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Dream Theater
A Dramatic Turn Of Events

Doppia recensione per "A Dramatic Turn Of Events" dei Dream Theater.

 

Sicuramente il disco dei Dream Theater più atteso, il più discusso, criticato e lapidato. Ma ad ogni uscita i Dream Theater sono oggetto di critiche gratuite, spesso senza senso forse per il solo gusto di poter essere al di sopra di una delle band più importanti della storia della musica. Di solito evito di polemizzare, ma è già da molti giorni che leggo sul web e non, cose assurde del tipo "A Dramatic Turns Of Events è il punto più basso mai raggiunto dalla band", frutto di uno svogliato zapping tra i brani dell’album, cosa poco seria per chi scrive di musica, oppure cose tipo “un album eccessivamente lungo”, ma quando mai i Dream Theater hanno fatto album brevi? Forse i soli “When Dream And Day Unite” e “Images Ad Words”. Altre cose del tipo “sono stati usati vecchi demo del periodo Images And Words”, ma se anche fosse, chi ha creato quel capolavoro? I Dream Theater forse? Ne avrebbero quindi tutto il diritto e dulcis in fundo, “Petrucci ha scritto tutte le parti di batteria per Mangini” ed a loro rispondo, avete letto il curriculum del drummer? Anche il sottoscritto alla notizia dell’abbandono di Portnoy è rimasto senza parole, ma succede sempre in tantissime bands e tutte cercano di voltar pagina!
Io trovo A Dramatic Turn Of Events un altro passo fondamentale della storia dei Dream Theater, un lavoro che acquista fascino ascolto dopo ascolto, proprio per un sound molto più progressivo e spesso molto anni settanta.

ON THE BACKS OF ANGELS: brano che conosciamo già e che hanno già presentato dal vivo nel loro tour estivo. Un delicato arpeggio fa da intro ed un passaggio molto progressivo di tastiere apre le porte a sonorità maestose e ricche di pathos, grazie all’emulazione di cori da parte delle tastiere di Rudess. Il brano prende poi la sua strada, con i riff di Petrucci, la voce molto melodica di LaBrie che si lasci andare in un refrain bellissimo e poi un Rudess superlativo tra momenti di tastiera percussivi ed altri pianistici e barocchi, sempre sorretto da un Petrucci da incorniciare anche esclusivamente per il breve solo dalle tinte neoclassiche.

BUILD ME UP, BREAK ME DOWN: un ritorno al sound di “Falling Into Infinity”, lavoro poco considerato ma che racchiude un brano capolavoro come “Peruvian Skies” e “Trial Of Tears”. Il refrain è sempre molto melodico e ricrea alcune armonie periodo “Awake” ed il finale è completamente orchestrale, quasi da colonna sonora.

LOST NOT FORGOTTEN: un pianoforte che crea melodie molto malinconiche, cede poi il passo alla chitarra di Petrucci che segue la stessa linea melodica, in un crescendo emotivo, un drum work molto serrato ed i riff di Petrucci diventano molto più duri e serrati, con ritmiche da headbanging. Si sente anche finalmente il basso di Myung, spesso nascosto dal dirompente drum work di Portnoy e verso il finale la band si lascia andare in divagazioni strumentali marchiati a fuoco Dream Theater, con un John Petrucci che sfodera guitar solo eccezionali.

THIS IS THE LIFE: Splendida ballad, dove la chitarra di Petrucci entra direttamente nel cuore e la voce di LaBrie provoca, almeno nel sottoscritto forti emozioni. This Is The Life è un brano di rara bellezza, ricco di atmosfera, puro rock progressivo grazie anche all’emulazione del Moog da parte di Rudess. Il guitar solo è breve, ma intenso e carico di feeling ed in alcune armonie e melodie esce fuori l’influenza Queen.

