Suggestiva interpretazione di Primo Reggiani, che ha saputo rappresentare in maniera altamente suggestiva il substrato interiore di un personaggio estremamente complesso come Caravaggio, trasgressivo, bellicoso, violento, irascibile, scandaloso. Anche se quest'ultimo non era bello, è condivisibile la scelta registica di affidare il suo personaggio ad un attore affascinante, quale Reggiani è, come a sottolineare la valenza sottesa al contrasto tra bello e maledetto. Egli ha uno sguardo penetrante che incarna perfettamente, nelle sue allucinazioni, l'uomo stanco e delirante, rissoso, impertinente, a volte passionale e tuttavia libero da condizionamenti ed intromissioni quale Caravaggio innegabilmente era. Reggiani grida il bisogno di disegnare, anzi "fotografare" l'umana sofferenza, il buio e la luce, il bello esteriore, il brutto interiore. A Fabrizio Bordignon è affidato il difficile compito di calarsi nei panni di personaggi diversi, cosa che gli riesce con apparente disinvoltura e rinnovata maestria, peraltro mantenendo inalterata la sua credibilità interpretativa, catturando l'attenzione del pubblico in modo sorprendente. Francesca Valtorta, infine, interpreta la dignitosa e furba prostituta Lena, vera e propria musa del Caravaggio, riuscendo a contemperare la malizia della donna peccaminosa e la virginale attitudine che poi sarà trasposta su tela, vestendo i panni della Vergine Maria (il pittore l'aveva convinta a posare per lui, dicendole che tutti l'avrebbero esaltata, ammirandola in quelle vesti sacrali). L'attrice esprime perfettamente questo dualismo: sensuale ed enigmatica, commovente quando canta sussurrando gli stornelli romani, ribelle quando alza la voce e fugge dalle tentazioni. A fronte di queste interpretazioni impeccabili, destano perplessità alcune scelte registiche di carattere tecnico: tralasciando considerazioni sugli stornelli romaneschi - che, pur interpretati impeccabilmente, appaiono decontestualizzati (storicamente, sono infatti collocati grosso modo nell'800, cioè circa 200 anni dopo gli eventi narrati) - resta senza spiegazione l'utilizzo di una scenografia troppo essenziale, finanche scarna, ove stracci e lenzuola si trasformano nelle opere più famose dell'artista. E' una scelta coraggiosa, certo, ma la stessa non è sublimata, gestendo le luci, da un doveroso gioco di chiaro-scuro, come ci si aspetterebbe parlando del noto artista lombardo, che proprio sull'alternanza rivoluzionaria tra luci e ombre avrebbe costruito il suo successo. Quanto sopra è parzialmente attenuato da ciò che viene proiettato sullo sfondo del palcoscenico, che promuove effettivamente una innegabile ed autonoma efficacia estetica. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 1° marzo 2024. |
CARAVAGGIO IL MALEDETTO Teatro Ghione
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