Trasposizione italiana di una nota commedia canadese, qui interpretata in termini leggermente diversi da quelli pensati dall'autore Norm Foster, fra i più più noti e prolifici commediografi del Nord America.
La trama ruota attorno alla vita decadente di una coppia di mediocri attori che, decisi a rivitalizzare in qualche modo la loro carriera, si trasformano in maestri del self help, ottenendo inaspettato successo. Per coloro che volessero capire meglio di cosa si stia parlando, consigliamo di concentrare le proprie attenzioni sull'interpretazione della efficace Maria Cristina Gionta, a cui è affidato il ruolo della domestica, soggetto che patisce chiaramente l'effetto ossessivo di un'applicazione esasperata del citato self help. In generale, l'opera si evidenzia per l'abilità del regista di inserire un evento tragico, peraltro in un contesto scabroso (la presenza del cadavere del giardiniere, che in vita era amante della fedifraga protagonista), in un contesto totalmente comico, a cui si aggiungono marcate allusività erotiche che comunque non scadono mai nel volgare. Tralasciando alcuni passaggi meno spontanei, le risate sono garantite grazie ad una stratificazione interpretativa che vede interagire sul palco - in aggiunta alla citata Gionta, di cui si è già detto - quattro soggetti perfettamente in grado di garantire movimento e frizzante spensieratezza: Miriam Mesturino è brillante ed effervescente; Sergio Muniz offre un'interpretazione garbata, quasi signorile; Valentina Maselli, Giuseppe Renzo e Luca Negroni esasperando le qualità di tre differenti figure professionali - la manager, il giornalista e l'investigatore - proponendole in termini caricaturali, quando non del tutto paradossali. Si soggiunge che l'ultimo dei tre si fa apprezzare maggiormente per la capacità di evocare latentemente la figura del Tenente Colombo (di cui ci siamo recentemente occupati QUI). Questa recensione di riferisce alla rappresentazione del 16 novembre 2023. |
C’È UN CADAVERE IN GIARDINO
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