E' un vero peccato che due attori talentuosi come Tosca D'Aquino e Giampiero Ingrassia non vengano sfruttati al massimo del loro potenziale in questa pièce teatrale che, purtroppo, lascia un tantino perplessi. A fronte di alcuni elementi di pregio (i costumi di Carlo Poggioli, ad esempio, sono ben realizzati e ottimamente contestualizzati, e la prestazione dei due protagonisti, di cui si parlerà nel dettaglio più avanti, è di assoluto pregio), sono presenti punti di debolezza che è impossibile ignorare. L'arredo, ad esempio, non soltanto è minimalista, ma è anche interamente dominato dal bianco, cosa che, oltre a determinare un effetto accecante, cozza con l'immaginario collettivo che si ha della opulenta nobiltà siciliana ottocentesca, anche negli ambienti riservati alla servitù, come le cucine. Al riguardo, sarebbe bastato riprodurre quantomeno un bancone ed un camino, elementi fondamentali, parlando di quel periodo storico, in un ambiente di un palazzo principesco aduso alla cottura di vivande. L'opera, poi, non è una commedia, cosa che suona un po' strana, considerando che la stessa viene tratteggiata esattamente come una commedia (a ben vedere, infatti, Roberto Cavosi è un drammaturgo di pregio, non un commediografo). Da un punto vista squisitamente attoriale, se Tosca D’Aquino tipizza abilmente il personaggio di Teresa, donandole una ricca e complessa stratificazione caratteriale, e Giampiero Ingrassia risulta perfetto in un contesto pre-risorgimentale, sia per quanto attiene ai modi posturali, sia per ciò che riguarda le espressioni, Giancarlo Ratti - e duole rimarcarlo, considerato il livello alto che connota il suo blasonato curriculum - offre una prestazione gratuitamente votata alla caricatura che finisce per offuscare la sua capacità interpretativa. In generale, inoltre, gli attori tutti sembrano troppo concentrati sul rumore, sulla confusione, a tratti addirittura sul caos: stufe percosse come fossero dei bonghi, coperchi di pentole che sbattono tra loro a mo' di piatti sinfonici, padelle e casseruole che cadono a terra e persone che ruzzolano su stoviglie varie, hanno il potenziale di confondere, piuttosto che di stupire. Pare di stare sul set di una favola surreale come "Alice nel paese delle meraviglie", ma qui mancano i colori e le innumerevoli stratificazioni fiabesche. A dirla tutta, l'opera è ricchissima di elementi perfetti per un musical o, in subordine, per una commedia musicale: c'è molto movimento, c'è un po' di frivola leggerezza e il tema dei domestici e dei cortigiani che si perdono in intrallazzi amorosi e si scambiano sgambetti reciproci per accattivarsi le simpatie del nobiluomo di turno, si sposa alla perfezione con quel tipo di rappresentazioni. Tuttavia, le musiche che sonorizzano questa "commedia" sono moderne, per giunta a vocazione sperimentale: perché tralasciare, ci si chiede in chiusura, le magniloquenze espressive delle arie sinfoniche tipiche della ricca e gloriosa tradizione musicale italiana? La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 28 marzo 2023. |
La Contrada Teatro Stabile Di Trieste
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