Nel duttile spazio del Teatro Studio Melato rinasce dal DNA dell’opera russa il nucleo di personaggi, ciascuno iconicamente riassunto da una frase: citando tra gli altri, Figlio, uno che prova a influenzare la realtà con la scrittura, oppure Zio, uno che voleva essere, ma non è stato. Solo Nina, una che vuole fare l’attrice o la rivoluzione conserva anche nella locandina il nome originale del personaggio, d’altra parte è lei il gabbiano. L’arcoscenico è tutto occupato dalla grande vetrata che ci mostra il nono, muto personaggio: il lago, che ci accoglie riflettendo la luce della luna filtrata da nuvole plumbee. In questa atmosfera che amplifica i pensieri e acuisce le percezioni, il giovane scrittore sente che potrebbe realizzare il suo obiettivo di un’arte nuova. La delicata e tormentata personalità di Kostia, il Figlio, non sembra in grado di difendere la fragile opera che sta nascendo da una Madre narcisistica, una grande attrice forse in declino, una sontuosa Laura Marinoni in tailleur, gioielli e tacchi a spillo. Come nel dramma di Čechov, l’azione è assente o si svolge fuori scena, ma con quanta chiarezza vediamo svilupparsi i personaggi e le relazioni mancate tra di loro! La comicità e il dramma si alternano senza soluzione di continuità, in un mix che per forza doveva risultare poco comprensibile ai contemporanei del russo. Il sarcasmo di Maša, la Vicina, una che porta prugne e il lutto per la sua vita, interpretata da Camilla Semino Favro, non è meno intenso del suo amore per Kostia e della sua repulsione per il Maestro, uno a cui tocca camminare e che non riesce mai ad essere visto veramente da nessuno. Povero piccolo maestro, l’esordiente Cristian Zandonella, la cui vita non può pretendere di essere messa in scena, oggetto e non soggetto di una comicità involontaria, non degno di esistere nello sguardo degli altri. Volontaria è invece la comicità di Sorin lo Zio, uno scintillante Nicola Pannelli, lieve e divertente. Come non riesce a sposarsi o a diventare uno scrittore, così non riesce ad essere efficace nel bloccare l’azione distruttiva della Madre verso il Figlio. Il suo unico rifugio è l’ironia, il suo non prendere nulla sul serio, nemmeno la malattia o la morte. La leggerezza è anche il registro principale del Dottore, uno sazio della vita interpretato intelligentemente da Marco Quaglia. Si prende in giro da solo, ma prova ad essere di aiuto a ciascuno, con tocchi delicati più adatti a curare i sentimenti che i corpi. Solo di Trigorin diffida, il Romanziere, uno a cui piace pescare, ma deve scrivere, e a ragione. È uno che guarda, il Dottore, i suoi occhi sono ben aperti e non si lascia ingannare dalla fama o dalla bellezza. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 28 gennaio 2024 |
COME TREMANO LE COSE RIFLESSE NELL'ACQUA (čajka) Piccolo Teatro Studio Melato via Rivoli, 6 - Milano Orari: |