Tratto da "Reunion", romanzo dello scrittore tedesco Fred Uhlman, "L'amico ritrovato" narra di un'amicizia improbabile tra due ragazzi cresciuti nella Germania di Hitler: ebreo l'uno, nobile dell'alta borghesia tedesca l'altro, poi divenuto fervente nazista. La vicenda viene presentata in termini evocativi, con il primo in veste di figura narrante: scampato alla Shoah - in quanto emigrato negli Stati Uniti prima degli orrori dei campi di concentramento - egli ricorda il periodo adolescenziale e il sodalizio genuino con il suo coetaneo di un tempo. Con l'efficace artifizio di una quinta parete, non a caso raffigurata con il filo spinato, il palco è di fatto tagliato in due, permettendo alla regia di Alessandro Sena di offrire uno scenario bicefalo, equamente diviso tra due diverse epoche temporali: il presente (inizio anni '70, negli USA) e il passato (gli anni '30, nella Germania nazista). I due amici vi si muovono liberamente, ognuno fisicamente collocato nella propria dimensione, con la presenza virtuale dell'altro in termini di alter ego. Sullo sfondo, si dipana la vicenda di due sorelle ebree, una delle quali attrice e cantante, Dora Gerson, personaggio realmente esistito, brava quanto Marlene Dietrich e con quest'ultima in forte competizione, poi sottratta al successo poiché internata in un campo di concentramento. Tralasciando ovvie considerazioni sulla validità dell'argomento proposto, peraltro in prossimità del "Giorno della memoria", e concentrando la presente recensione su aspetti squisitamente artistici, quest'opera risulta pienamente riuscita, tra le altre cose, sfruttando una recitazione assai puntuale, sublimata da un gioco riuscito di pause e silenzi, offrendo peraltro la rara opportunità di apprezzare due brani musicali estratti dal repertorio sonoro degli anni '30, magistralmente interpretati da Sania Ricchi (l'abbiamo già apprezzata al Teatro Belli assieme, tra le altre, a Sara Morassut e Marta Porfiri, in "Il tuo nome brucia sulle mie labbra" dello stesso Sena). Hanno particolarmente colpito chi scrive anche Vittoria Rossi, estremamente efficace nell'esprimere quel fanatismo frenetico talmente delirante, da rasentare la follia; Alessio Chiodini, sorta di Jude Law putativo, ovviamente non soltanto somaticamente; Marco Fiorini che, sovvertendo il suo standard di attore brillante (così si era efficacemente proposto due anni fa ne "L'ultimo sogno di Gioachino", al Teatro Trastevere), ha offerto una compassata e algida intepretazione di un uomo ferito e chiuso in sé stesso. L'unico appunto che ci permettiamo di avanzare, sempre perseguendo finalità costruttive, riguarda lo scollamento tra la storia afferente alle due sorelle e quella relativa ai due protagonisti: entrambe suggestive, nessuna antitetica rispetto all'altra, le due vicende paiono tuttavia fornire una visione disgiunta in cui si fa fatica a cogliere un minimo punto di intreccio. La recensione fa riferimento alla rappresentazione del 26 gennaio 2024. |
Spettacolo realizzato in occasione della
|