Scritto da Leonardo Furlan Sabato 10 Agosto 2024 15:56
Nel 2019, sarà stato l’inizio dell’estate, un’amica mi fa: “Senti, ad agosto perché non venite qualche giorno con noi su dalle parti del Passo San Boldo… c’è questo festival musicale – si chiama ‘Pamali’ – una cosa un po’ fricchettona, un po’ particolare, ti piacerà, e poi ci sono un sacco di attività per i bambini: le mie figlie lo adorano, vedrai che anche Lucrezia si divertirà. Noi saliamo in camper, voi potreste appoggiarvi a noi se venite su in tenda”.
“Pamali? Mai sentito.”
“Pamali sì… dev’essere una parola dei nativi d’America, sai: ci sono i tepee e tutte quelle cose là degli sciamani, è già qualche annetto che lo fanno.”
“E che ti devo dire? E andiamo a vedere ’sto Pamali.”
“Pamali”, almeno a quanto sono riuscito a verificare in seguito, non è in realtà una parola attestata tra i popoli nativi d’America. Però è il nome di un piccolo villaggio indiano (1.758 abitanti all’ultimo censimento) dello Stato del Punjab, distretto del Ludhiana, mentre in Urdu, la lingua parlata da oltre 200 milioni di persone tra Pakistan e paesi confinanti (nonché la lingua in cui canta la jazzista neo-sufi Arooj Aftab – per inciso: uno dei migliori dischi del 2024 è suo), ha un significato cruento, che si può tradurre con “devastare, calpestare, distruggere”… mhm… difficile che quelli del festival si siano ispirati a questo terribile concetto. Se però ci spostiamo in Indonesia, nella parte occidentale dell’isola di Giava, dove si parla il Sundanese, “Pamali” significa “tabù ancestrale”, già qualcosa di decisamente più suggestivo, certo… ma forse, chissà, più adatto a una rievocazione etnica.
E quindi no, in definitiva non ci siamo ancora. Facciamo così: la cosa migliore è farsi spiegare tutto dall’ideatore stesso del Pamali, “Caio” Claudio d’Altoè, con cui riesco per la prima volta a parlare a poche ore dalla chiusura dell’edizione 2023 del Festival.
“Era il 2010, facevo il muratore giù a Tarzo con mio padre, ascoltavo un sacco di musica e pensavo che ci fosse bisogno di spazi, di occasioni comuni per ascoltarla assieme e suonarla dal vivo anche lì da noi. Avevo in mente un piccolo festival che avesse come tema questi tre concetti: ‘state in pace, amatevi, e siate liberi’. E insomma, c’era già tutto lì: PAce-aMAre-LIbertà… PA-MA-LI, o, se vuoi, anche la Pace che AMA la Libertà (e viceversa). Ecco come è nato il nome: sei sole lettere che racchiudono tre concetti così importanti… All’inizio abbiamo fatto tutto giù, a Tarzo, poi, dal 2015, siamo saliti quassù, al Passo San Boldo, grazie all’ospitalità di Gianni B., lo sciamano della valle.”
Ora che sappiamo qualcosa di più sul nome, possiamo sospendere il racconto di Caio, per dedicarci alla geografia del luogo.
Scritto da Gianluca Livi Giovedì 30 Maggio 2024 09:27
Vi abbiamo già parlato di Rebel Rebel, amabile negozio di dischi diretto dal simpatico Anthony Bosin (lo abbiamo largamente menzionato nell'articolo "Disco New a Bolzano: dalle sue ceneri sorge Rebel Rebel"). |
Scritto da Gianluca Livi Giovedì 14 Dicembre 2023 22:24
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Scritto da Giuseppe Scaravilli Mercoledì 11 Gennaio 2023 17:26
Scritto da Giuseppe Scaravilli Mercoledì 23 Novembre 2022 10:57
IL ROCK PROGRESSIVO ITALIANO
Le band italiane degli anni Settanta erano numerosissime e si esibivano ai vari festival organizzati in tutta Italia. Tra questi basti ricordare quello di Re Nudo, il Be-In degli Osanna, quello delle Avanguardie e Nuove Tendenze (a Viareggio nel 1971 e a Roma l’anno dopo), il Davoli Pop, i festival romani di Caracalla e Villa Pamphili, quello di Palermo Pop ’71 con ospiti i Black Sabbath e quello milanese del Parco Lambro, tenuto dal 1974 al 1976.
