Il titolo "Clonazione da Tiffany" (e non "colazione"), dovrebbe immediatamente fornire al lettore il range espressivo offerto da quest'opera teatrale. Va subito chiarito che, pur navigando nel faceto, questa commedia non è una parodia di "Breakfast at Tiffany's", arcinoto film del 1961 con Audrey Hepburn e George Peppard, tratto dall'omonimo romanzo del 1958 di Truman Capote. Affrontando il tema delicato della vedovanza con approccio sconsacrante, ma tutt'altro che scabroso, la compagnia di attori offre un contesto disimpegnato, quasi scanzonato, ove i due protagonisti (interpretati da Marina Suma e da Marco Belocchi, qui anche regista), si muovono in acque tragicomiche, contornati da figure caricaturali, talvolta grottesche, nient'altro che personaggi estremi largamente presenti nella nostra società: il borgataro (Dario Bianconi), la sciampista (Tania Lettieri), il bieco affarista (Giovanni Ribò), la moralista/puritana (Valentina Maselli). Sebbene la risata sia quasi del tutto assente nel corso del primo atto (fin troppo lungo, nel suo intento di introdurre quanto ostentato nel titolo, cosa che peraltro dilata eccessivamente l'ingresso della citata Marina Suma), l'alveo comico è garantito nel secondo, ove effettivamente si ride, pur in termini non vulcanici. In tal senso, la rappresentazione de qua garantisce svariati momenti di spensierata ilarità, talvolta connotata di surreale e dissacrante non-sense e sempre in una compagine di gradevole disimpegno. La regia di Belocchi, inoltre, dà astutamente largo spazio sia alle efficaci incursioni nel dialetto napoletano di Marina Suma, sia alla sua elegante sinuosità, in grado di esprimere, ancora oggi, un fisico talmente seducente da far invidia ad una teenager. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 22 febbraio 2024. |
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