BRIDGES IN THE SKY: atmosfere misteriose avvolgono questo brano, cori, riti, ma poi il tutto rientra nei canoni, il classico brano dal lungo intro strumentale, con un LaBrie stavolta più aggressivo, anche nei momenti più melodici, con un drum work di Mangini potente, le tastiere di Rudess creatrici di affascinanti orchestrazioni ed ancora una volta verso il finale grandi momenti strumentali, una festa di suoni tra atmosfere orientali, momenti di Hammond, orchestrazioni drammatiche che riecheggiano in quasi ogni brano, tornando poi al refrain portante.

OUTCRY: Altro brano ricco di pathos, grazie ancora una volta alle atmosfere drammatiche dettate dalle tastiere di Rudess e che si ripetono in quasi ogni brano ed il tutto è sicuramente collegato al titolo. Ci sono anche parti elettroniche ed il brano si evolve poi nel classico Dream Theater sound, melodie aperte, riff serrati, refrain accattivanti e molto melodici, lunghe divagazioni strumentali dove tutti si rincorrono all’unisono in alcuni momenti ed altri ognuno va per la sua strada ed il drum work di Mangini è qui perfetto.

FAR FROM HEAVEN: poche parole per una lenta ed intensa ballad, molto malinconica, per solo pianoforte e voce e qualche orchestrazione.

BREAKING ALL ILLUSION: il capolavoro dell’album e sicuramente uno dei migliori brani mai incisi dai Dream. L’intro è tutto per Petrucci con momenti chitarristici che ricordano i Wishbone Ash e gli Iron Maiden, poi splendide armonie, il basso di Myung in evidenza, un LaBrie in grande forma, un refrain che emoziona e poi la corsa frenetica, una tastiera molto anni ottanta ed ancora una parte strumentale con tanto di schegge musicali che passano dal prog dei seventies, al funky, alla dance, al metal, tutto in una manciata di secondi, fino a tornare alla melodia portante, dettata da un John Petrucci nuovamente da incorniciare, che si lascia andare poi in un guitar solo che non ha eguali, dalle tinte blues, quasi gilmouriano, molto anni settanta, per tornare ancora una volta al tema portante. Un vero capolavoro!

BENEATH THE SURFACE: gocce d’acqua introducono l’arpeggio di Petrucci che accompagna, insieme alle tastiere di Rudess che emulano strumenti ad arco, la melodica voce di LaBrie, il suono del caro vecchio Moog, si sicuramente un brano per sognare, ma che male c’è?

I Dream Theater si riconfermano una grande band, capace di far discutere con un ottimo lavoro prodotto dallo stesso John Petrucci. Affascinante anche la grafica, con un clown, almeno sembra di spalle, che cammina in un difficile equilibrio su una corda che si sta spezzando, con il mondo sotto di noi “un po’ quello che facciamo tutti giornalmente”. Un altro “Images And Words”? No grazie!!

Quello rimane un momento irripetibile ed immortale, sarebbe come chiedere ai Pink Floyd un altro “The Dark Side Of The Moon”, oppure ai Genesis un altro “Selling England By The Pound”, non avrebbe alcun senso!!

90/100

di Fabio Loffredo

 

Annunciato come il disco della svolta, atteso come il primo disco senza Portnoy è finalmente sugli scaffali dei negozi il nuovo lavoro dei Dream Theater: A Dramatic Turn Of Events, anticipato da circa un mesetto dall'opener "On The Back Of Angels" e da un mini tour per presentare Mike Mangini, sostituto dietro le pelli di Mike Portnoy. Come ogni nuova uscita della Prog band americana anche questo disco è destinato a fare discutere, un disco estremamente controverso, un disco che è al tempo stesso "ruffiano", con linee melodiche e linee vocali che indulgono spesso nella ricerca del motivo di "facile presa", sul ritornello catchy, anche se LaBrie non si dimostra proprio in forma smagliante, un disco che è in molte parti "cervellotico" con arrangiamenti troppo improvvisati, intermezzi strumentali al limite dell'autolesionismo e con suoni di tastiera forse eccessivamente "elettronici" e troppo piantati su chorus orchestrali, chissà che cosa voleva sperimentare Rudess, ma anche un disco che ci presenta molti momenti interessanti ed in cui troviamo un John Petrucci in palla; i suoi assoli così come i suoi riff sono tra gli elementi che più piacevolmente colpiscono l'ascoltatore.