Scritto da Gianluca Livi Martedì 30 Agosto 2022 09:00
L’evento ha avuto una certa rilevanza, ma soltanto localmente. I non residenti in Alto-Adige, pertanto, ne sono venuti a conoscenza con inevitabile ritardo: il 4 marzo 2022, a Bolzano, si è spento Walter Eschgfäller, a soli 67 anni. |
Scritto da Gianluca Livi Lunedì 29 Marzo 2021 16:05
Nascosto tra le pieghe della rete, c'è un divertente botta senza risposta (almeno fino ad ora), che merita attenzione. |
Mercoledì 17 Marzo 2021 10:44
Introduzione Dario Calfapietra ha realizzato un interessante documentario dedicato al mitico negozio Disfunzioni Musicali, una della realtà più importanti, se non la più rilevante, quando si ricordano i vecchi negozi di dischi di Roma. L'attività era incredibilmente inserita nel substrato non convenzionale della Capitale, offrendo un ventaglio vastissimo di opere musicali inconsuete, nuove ed usate. L'autore ha inteso omaggiare quella inusuale ma indimenticata realtà underground, genuina espressione di un comune sentire che, a distanza di 14 anni dalla chiusura, genera ancora buone e forti energie. |
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Domenica 07 Marzo 2021 02:07
VIAGGIO NELLA ROMA VINILICA (TUTTI I NEGOZI DI DISCHI NELLA CAPITALE) .
Introduzione .
Mi è sempre capitato, da turista, di cercare in rete una mappa dei negozi di dischi di ogni luogo da me visitato, che si trovasse nel nuovo o nel vecchio continente. In tal senso, internet mi ha sempre prontamente soccorso, fornendomi dettagliati elenchi stilati da appassionati piuttosto maniacali.
Quasi per gioco, ho provato a consultare la rete anche sulla piazza di Roma, la mia città, e il risultato è stato deludente.
Scritto da Mattia Farci Venerdì 08 Febbraio 2019 00:37
Le pagelle di Sanremo 2019, curate da Mattia Farci, riflettute e riviste dopo il secondo ascolto
Introduzione
E’ un Festival lento dove si cerca di dare centralità alla musica. Baglioni canta e lo sa far bene riuscendo ad abbracciare una plurità di generazioni. Meno show e più musica, questi sono gli intenti. La kermesse vorrebbe anticipare o almeno muoversi al passo coi tempi, ma risulta troppo ancorata a stereotipi musicali d’altri tempi e superati. Ancora una volta il Festival segue una direzione e la discografia italiana un’altra.
Le pagelle.
Motta – Dov’è l’Italia
Manifesto dei nostri giorni e di una società divisa tra il pubblico e il privato, tra il senso di appartenenza e chi vuole fuggire,
tra indecisioni, dubbi ed incertezze, tra chi una direzione non l’ha ancora trovata e “tra chi vince e chi perde e chi non se la sente”.
In un mondo globalizzato, interconnesso e che scorre veloce si canta l’assenza di punti fermi.
Un testo impegnato che descrive in maniera vivida e cruda la deriva sociale del quotidiano. Ideologia o scelta di comodo?
Pregevoli le venature folk scandite con una chitarra che fa da sottofondo a tutto il brano e il titolo del pezzo “Dov’è l’Italia” che si ripete in loop.
Motta è più autore che cantante. E’ chiamato a rappresentare l’indie italiano che avanza e incalza.
Calcutta e Gazzelle restano, ad oggi, di un altro pianeta.
Sei
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Loredana Bertè – Cosa ti aspetti da me
Come un quadro cubista di Chagall.
Come un dipinto d’espressione tedesca.
Come un’opera architettonica di Herzog e de Meuron.
Intelleggibile come un romanzo di James Joyce.
Espressiva, spregiudicata, sovversiva e rock and roll.
Pienamente dentro alle parole che canta.
Loredana sembra posseduta dalla musica.
Vibra e si fa sentire. La sua voce graffiata fa il resto.
Sette ½
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Boomdabash – Per un milione
Ritmo incalzante, orecchi educati all’ascolto e produzione, notevole, che fa da padrona.
Più reggae che hip-hop, con una mano tesa al pop nel senso più canonico del termine.
Azzeccata la scelta dei cori nel ritornello che rendono armonico il pezzo.
Brano che però manca di flow e di questo la metrica ne risente.
Peccato, inoltre, per l’assenza del peculiare dialetto salentino che contraddistingue tutti i pezzi del gruppo.
“Ti aspetterò come il goal che sblocca la partita”.
Vivaci, radiofonici, ma, senza osare, non fanno goal.
Dov’è rimasta l’energia che ci catapulta a bordo spiaggia, risacca del mare e un drink in mano?
Molto più bravi del brano che hanno presentato.
Sei
***
Arisa – Mi sento bene
Ti aspetti un ritorno struggente, carico di simbologia, un testo sentito e quasi sussurrato da un’interprete che sa raccontare con la voce.
Ti aspetti introspezione, chiaro-scuri e sfumature che tendono al grigio.
Ti aspetti commozione, tormento e a tratti agonia.
Ti aspetti che la voce di Arisa si rompa e cada in pianto.
