Il vero protagonista dell'opera "Jesus Christ Superstar" non è Gesù, ma Giuda, del quale viene riportato non soltanto il personale punto di vista, ma anche il logorante travaglio interiore, poi culminato dando corso all'insano gesto.
In tal senso, la rinnovata scelta di affidare questo ruolo a Feisal Bonciani appare del tutto vincente: oltre a cantare e a ballare divinamente, costui palesa piena padronanza del palco, anche quando vi giunge dalla platea, penetrando la quarta parete in senso inverso. Egli è un catalizzatore di attenzioni non soltanto verso il pubblico, che tiene costantemente in pugno con apparente, insospettabile disinvoltura, ma anche nei confronti dei colleghi attori e ballerini, il cui operato pare concretizzato in termini a lui funzionali. Ma quest'opera è sublimata dalla presenza di altri artisti eccellenti, a cominciare da Anggun, l'ospite blasonata del musical, la cui moderna vocazione impreziosisce, con uno stile vocale certamente più suadente, il ruolo di Maria Maddalena negli iconici brani "Everything's alright" e "I don't know how to love him". A Lorenzo Licitra, il nuovo volto di Gesù, il difficile compito di succedere a cantanti come Ian Gillan e Ted Neeley, suoi predecessori rispettivamente nell'opera teatrale del 1970 e nel lungometraggio di tre anni dopo: il suo uso del falsetto, necessario per emulare l'ugola dei due cantanti appena citati (il primo dei quali, lo si ricorda per dovere di completezza, ha riscontrato successo mondiale quale frontman dei Deep Purple) è risultato a dir poco esemplare, consacrandolo tra le voci più interessanti del panorama nazionale. Ha particolarmente colpito chi scrive, inoltre, la incredibile voce acuta di Mattia Braghero, in grado non soltanto di scalare svariate ottave con invidiabile scioltezza, ma anche di enfatizzare la sua prestazione in termini così estremi, da incarnare perfettamente l'altezzosa tracotanza del borioso sacerdote (a lui si contrappone la tonalità forse troppo greve del suo omologo Francesco Mastroianni). Questi ed altri talenti sono diretti esemplarmente da Massimo Piparo, che festeggia, con questa nuova edizione, i trent'anni dalla sua prima regia di "Jesus Christ Superstar". Ancora una volta, egli agisce con sguardo attento al gusto originariamente concepito dagli autori Andrew Llody Webber e Tim Rice, pur con alcune variazioni stilistiche che tendono ad attualizzare l'estetica sonora e visiva della rappresentazione: certo, i puristi potrebbero piccarsi per alcuni passi break dance ostentati da un paio di ballerini e addirittura indignarsi per la versione hip-hop di "King Herod's Song (Try It And See)" ad opera di Frankie hi-nrg mc (nome d'arte, ironia della sorte, di Francesco di Gesù), artista che potrebbe per questo apparire antitetico, anche in quanto ad incedere posturale e ad abiti indosssati. Al riguardo, va tuttavia precisato che lo scopo perseguito dal regista esigendo un ingresso così dirompente, è quello di esasperare il comportamento irriverente posto in essere da Erode e dai sommi sacerdoti nei confronti di Gesù, cosa che riesce perfettamente, invero, come dimostrano le uniche risate della serata, strappate al pubblico fin dai primi passi del rapper sul palco. Non bisogna dimenticare, inoltre, che l'opera fu in origine condita dai suoi creatori con anacronismi intenzionali, prevalentemente rappresentati da atteggiamenti e slang connotati da forti allusioni ironiche all'età moderna, in un generale contesto di controcultura, prevalentemente attinto dall'allora contemporaneo movimento hippie. L'opera di Piparo, quindi, può senz'altro essere qualificata quale genuina trasposizione della creatura originaria, pur contenendo alcuni elementi innovativi che ne attualizzano la portata. In tal senso va anche interpretata la (geniale) proiezione di immagini dei martìri del nostro tempo (dall'olocausto, alle torri gemelle, passando per la fame nel mondo, gli omicidi Falcone e Borsellino, le recenti guerre ed altri ancora), una per ciascuna frustata inferta al Messia, di grandissima presa visiva e altissimo potere comunicativo (sfugge, invece, lo scopo sotteso alla commistione tra musicisti e attori grazie al palco girevole ove sono collocati i primi; diversamente impiegato, a modesto parere di chi scrive, tale meccanismo avrebbe invece consentito una migliore ottimizzazione della scenografia). La chiusura è affidata ad un'altra stravaganza molto apprezzata: attorniato da ballerine in abiti candidi, il già citato Feisal Bonciani è ripreso mentre balla e canta per strada, innanzi al teatro; è uno stratagemma spettacolare che fa quasi pentire gli astanti di trovarsi all'interno, tanta sarebbe la voglia di raggiungerlo e muoversi con lui tra le vie cittadine, come lo standard della citata cultura hippie imporrebbe. Sul palco, ad opera terminata, sale Ted Neeley in persona (ma soltanto in occasione della prima), per un passaggio di testimone con il subentrante Lorenzo Licitra che, pur generando una certa malinconia, risulta di fortissimo impatto emotivo. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 20 marzo 2024. |
JESUS CHRIST SUPERSTAR di Andrew Llody Webber e Tim Rice
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