Un ammiccante e paillettato filottete (Pietro Mattarelli) apre la scena, in solitaria, scoccando il dardo della curiosità in favore degli astanti ed enunciando con un brevissimo antefatto la trama che andrà a propalarsi. Il taglio palesemente giornalistico-crime dell'opera, che incolla il pubblico ad una suspence eccitata, è riconducibile alla scrittura originaria a cui attinge il recital corale. Maurine Dallas Watkins, drammaturga e sceneggiatrice americana, firmataria dell'opera teatrale nel 1926, ebbe infatti a svolgere agli esordi della sua carriera la professione di giornalista per il Chicago Tribune. Questo tratto di vita le diede il materiale e l'ispirazione per la scrittura della pièce la cui première ebbe luogo il 30 dicembre 1926. Inevitabile un breve cenno al film del 2002, diretto da Rob Marshall, scritto da Bill Condon e basato sull'omonimo musical di Broadway, osannato da critica e pubblico; la pellicola ottenne diversi meritatissimi riconoscimenti nel 2003, tra cui sei Oscar, tre Golden Globe e due BAFTA. Accade che, misteriosamente ma non troppo, personaggi dal ruolo marginale rispetto ai protagonisti indiscussi, amplificano l'effetto sbrilluccicante dell'opera rendendola priva di down per l'intero percorso. Gli assoli quindi di Velma Kelly (Stefania Rocca) in "All That Jazz", Roxie Hart (Giulia Sol) in Funny Honey, Billy Flynn (Brian Boccuni) in "All I Care About", Amos Hart (Cristian Ruiz) in "Mister Cellophane", di fregio incomparabile, risultano picchi di estrema virtù canora che mai sottraggono valore alla coralità dell'intero cast, coreografato splendidamente dal celeberrimo Franco Miseria che ha dimostrato quanto la sua verve sia scoppiettante e mai calante. Ma la roboanza assoluta è interamente appannaggio di Mama Morton, la secondina truffaldina, al secolo Chiara Noschese (figlia d'arte, attrice, cantante e regista teatrale) con il perfetto gorgheggio in "When You're Good to Mama ", che ha la firma della adamantina regia la quale, insieme a Mary Sunshine, Luca Giacomelli Ferrarini - attore, cantante, regista - classe 1983, figlio della soprano Alida Ferrarini, dimostratosi padrone di versatilità di scena e del bel canto in "A Little Bit of Good", scardina definitivamente la credenza che vuole le figure secondarie ai margini, dimostrando con una costruzione scenica ad hoc quanto il talento nella recitazione e nel canto sia, in effetti, propedeutico alla danza e all'arte più in generale. La ridistribuzione dei pesi e delle angolazioni da cui osservare gli accadimenti è talmente geniale che regala finanche alle figure dei presunti sommi reietti, come Amos Hart (Cristian Ruiz), quel momento di assoluto primato che sottende al sublime riscatto catartico di scena. Quando un cast, diretto e coreografato sapientemente, mette a disposizione del pubblico generosamente ed energicamente la propria arte, accade un miracolo esemplare: il ruolo preponderante lo rivestono non più gli interpreti ma le quattro forme d'arte, ossia il canto, il ballo, la recitazione e la musica. Aderenti garbatamente alla tradizione, forse esageratamente, poichè data la caratura elevata dello spettacolo si sarebbe potuto osare senz'altro di più, scene (Lele Moreschi) e costumi (Ivan Stefanutti). Corale, dinamogeno, cristallino. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 28 ottobre 2023 |
Chicago
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