Giuseppe Gioachino Belli è il protagonista di una storia di fantasia incastrata in un contesto storico realmente esistito, all'interno del quale si muovono personaggi del passato, pur in ruoli totalmente inediti. Sullo sfondo, una Roma ottocentesca ove vive, pulsante, il contrasto eterno tra povertà e ricchezza, e si concretizzano, inarrestabili, giochi di potere, cospirazioni, intrighi e tradimenti. L'opera è credibile e gradevole, nel suo intento primario di ricordare, con un approccio trasversale ma interessante, il ruolo avuto dal noto poeta romano nella cultura romana e la sagacia insita in alcuni suoi sonetti dedicati (anche) al rapporto tra Roma, il giacobinismo e lo Stato Pontificio. Belli non ebbe mai molta simpatia per il Papa, nei confronti della cui politica nutriva dissenso, non foss'altro per le inqualificabili misure da quest'ultimo adottate afferenti alle onorificenze e alla repressione politica. Verso i giacobini, invece, aveva maturato un approccio speranzoso, pur cauto: egli li riteneva meritevoli di aspettative in ordine al futuro della sua Roma, ormai indirizzata verso un asserito decadentismo di stampo opulento. Tuttavia, egli prendeva da loro le distanze allorquando manifestavano intenti bellicosi: nella sua visione delle cose, ogni pretesa doveva concretizzarsi in termini civili e non violenti. Da tutto ciò, emergeva chiaramente una morale tragica delle vicende in cui si imbatteva ed una visione dolorosa dei suoi tempi. Queste tematiche - pur inserite in una ricostruzione fantasiosa, talvolta macchinosa (si allude ai quattro ruoli interpretati dal protagonista: il Belli, suo padre, il Cardinal Moletti, un moribondo) - sono largamente presenti nell'opera qui recensita, ove l'autore e regista Gabriele Mazzucco fa emergere chiaramente il disprezzo del letterato per il potere temporale, il suo ponderato approccio verso il giacobinismo, una certa attitudine adulterina, un epilogo a vocazione chiaramente funesta e dolorosa. Sul lato squisitamente attoriale, ci è piaciuta molto la disinvoltura con cui Marco Fiorini è riuscito a passare da un personaggio all'altro, donando a ciascuno una sua autonoma credibilità (su tutte spicca quella del Belli stesso, persona colta e arguta ma anche molto vicina alla cultura popolare), sebbene utilizzarlo nel solo ruolo del protagonista contribuirebbe, a modesto avviso di chi scrive, a contestualizzare con più efficacia ruoli e vicende all'interno della rappresentazione. Non meno valida è stata Chiara Fiorelli, in possesso di apprezzabilissime doti vulcaniche, eclettiche ed impetuose, inizialmente attribuite ad innate qualità caratteriali, poi definitivamente ascrivibili a capacità attoriali, emergendo nei saluti finali un suo substrato estremamente timido e schivo (che testimonia la sua indubbia capacità di recitare e non di essere semplicemente se stessa). Preme infine evidenziare un duplice quid pluris: da un lato la gradita lettura di alcuni sonetti del poeta, ad opera dello stesso Fiorini; dall'altro la performance di Demetra Fiorini, in possesso di una voce soprano di stampo celestiale con cui ha magistralmente interpretato brani antichi, poco importa se precedenti rispetto al periodo storico narrato nella pièce (fra questi, emerge la virginale "Si dolce il tormento", scritta da Claudio Monteverdi). Se ci è permesso un modesto consiglio, poco sopra appena accennato, l'assegnazione ad altrettanti attori dei quattro ruoli (dei quali due, il padre e il moribondo, forse superflui), demandati al solo Fiorini, sublimerebbe maggiormente l'opera tutta, contestualizzando alla perfezione i tanti personaggi che vi si alternano repentinamente (deve rimanere inalterato, invece, il rodato doppio incarico attribuito sia alla citata Fiorelli, sia alla altrettanto brava Erika Marozzi, a dir poco perfette in tutte le parti loro assegnate). Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 4 novembre 2022. |
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