Si parte proprio con il brano già noto a tutti quel "On The Backs Of Angels" che non aveva fatto gridare al miracolo già alla sua uscita anticipata, pur non essendo in realtà un pezzo malvagio, il brano che forse più di tutti può riassumere la controversia di melodie facili alternate a intermezzi più complessi ... forse troppo e forzatamente complessi. Alla fine il primo brano risulta comunque piacevole e nel complesso possiamo dire di essere in presenza di un onesto opener, niente di magico o di memorabile ma neanche da buttare via.
Quanto detto sopra, sopratutto per quel che riguarda LaBrie e Rudess si ripropone in "Build Me Up, Break Me Down" forse il pezzo meno convincente dell'album, voce campionata, break disco e qualche passaggio slegato insieme al solito abuso di chorus vengono controbilanciati da un ritornello molto catchy e accattivante. La ricerca quasi maniacale del ritornello melodico è come detto altra caratteristica che si ripeterà spesso nel corso del disco. Il risultato è un brano alquanto contraddittorio che sembra richiamare molto i peggiori momenti della band newyorkese.
Con "Lost Not Forgotten", che al limite dell'autoplagio in molti punti sembra, Under A Glass Moon, si cerca di riprendere un discorso più legato al passato della band, in cui però alcune scelte sugli arrangiamenti ci fanno sembrare il brano più un insieme di pezzi, anche buoni, slegati tra loro e messi insieme a viva forza usando come collante il solito elevato uso di virtuosismi fini a se stessi. Se si eliminano tutti i barocchismi ed i fraseggi pomposamente forzati resta un buon pezzo di 4 o 5 minuti con altrettanti minuti di inutili ghirigori strumentali, specialmente da parte di uno "scatenato ?" Rudess.
"This Is The Life" è il primo dei tre lenti inseriti nel platter, brano senza infamia e senza lode, che ci conferma che quando si parla di ballad e lenti i Dream Theater sanno sempre il fatto loro e raramente deludono.
Probabilmente andrò controcorrente ma a me "Bridges In The Sky" è piaciuta parecchio, insieme a "Breaking All Illusions", che vedremo successivamente, sono le due cose più riuscite di questo album. L'inizio, a metà tra il mantra tibetano ed un coro angelico, un riffing massiccio ed aggressivo, le tastiere di Rudess che tornano a fare degnamente il proprio lavoro, continuando con l'uso dei chorus ma stavolta in maniera che appare più coerente con il contesto musicale, una linea vocale complessivamente interessante che non si limita al solo ritornello ma si mantiene vivace ed intensa per tutta la canzone, un crescendo più che riuscito prima dell'altrettanto interessante bridge strumentale ed un ottimo solo di Petrucci, non l'unico a dire il vero fanno di "Bridges In The Sky" un buon brano, non siamo ai livelli di Metropolis o Pull Me Under, per citarne un paio a caso ma di sicuro un brano riuscito che fa la sua degna figura.
"In Outcry" ritroviamo gli inserti elettronici che già poco ci avevano impressionato in "Build Me Up, Break Me Down", il risultato è un brano che è più o meno la copia del 2° pezzo della scaletta ... chorus e ritornello catchy compresi, non riuscendo, alla fine, a colpire più di tanto l'ascoltatore che stoicamente è riuscito a superare indenne l'irta muraglia dei soli centrali.
"Far From Heaven" è il secondo lento dell'album, piano e voce, per 3 minuti e 56 secondi di puro sentimento, con un LaBrie che si dimostra più a suo agio su questa tipologia di brani.
Finalmente, quasi in chiusura di disco, troviamo il pezzo pregiato di questa collezione, il più lungo, il più Prog, il meno "sperimentale", il meno "variopinto", il più "vero": finalmente con "Breaking All Illusions" i Dream Theater" si ricordano e ci ricordano cosa sono in grado di fare, con un superlativo Petrucci, un Rudess che non si perde in psicotiche elucubrazioni tastieristiche e con arrangiamenti degni della fama della band; per un pezzo, questo si, questa volta si, decisamente buono. Si chiude con l'ultimo lento "Beneath The Surface", questa volta per chitarra e voce.