Il ritorno di una delle voce più intonate del panorama musicale, invece, si tinge di tutte le gradazioni di colore.
Porta a Sanremo un brano gioioso, un ritornello che funziona e un pezzo quasi fiabesco.
Si impone con la sua voce senza debordare nel virtuosismo e risultare ampollosa.
E’, naturalmente, raffinata.
Confeziona una canzone che decolla, ma non fa volare.
Si percepisce nitidamente che si sente bene e la sua urgenza di manifestarlo.
Lei si sente bene e io vorrei, per scuotere le corde del cuore, che si sentisse un po’ male…
Sei ½
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Shade e Federica Carta – Senza farlo apposta
Shade è il plagio di se stesso.
La linea tra avere uno stile riconoscibile e risultare ridondanti è labile e a fare i funamboli su fili sottili a volte si cade.
L’equilibrio resta precario.
Il duo, già collaudato con il brano “Irraggiungibile”, si presenta sul palco dell’Ariston
cercando di reiterare l’esperimento con una ballad leggera, fruibile e con un ritornello incalzante che sale sulle note di “Scusa ma”.
La metrica è ben ripartita tra rap e melodia.
Pezzo dalla presa immediata e altamente radiofonico, ma senza pretese.
Oggettivamente: Quattro ½
Soggettivamente: Sette
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Ghemon – Rose viola
Contemporaneo nell’approccio al canto, nelle scelte stilistiche e nelle sonorità.
Minimalista, essenziale ed elegante nel suo incedere soul.
Sperimenta e si mostra innovativo.
Rivedibile il canto.
Di nicchia, ma ben riconoscibile.
Sei
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Ex-Otago – Solo una canzone
Arrangiamento scarno e minimalista.
Intimi nell’interpretazione.
Lavorano per sottrazione e convincono nella loro naturalezza.
In fondo è l’amore che conta e la semplicità vince sempre.
Otto
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Nek – Mi farò trovare pronto
Elettro-pop fatto di tastiere e bassi e un’orchestra che si sente e non ne risente.
Ritmo da dancefloor, un motivo melodico strutturato in modo da fissarsi saldamente in testa e un brano che ammicca l’occhio alle radio.
Poco sanremese.
Citofonare “Fatti avanti amore”.
Cinque
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Simone Cristicchi – Abbi cura di me
Fuori gara.
Veste con eleganza un arrangiamento pazzesco.
Si fa da parte per far spazio ad un velluto d’archi e ad un’orchestra che domina la scena.
Le sue parole librano leggere.
Delicato ed espressivo nel suo canto recitato.
“Tu non cercare la felicità, semmai proteggila”.
Otto ½
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Irama – La ragazza con il cuore di latta
Una storia fatta di violenza, maltrattamenti, sofferenza, ma anche di speranza per un domani diverso.
Cronache da prima pagina trattate con commovente delicatezza.
Un coro gospel, un ritornello che cresce e un ritmo serrato.
Ricorda a larghi tratti Mary dei Gemelli Diversi.
Funziona e, sicuramente, coglierà l’apprezzamento del pubblico.
Il precipizio della banalità resta dietro l’angolo e ad Irama tocca camminare in punta di piedi.
Sei ½
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Renga – Aspetto che torni
E’ virtuoso, non nel senso etimologico del termine in quanto dotato di virtù, ma nell’atteggiamento musicale,
diffuso a partire dalla metà del XIX secolo, in seguito all’affermarsi della borghesia e alla necessità per i musicisti
di stupire con particolari evoluzioni vocali il loro pubblico.
Il brano porta la firma di Bungaro e, almeno in teoria, dovrebbe rappresentare una garanzia.
Avrebbe potuto avere futuro migliore.
Piacerà (solo) alle mamme.
Quattro ½
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Paola Turci – L’ultimo ostacolo
Buona l’esecuzione, buona l’intensità e convincente complessivamente.
Padrona del palco, della sua voce e dell’interpretazione.
Porta all’Ariston un brano che si lascia gradevolmente ascoltare in pieno clima sanremese.
Intensa.
Cinque ½
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Ultimo – I tuoi particolari
Commistione tra il cantante pop che piace e l’autore proteso ad una ricerca musicale di qualità.
Piano e voce.
Piano è la partenza, poi la voce si sente tutta.
Buona la scelta melodica, poco robusto il testo.
Il duetto con Fabrizio Moro potrebbe dare nuova e diversa linfa al brano.
Mi sarei aspettato qualcosa di diverso dal cantautore romano a fronte del repertorio presentato fino ad oggi.
Resta il candidato più papabile alla vittoria.
Sette
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Mahmood - Soldi
Personale, riconoscibile, gran senso del ritmo e un timbro di voce che è una sentenza.
Si propone con un brano reso innovativo dal suo modo di interpretare.
Originale anche se non adatto al panorama discografico italiano.
