Album

Marti
King of the minibar

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Scritto da Roberto Cangioli Lunedì 27 Febbraio 2017 19:57

Immaginate un hotel decadente a Berlino; immaginate 10 stanze in cui alloggiano altrettanti ospiti eterogenei tra loro, ciascuno con una sua storia personale da raccontare, ma con un piccolo, forse insignificante fattore comune: il minibar. Marti è lo spettatore, colui che si siede sempre in un angolo e osserva, descrive le storie dei suoi ospiti. Sono anch’essi clienti immaginari, visto che fra loro troviamo un naufrago alla deriva su una zattera in mezzo al mare (“Husband Lost At Sea”); c’è Evatima Tardo, un’artista fachiro di Vaudeville, descritta da Houdini come una delle donne più belle del mondo e resa immune al dolore dal morso di un serpente letale . C’è “Mr Sophistication”, il personaggio del film culto Assassinio di un allibratore cinese di John Cassavetes. “King Of The Minibar” è il nuovo progetto del cantautore genovese Andrea Bruschi, che con questo album chiude una trilogia discografica iniziata con “Unmade Beds” (2006) e proseguita con “Better Mistakes” (2011).

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Stato brado
Cosa adesso siamo

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Scritto da Max Casali Domenica 26 Febbraio 2017 19:44

Non ci si annoia di certo con il secondo lavoro dei livornesi Stato Brado, perché l’aria che tira in “Cosa siamo adesso” è quella della baldoria come quella della riflessione bilanciata e non pedante. In aggiunta, chi è che non può considerarsi un errante nella vita a vario titolo? Se non sei viaggiatore ti piace stimolare la dea bendata, se non sei un centauro sei un travet giacca e cravatta. Insomma, nessuno escluso, può in qualche modo riconoscersi nel tracciato dell’album tra intrecci di folk-rock, country e blues. Il settebello di Livorno sa elargire l’offerta con calibrata precisione di suoni e arrangiamenti sempre equalizzati a puntino per cavalcare “ad hoc” il genere proposto. L’inizio di “Nient’altro” è evidenziato da sonorità di stampo partenopeo per poi tradursi in una gaia marcetta dalle tinte briose. Per non prendersi troppo sul serio , la band introduce galoppi da western già da “Scommessa” e, più avanti, in “Oscura è la notte” , con adeguati squilli di trombe e chitarre seriose. Ma, per confermare che qui la noia non attecchisce, ti piazzano la cover di Ivan Graziani “Sabbia del deserto”, allegra e spensierata col sax tenore in grande rilievo. Gli Stato Brado sanno rivoltare presto la frittata per deliziarci con lo slow-blues di “La schiuma dei giorni” e “Alla guerra non andrò” , suggellate entrambe dalla piacevole sinergia sax-tromba in stile Dexys Midnight Runners .

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Cromosauri
Noiz!

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Scritto da Daniele Ruggiero Giovedì 23 Febbraio 2017 14:32

“Noiz!” è l’immagine accelerata di un cielo azzurro sul quale si sovrappongono nuvole instabili, commoventi raggi di sole ed improvvisi fulmini accecanti che provocano bagliori di stupore.

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Big Bang Muff
Crash Test

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Scritto da Daniele Ruggiero Giovedì 23 Febbraio 2017 14:26

“Crash Test” è una corsa frenetica nell’ombra di una quotidianità tormentata da inquietudini moleste.