Atteso come disco della svolta ? ... è evidente che non lo è. A Dramatic Turn Of Events è un disco onesto, con alti e bassi in cui appare però l'evidenza di un disco che sembra realizzato "di fretta", "a comanda"; molte buone idee ma poco approfondite, alcune onestamente scopiazzate qua e la, spesso e volentieri anche dal proprio passato, in un collage talvolta "raffazzonato" di passaggi anche interessanti ma tenuti assieme dall'uso eccessivo del virtuosismo che fa scadere il risultato complessivo, certo si dirà che il virtuosismo è una delle peculiarietà della band ma questa volta forse se ne è fatto abuso.
Mike Mangini non fa per nulla rimpiangere Portnoy, lo avevamo visto con piacere anche a Roma lo scorso Luglio e si dimostra ottimo drummer anche se in questa occasione si può dire che ci sia poco "di suo" nell'album, nel senso che si è limitato allo svolgimento preciso e puntuale del compito assegnato, al momento possiamo affermare che tecnicamente non ci sia nulla da eccepire, manca ancora la propria "zampata", la propria personalità ma è oggettivamente presto per chiederla.

Ma allora alla fine com'è bello ? brutto ? il disco come più volte ripetuto è godibile e si lascia ascoltare, in molti momenti anche con piacere ma certo non va più in la di una valutazione appena discreta, John Petrucci, "Bridges In The Sky", "Breaking All Illusions" ed anche, ma si, anche "On The Backs Of Angels" salvano questo lavoro dall'anonimato ed è un peccato perchè se certe idee fossero state sviluppate meglio, se si fosse magari saltato un giro per riproporre l'album fra un annetto di sicuro sarebbe venuto fuori qualcosa di più vicino alla svolta pre-annunciata ma capiamo anche e le ultime notizie sul fronte giudiziario ce lo confermano, che il voler dimostrare a tutti i costi ed il più in fretta possibile che Portnoy è già nel dimenticatoio è stata una molla difficilmente gestibile e probabilmente giustificativa di tanta fretta.

Per i fans ad oltranza un sicuro successo, per i detrattori "per principio" la conferma di una band al capolinea, per i non allineati, un disco che non aggiunge nulla e nulla toglie a quanto i Dream Theater han fatto finora, che dimostra che la band non era Portnoy-dipendente, ed anzi forse la dipartita del drummer ha giovato. In definitiva un lavoro il cui ascolto sporadico e casuale può anche risultare piacevole, senza causare dipendenza, quindi un disco che non merita una stroncatura tout-court, anzi un lavoro onesto e dignitoso che è capace di regalare un paio di passaggi pregevoli e degni di menzione ma anche un disco che, con l'eccezione di un paio di brani, rischia di finire con rapidità nel settore "dischi dimenticati".

69/100

di Salvatore Siragusa



James LaBrie: Voce
John Petrucci: Chitarra
Jordan Rudess: Tastiera
John Myung: Basso
Mike Mangini: Batteria

Anno: 2011
Label: Roadrunner Records
Genere: Progressive Metal

Tracklist:
01. On the Backs of Angels
02. Build Me Up, Break Me Down
03. Lost Not Forgotten
04. This Is the Life
05. Bridges in the Sky
06. Outcry
07. Far from Heaven
08. Breaking All Illusions
09. Beneath the Surface

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