 marzo 2022. |
BARTLEBY LO SCRIVANO
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