Voluto di sbieco, il fitto complesso scenico (Alessandro Camera), scomposto nei livelli inclinati, posposto di tappezzerie e sedute porporine, pianoforti verticali, arlecchino sonnolente, vecchi bauli idealmente impolverati e tracimanti di abiti, perplessità e pulsioni, vaticinio di buffi intrecci e garbugli, rispecchia il metateatro, rovesciando la narrazione e popolandolo di elementi di moderna realtà. E' l'arte di Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793, drammaturgo, scrittore, librettista e avvocato italiano, cittadino della Repubblica di Venezia) padre del teatro dell'equivoco che trae ispirazione dalle commedie latine di Plauto e Terenzio, i quali tendono a narrare in maniera intricata poichè non tanto è centrale la storia in sé ma il modo in cui essa viene raccontata. La pièce, prende gradualmente corpo e inedita vita, in una veste garbatamente ed integralmente riesaminata nella foggia (costumi Andrea Viotti) e nell'accento psicologico diacritico, per mezzo di un validissimo cast di attori che sul palco le rende sommo onore e meritata gloria. La prefazione dell'opera in tre atti "Un curioso accidente", scritta nel 1760, "Non è che un fatto vero, verissimo, accaduto, non ha molto tempo, in una città di Olanda. Mi fu raccontato da persone degne di fede in Venezia al Caffè della Sultana, nella Piazza di S. Marco....", imbeccata su parafrasi dal regista - protagonista, magnifico istrione Gabriele Lavia (Nastro d'argento nel 1984 – Miglior regista esordiente per "Il principe di Homburg" - Premio Flaiano per il teatro nel 2007 – Premio alla carriera nel 2019 – Miglior regia teatrale per "I giganti della montagna") ritornato al Piccolo dopo il grande successo della scorsa stagione con "Sogno di un uomo ridicolo", rivela chiaramente l'intento goldoniano di attuare quella riforma del teatro che transitò dal graduale abbandono della commedia dell'arte, a vantaggio della commedia di carattere, attraverso il ricorso al testo scritto, non più al canovaccio, ed il passaggio dalla maschera fissa al carattere, in quanto naturale e realistico - illuministico, a partire dall'ambientazione e dalle fonti della stessa. Filiberto (Gabriele Lavia), un mercante olandese gabbato in nome dell'amore filiare, non tanto dall'unica e amata delfina Madamigella Giannina (Federica Di Martino) e da Monsieur de la Cotterie (Simone Toni), tremolante e trepidante tenente francese, bensì dalla sua stessa pervasiva e pertinace smania di controllo e dall'incalzante e delirante onnipotenza pecuniaria, rappresenta, agli occhi del pubblico e della penna dell'autore, il perno magnetico e mendace intorno al quale ruotano una serie di comicissimi intrecci, di kafkiane dinamiche ed una sequela di incalzanti personaggi (Monsieur Riccardo, finanziere, Madamigella Costanza, sua figlia, Marianna, cameriera di Madamigella Giannina, Monsieur Guascogna, cameriere del tenente) abili ed atti a rifrangere la sua e le nostre, onorevoli e deprecabili, umane caratteristiche psicologiche. Immersivo e catartico. Giubilo unanime di tutto lo Strehler. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 1 dicembre 2023 |
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