In francese il brano scalerebbe radio e classifiche.
Da risentire.
Cinque
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Enrico Nigiotti – Nonno Hollywood
Di rara profondità.
Oscilla tra il non più della vita da ragazzo e il non ancora della vita da uomo.
Sguardo sognante e fiero.
Una patina di malinconia su una giacca che sente i segni del tempo.
Tempo che è andato e tempo che verrà.
“In fondo siamo storie con mille dettagli, fragili e bellissimi tra i nostri sbagli”.
Un cantautore dei nostri giorni che ricorda il primo Grignani.
Credibile.
Otto
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The Zen Circus – L’amore è una dittatura
Bandiere, tamburi e ticchettio di orologio.
Irriverenti, dissacranti e con una chiara identità.
Appino canta un testo intriso di riferimenti squisitamente politici scegliendo di presentarsi sul palco dell’Ariston con un brano senza ritornello.
Ha, per questo, il merito di svegliare gli ascoltatori del Festivàl dal torpore di strutture melodiche predefinite.
Per i fruitori dell’ultima ora invito vivamente all’ascolto di “Viva”.
Coraggiosi.
Sei
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Einar – Parole nuove
Alla fiera della banalità Einar risponde presente.
Per un interprete saper cantare è imprescindibile.
La penna e le capacità compositive di Maiello si sentono, la voce di Einar pure, purtroppo.
Un’occasione, ingiustamente concessa, sprecata in malo modo.
Quattro
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Negrita – I ragazzi stanno bene
Un testo sincero ed onesto.
Niente di più.
Un plauso a Cilembrini.
“La libertà è non avere più paura”.
Cinque
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Patty Pravo e Briga – Un po’ come la vita
L’esibizione sul palco non è memorabile. In qualità studio il brano acquista credibilità.
Briga ha un timbro di voce e un modo di porgere la parola unico e piacevolissimo.
Il valore aggiunto è lui che illumina la scena e, mentre canta lo special, si rendono evidenti i motivi.
Bel pezzo.
Sei ½
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Anna Tatangelo – Le nostre anime di notte
Una ballad leggera che di certo non mira al Premio Tenco.
Una voce pulita e misurata che torna alle origini nelle scelte stilistiche.
Il brano è un pò fragile in linea con la parabola artistica della cantante.
Una brava esecutrice, molto lontana dall’essere interprete.
Già sentita.
Quattro ½
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Achille Lauro – Rolls Royce
Non è trap, non è rap, non è indie e non è pop.
Mescola stili e generi in un brano energico fatto di rock e punk tra bassi e batterie.
Limita l’autotune, scandisce il tempo, batte il ritmo e si lascia piacevolmente ascoltare dal pubblico generalista.
Cita Elvis, Amy, i Doors e Hendrix.
Risulta a fuoco, con qualche eccesso che in gioventù può essere concesso.
Personalità da rockstar navigata.
Interessante la ricerca sperimentale.
Cinque ½
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Daniele Silvestri e Randagio – Argento Vivo
Un testo impegnato e delle scelte musicale ben definite.
Silvestri ha stoffa e tiene ben stretto un bagaglio culturale che lo porta ad evocare
immagini dure e vive di una realtà troppe volte dimenticata.
Il suo brano è un monito e un messaggio di denuncia scandito in maniera forte.
Coglierà, con molta probabilità, l’approvazione della giuria della critica e dei giornalisti.
La coppia è ben assortita, ma non convince appieno.
Il brano è molto distante per temi e scelte stilistiche dagli standard sanremesi.
Sei
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Nino D’angelo e Livio Cori – Un’altra luce
Neomelodico per definizione.
Nino D’Angelo è chiamato a rappresentare la canzone dialettale sul palco dell’ariston.
Lo fa in maniera innovativa portando un brano fresco fatto di sonorità attuali anche grazie al contributo di Livio Cori.
Lo sforzo del cantante napoletano è mirabile e l’utilizzo dell’autotune lo testimonia.
Meno peggio delle aspettative.
Quattro ½
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Il Volo – Musica che resta
Dopo il primo ascolto il dubbio si palesa: serviva davvero la loro presenza al Festival?
Ci servono una rivisitazione di “Grande Amore”.
Fastidiosi, insopportabili e irritanti.
Il pubblico, per ragioni non ben conosciute, continua ad osannarli.
Vecchi giovani.
S.v.
Scritto da Pierpaolo Lopatriello Sabato 11 Febbraio 2017 13:40
Introduzione
Puntuale come le tasse il grande carrozzone mediatico-musicale del Festival di Sanremo sospende per una settimana gli eventi di mezza Italia. Volenti o no, appassionati o recalcitranti, impossibile non farsi travolgere fosse pure dai tweet cattivo, il post iconoclasta, il parere non richiesto. Sono giorni che sui social danno i numeri… Ecco i nostri.
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