Il palcoscenico del Teatro Studio Melato per una volta si chiude in uno spazio teatrale in cui il boccascena è netto e presente: è la linea oltre la quale non passano i morti. Davanti a noi un vecchio solo, raggrinzito e spelacchiato sta impastando il pupo di zucchero, un dolce antropomorfo e decorato preparato per la notte dei morti, offerto alle anime dei defunti e consumato in un rito simbolicamente patrofago. Il vecchio ha già aperto la porta di casa per far entrare la sua famiglia di defunti. Ecco, i primi sono già arrivati: tre sorelle con i nomi di fiore, Viola, Rosa e Primula. Ne lo Cunto de li Cunti la terza sorella si chiamerebbe Garofano, ma l’autrice e regista Emma Dante lo ha dichiarato, la sua è solo una libera ispirazione al celebre libro del Basile. E infatti, a differenza del suo precedente spettacolo “La Scortecata”, qui il riferimento ad un racconto del Pentamerone è del tutto evanescente e impastato, appunto, con il rito siciliano dei morti. Ma quando le tre sorelle (il tre è uno dei numeri magici delle fiabe) intonano un meraviglioso canto a cappella, mentre il vecchio impasta e prega con il rosario, siamo già dentro la fiaba. Mentre la pasta per il pupo di zucchero lievita, il vecchio si assopisce; pronte, le tre sorelle lo richiamano affettuosamente al gradito compito con il lieve tintinnio di campanellini. Così inizia questa notte con i defunti; sono lì tutti presenti a condividere attimi della loro vita passata con l’unico superstite della famiglia. Arriva Pedro, innamorato perso di Viola, arriva Mammina che ha aspettato con il “core tremmolante” Papà, il marito marinaio, per cinquant’anni, zia Rita e zio Antonio che litigano e si menano e fanno l’amore, Pasqualino, l’orfanello adottato, famelico e pirotecnico come un arlecchino nero. La festa dei morti comincia, il vecchio ricorda ogni evento di famiglia e intorno a lui i morti ripetono ciò che hanno fatto per una vita, ballano, cantano e per una notte gli tengono compagnia. Mentre la pasta lievita faticosamente, il vecchio evoca i banchetti passati, con una enumerazione immaginifica e pantagruelica delle portate, e i morti cantano e ballano, rievocano i giochi di ragazze sotto le coperte, la festa grande di quando papà tornava a casa. È tutto un canto armonico e melodioso, un gioco pirotecnico, una danza fantasmagorica e scintillante, questa festa dei morti. Poi finalmente il pupo di zucchero è pronto per essere mangiato, dai morti e dai vivi. Emma Dante riesce a muovere emozioni profonde con questo suo Pupo di zucchero - La festa dei morti. Le suggestive sculture create da Cesare Inzerillo ci ricordano il rito antico della colatura dei defunti, evocano le terresante napoletane e il cimitero delle Fontanelle, e l’usanza di rivestire a nuovo ad ogni due novembre i corpi dei propri cari. La pietà per i morti, la rimembranza profonda ma non triste del proprio passato e delle proprie origini, l’accettazione della morte come un passaggio necessario e naturale diventano potenti in quest’opera. La tentazione di meditare in silenzio alla fine dello spettacolo è forte, ma tutti gli attori hanno meritato il caldo applauso finale.
La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 12 aprile 2023. |
PUPO DI ZUCCHERO liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile
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