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Renzo Cantarelli
Dolos

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Scritto da Max Casali Mercoledì 22 Febbraio 2017 22:56

Ci fa recuperare un bel po’ di elegante tradizione folk-rock cantautorale il quarto lavoro del carrarese Renzo Cantarelli e, al pari di “Amen” del suo illustre compaesano Gabbani, ci conduce a importanti riflessioni esistenziali, non solo sull’ umana rassegnazione ma soprattutto su solitudine, guerra, immigrazione e tanto altro. E lo ha fatto con un album in cui si avverte che i contenuti tematici e sonori sono stati elaborati e intessuti con eccellente cura che sfiora il maniacale. E l’idea viene resa brillantemente in tutte le dieci tracce di “Dolos”, e nello specifico sulle tratte aerobiche rock-folk di “Una piccola parte di te” che, a mio avviso, è uno dei candidati per un singolo insieme a “Dove sei”, semi-ballad dal refrain più accattivante ma non ruffiano, con fraseggi pianistici di gran pregio. Mentre “Riciclata esistenza” racchiude l’essenza concettuale dell’opera: ovvero, di un’etica che si è andata a farsi benedire, facendo prevalere un inquietante senso di smarrimento, per l’incapacità di sostituire i valori dispersi della vita con altri nuovi.

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Polemica
Keep Your Laws Off My Mind

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Scritto da Gianluca Livi Mercoledì 22 Febbraio 2017 22:16

Progetto interessante, questo dei Polemica, quartetto multinazionale che propone attitudini non omologate, attinte a pieni mani dall’undergound post punk e new wave degli anni ’80, seppur con formula adeguatamente aggiornata.

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Alberto Vatteroni
Tra inganno e realtà

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Scritto da Max Casali Lunedì 20 Febbraio 2017 22:45

La domanda è lecita: come fa un giovane artista di appena 24 anni ad aver assimilato cosi bene un genere come il prog che viveva il suo massimo splendore negli anni ’70? Semplice: crescendo tra pile di dischi paterni che diffondevano in casa questa musica e tanto altro buon rock. Ma, detta cosi, sembrerebbe semplice alla portata di tutti ma non sarebbe sufficiente. In aggiunta occorre la complicità di un’anima sensibile e percettiva come quella di Alberto Vatteroni , polistrumentista cantautore carrarese che, estasiato dai suddetti ascolti, decise dieci anni fa di imbracciare la chitarra e intensificare i studi per poi diplomarsi con lode e facendosi le ossa in tanti live con un paio di gruppi: Oneiros e Numph. E non si pentiranno di certo i sostenitori della piattaforma-crowdfunding Eppela, per aver messo la mano in tasca per produrre l’album d’esordio. E Alberto cosa ha fatto per onorare il loro impegno pecuniario? Ha calato il settebello “Tra inganno e realtà”, in cui ci si immerge in sonorità mature, ben congegnate e, come detto, sorprendentemente anacronistiche per la sua età. Il varo dell’opera è affidato ad “Anima” , in cui un riff-zanzara arriva da lontano e ti si attacca come una benefica sanguisuga ritmica, fatta eccezione per una breve tregua. Ma già scalpita “Hubris”, con l’ariosità del suo refrain accompagnato dalla vocalità passionale di Alberto e l’efficace assolo di chitarra elettrica. E’ logico che in un contesto cosi bello carico l’artista intuisce che c’è anche bisogno di inserti-ballad come “Morfeo” e “Libero spirito”: la prima di matrice rock-prog dalle belle varianti mentre la seconda alquanto seduttiva per l’ottimo arrangiamento, che ispira sensazioni tra l’onirico e un volo pindarico. Sia chiaro che l’anima di Vatteroni non si limita al rock ma assume, non di meno, anche un’intelaiatura di forma-canzone tipicamente pop-rock nostrano. Il pezzo che sorprende maggiormente, per la sua fantasia stilistica, è “Il giorno per noi” , con tratti sonori disegnati in modo da non far prevedere nulla del suo sviluppo anche all’ascoltatore più smaliziato.

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AA.VV. Metal Years Vol.II

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Scritto da Janus Venerdì 17 Febbraio 2017 20:07

Ace Records e Celtic Moon Records lo avevano anticipato già in occasione della prima uscita discografica (da noi recensita QUI), che ci sarebbe stato anche un volume secondo e così è stato.

