Scritto da Valentino Butti Domenica 22 Giugno 2008 22:46 Letto : 2716 volte
Molto ben riuscito, come già accennato, l’ultimo album in studio del 2005, con una produzione impeccabile e la capacità , ormai consolidata, di assemblare sonorità ipnotiche (la title track “World through…”) ad altre di più facile presa (la comunque gradevole “Roses”). Subito dopo (ma sempre nel 2005), un magistrale live che raccoglieva il meglio della loro produzione, un paio di cover dei Floyd (Welcome to the machine e una travolgente Cymbaline con spruzzate di Atom Heart Mother), una di Syd Barrett (Opel) e un ospite d’eccezione come Ray Wilson (ottime le interpretazioni di Roses e della genesisiana Not about us). Con trepidazione, mista a curiosità mi accingo, dunque, ad assaporare questo “Experience”. Il primo brano “Silenced”, di quasi 10 minuti, è molto interessante: su un tessuto sonoro ormai sperimentato, la band ammicca a sonorità più heavy, pur mantenendo inalterata la propria capacità melodica (sempre notevole) con un bel finale tratteggiato dall’elettrica e dalla voce del leader (e tastierista) Yogi Lang. Notevole, probabilmente, la resa live. Divertenti e potenziali “biglietti da visita” per tentare di avvicinare un pubblico il più eterogeneo possibile sono “Breath in breath out” (dal ritornello di facile presa) e la “provocatoria” (almeno nel titolo) “This is not a prog song”. Certamente non è in queste due tracce che gli RPWL danno il meglio,ma perdoniamoli ... Doveroso accenno merita “Masters of war“ cover di Dylan in salsa “rosa” (pare estratto da A momentary lapse of reason), mentre da segnalare l’aggressiva “Stranger” con un tentativo della band di avvicinarsi al sound dei Dream Theather, anche se fortunatamente ogni tanto riaffiorano passaggi più delicati e raffinati. Forse il top dell’album è rappresentato da “Talk to the river”: inizio da ballad acustica, una parte centrale psichedelica e un finale che riprende l’incipit ma in chiave più rock. Da dimenticare, invece, “Choose what you want to look at” dalle sonorità sin troppo moderne, anzi moderniste ... decisamente evitabile. Piuttosto anonima anche “Turn back the clock” che si segnala solamente per un “ricamo” di tastiere di Lang. L’album si chiude con i sette minuti e mezzo di “Reach for the sun” dai toni vellutati e con bel finale in crescendo. Dopo quasi 80 minuti salutiamo, dunque, un buon lavoro che conferma la band tedesca ai vertici di certo progressive non troppo “astruso”, ma rivolto anche ad una platea più ampia del semplice appassionato di progressive. 78/100
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Yogi Lang: Vocals, Keyboards Anno: 2008 |