Un'opera, questa scritta e diretta da Valentina Cognatti, molto efficace nella sua idoneità a proiettare il pubblico all'interno del problema della violenza di genere tra le mura domestiche, dove il possesso della persona è dominante, sostituendo quello che dovrebbe essere l’amore nell’accezione più alta del termine.
Una bravissima Loredana Piedimonte - che i più attenti ricorderanno quale co-protagonista della parodia de "La signora delle Camelie", assieme a Gigi Proietti - ci porta per mano attraverso la scelta di una madre nel votare se stessa, come fosse il parafulmine di una violenza e di una possessione perversa da parte del consorte, al perseguimento dell'illusione di garantire una vita normale alla propria figlia. Abile e quantomai realista Martina Grandin nell'accogliere le incertezze giovanili e le proprie angosce, di fronte all’evento della maternità. È questo il momento in cui il confronto rivela i reali eventi che hanno portato al sacrificio della genitrice, fino anche ad arrivare all'estremo gesto per mano di un padre violento. La narrazione raggiunge vette davvero sorprendenti, quasi cinematografiche, allorquando si utilizza una tecnica - apparsa inedita, agli occhi di chi scrive - che sfrutta il buio quale elemento separatore di scene diverse nelle quali si innestano anche gli altri due personaggi, interpretati da Viola Sura e Nicole Caleffi che incarnano la protagonista in età diverse. Preme al riguardo sottolineare la scena durante la quale il racconto della madre si materializza grazie ad una sequenza molto rapida, come se si assistesse ad un film tipizzato da una migrazione narrativa che dal passato giunge alla realtà contemporanea, attraverso diversi momenti rivelatori della vera natura del padre. Il plauso va diretto non soltanto alla regia, ma anche al direttore delle luci, capace di sublimare scene ove il buio sembra impersonare l’assenza di un testo, quasi alla maniera di quei grandi attori che, con la mera espressione del volto, sanno comunicare più di un testo recitato. Il risultato di tutto ciò si sostanzia in un viaggio in più epoche, all'interno di una cornice introspettiva che sintetizza abilmente la violenza di genere, invero tristemente attuale e fin troppo commovente Quest'opera è anche un inno alla maternità e alla genitorialità: dimostra, infatti, come l’amore di una madre possa risultare totalizzante, al punto di sacrificare la propria vita pur di garantire la felicità alla figlia. In chiusura, è doveroso sottolineare come Loredana Piedimonte, dal primo attimo in scena, sia stata capace di rendere indistinguibili attore e personaggio, rendendo ogni emozione ancor più vera e pertanto tangibile per lo spettatore, arrivando a toccare quelle corde emotive come di rado accade di sperimentare. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 15 dicembre 2023. |
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