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I Paradisi
Dove andrai

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Scritto da Max Casali Giovedì 16 Febbraio 2017 23:02

Con appena due anni di attività, la band dei lombardi I Paradisi giungono al debutto con un album costruito con sorprendente maturità, quella che arriva di solito a chi ha già incamerato un bel pacchetto d’esperienza. Eppure, nonostante la giovane età, la band ci consegnano 10 “paradisi” sonori da far invidia a navigati combi che sono ancora alla ricerca del loro strutturale perché. “Dove andrai” non è scritto col punto interrogativo ma vuole essere, piuttosto, un punto d’osservazione, una sospensione colloquiale come dire: Dove andrai….lo sai tu. Invece, le domande serie ed esistenziali sono reperibili nello zibaldone delle liriche, strutturate in forma cantautorale con fascinose spruzzate beat sixties e seventies. Tendenzialmente, c’è una linea-guida nell’itinerario dell’album, che traccia l’asse di demarcazione sul quesito umano fino a dove riesca ad affondare la sondina interrogativa nella propria anima, per introspezioni chiarificatrici sul proprio agire ed eliminare così le scorie di pensieri disgreganti. I Paradisi hanno sempre l’asso nella manica per deliziarci con un genere coraggiosamente anacronistico: di gran lunga meglio del Rap che potevano scegliere per tendenza anagrafica e (Deo gratias!), non l’hanno fatto . Di fatto, questa band è l’eredità dei precedenti Paradisi Noir, ma han tolto il “nero” perché ora il percorso è chiaro nella testa del quartetto: nuove visioni concettuali e differenziazione stilistica: ambo vincente uscito sulla ruota di Milano. La rassegna di “Dove andrai” è capace di esporre sonorità di stampo cinematografico, come “Un brutto sogno” e “Bocca sporca” , con l’incedere aerobico alla 007 e che filano via gustose con due commenti predominanti e distinti di chitarra elettrica e tastiera, per poi unirsi in un bell’assolo strumentale.

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Davide Solfrini
Vèstiti male

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Scritto da Max Casali Mercoledì 15 Febbraio 2017 19:41

Ho sempre nutrito una certa stima verso quegli artisti che sono allergici alla strizzatina d’occhio, ruffiana e mielosa, pur di fare ascolto e che invece indirizzano il loro estro verso una ricercatezza stlistica personalissima. Davide Solfrini rientra tra questi, con l’aggiunta che i sei pezzi di “Vèstiti male” (che esce per l’intraprendente etichetta New Model Label), sono un monito(r) verso un mondo tutt’altro che tenero e autentico e che sa scrutare , con umile obiettività, anche verso un’introspezione interiore . E’ un esaedro con lati acuminati ma smussati adeguatamente dal cantautore romagnolo, con un’architettura sonora poliedrica e raffinata. E li sa vestire fantasiosamente per ogni occasione. A “Cose buone” e “Alto mare” fa indossare il frac, in pura eleganza pop, con chitarre bilanciate, archi, campanellini e indubbia passionalità vocale che, talvolta, ricorda il suo omonimo che di cognome fa Groff. Invece, per la title-track, tende polemicamente al casual, con il preciso intento dell’invettiva verso griffes e status-symbol che schiavizzano la scelta della massa: splendidi accordi acustici con fisarmonica e bonghi a dettare il tempo, benché il grido del titolo è portato ad eccessiva ripetizione. Davide guarda il mondo non con quella spocchia d’erudizione, tipica di chi si crede superiore, ma si allinea alle umane debolezze facendole sue con disarmante semplicità. Già “Cose buone” ne rivela un aspetto: quello del rimbrotto mattutino, un lisciebusso cosi dannatamente comune prima dello sgobbo quotidiano e orla il pezzo con fraseggi di buon synth per diversificare la sua dinamicità velatamente oscura. La cerniera del lavoro l’apre col basso incisivo e severo di “Portiere notturno” e la chiude con la gradevole semi-ballad “Una volta ero un uomo diverso”.

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