La commedia “A che servono questi quattrini” di Armando Curcio, rappresentata per la prima volta nel 1940 dalla prestigiosa Compagnia De Filippo, rivive oggi in questa gradevolissima rivisitazione che conserva intatto il suo potenziale divertente, pur infarcita di sapori fortemente nostalgici. La vicenda si svolge nella Napoli prima del secondo conflitto mondiale, attorno alla figura del Marchese di Parascandolo, detto “o' Professore”, che dopo aver dilapidato le sue fortune per non essersene curato, decide di trasmettere le sue idee sull’inutilità del denaro e dell’affannarsi nel lavoro. Alla maniera di Socrate, egli raccoglie attorno a sè alcuni discepoli, tra cui il nostro Vincenzino Esposito, giovane ingenuo quanto spiantato. Il Professore mette in atto le sue teorie per dimostrare che il denaro è perfettamente inutile, ribaltando la condizione sociale di Vincenzino con una serie di imbrogli e raggiri e intrecciando le sorti di due famiglie, quella degli Esposito e quella di Don Ferdinando. Nell’economia della storia, Marchitiello è come il deus ex machina delle tragedie greche, che interviene in momenti chiave determinando la svolta negli eventi, sebbene tutto riconduca sempre alla mente del Professore ed alle sue teorie e non ad un fato superiore alle umane vicende. Senza voler anticipare troppo della rappresentazione, vi sono presenti frammenti poetici e melanconici soprattutto nelle fasi iniziali e finali, non mancando un sapiente ammiccamento al grande Totò, nel celebre ballo del burattino, eseguito da un abile Salvatore Caruso nei panni di Palmieri. La scenografia, curata da Luigi Ferrigno, è semplice ma allo stesso tempo imponente: un alto muro quadrato con le rugosità della pietra fa da sfondo al gioco di luci, dando all’affabulato spettatore la sensazione di uno sfondo in movimento. I costumi e gli arredi, nella loro semplicità, calano naturalmente la platea nel momento storico di riferimento, denotando con giusta misura il ceto sociale dei protagonisti. I personaggi si muovono attorno a questo muro ed essi stessi, muovendosi come nei film comici degli anni '30 (alla maniera di “Stanlio e Ollio”), cambiano la scena descrivendo un dinamico progredire degli eventi. Il ritmo della commedia è sempre sostenuto, lasciandosi ammirare tutta d’un fiato ma con uno scorrere piacevole, senza cali di attenzione tra i cambi di scena, anche grazie al piacevole accompagnamento musicale. Due ore di amabile teatro in colorato, ma comprensibilissimo, dialetto napoletano, in un clima di buonumore non scevro però di momenti di riflessione sul tema del denaro e dell’influenza dello stesso sull’uomo, che in relazione a tale “idolo” modifica i suoi comportamenti. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 16 novembre 2022. |
A CHE SERVONO QUESTI QUATTRINI
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