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Red Canzian (POOH, CAPSICUM RED)

 

Introduzione

Cantante, bassista, chitarrista, compositore e produttore discografico, Red Canzian vanta un curriculum assai prestigioso: partito dal progressive dei Capsicum Red e degli Osage Tribe (gruppo, il secondo, fondato da un acerbo ma promettente Franco Battiato), giunge ai traguardi record conseguiti con i Pooh, veri e propri giganti del pop italico.
In realtà, affibbiare ai Pooh l'etichetta di pop band sarebbe una imperdonabile leggerezza, gratuitamente riduttiva: nato con il beat, il longevo gruppo è approdato al pop pur abbracciando (neanche tanto di sfuggita) anche i generi del rock progressive e del rock sinfonico e sempre in termini credibili.
Di questo ed altro abbiamo parlato con Red, nel corso di una chiacchierata nella quale sono stati trattati, anche per la prima volta, argomenti non del tutto usuali, talvolta scomodi, ma sempre affrontati con spirito collaborativo e propositivo, palesato con stima ed in termini cordiali da ambo le parti.


Nota: per non appensantire la lettura, gli argomenti, gli artisti e gli eventi meno conosciuti al grande pubblico sono stati dettagliati con maggiore dovizia di particolari nelle note finali
.




Intervista

A&B: Se me lo permetti, Red, partirei da alcune tue dichiarazioni contenute nel volume "Pooh. La grande storia 1966-2006" (Giunti Editore, 2007). In quel libro, parlando dei Pooh, ti sei sempre dichiarato soddisfatto eccetto che per un aspetto: l'immagine di "bravi ragazzi" che da sempre circonda il gruppo. Io vorrei che spiegassi meglio questo concetto che, per tua stessa ammissione, ti va un tantino stretto. Cosa intendevi dire? Ti riferivi ad un atteggiamento da impostare sul palco o fuori, nella vita di tutti i giorni?

Red Canzian: Ma no, un po’ giocavo... È che il bravo ragazzo assomiglia poco all’immagine della rockstar e per anni, la stampa, ci ha immaginati così: morigerati, rigorosi e un po’ bigotti, cosa che non eravamo assolutamente. Essere seri e professionisti nel proprio lavoro, non significa essere dei pesci lessi.
Di contro, il pubblico attento, sul palco, ci riconosceva per quello che eravamo: musicisti dall’anima rock che suonavano sì, “Piccola Katy”, ma anche “Parsifal”, “L’ultima notte di caccia”, “Il tempo, una donna, la città”.

A&B: Sono un appassionato di rock progressivo italiano e quindi spero perdonerai le domande che seguono. Nello stesso volume, hai trattato piuttosto velocemente il disco "Appunti per un'idea fissa" dei Capsicum Red (1), la tua prima band, limitandoti alla citazione della "Patetica" di Beethoven e giudicando l'album come "roba forte". Null'altro.
Consapevole che in un libro dedicato ai Pooh commentare dettagliatamente la discografia dei membri solisti può sembrare fuori luogo, ti chiedo se puoi parlarci meglio di quel gruppo e di quell'esordio discografico, anche in relazione al movimento progressivo nazionale ed estero dell'epoca (il disco viene largamente trattato sul sito Italian Prog, qui)
(2).

Red Canzian: Eravamo giovani e puri, ma pazzescamente dentro al mood del progressive. Quell’album - ora posso dirlo - è stato un bel capitolo per la musica di quegli anni. Non mancavano la creatività, le citazioni colte e quel collante rock che lo rendevano competitivo con la migliore discografia del genere di quel periodo, italiana ma anche straniera.
Ma, come detto, eravamo giovani e puri, poco propensi a capire che per vincere bisognava forse cedere all’orgoglio del “so tutto io”. E così ci siamo persi...li ho persi.
Io avevo deciso che quella doveva essere la mia vita e sono andato avanti comunque. Ho insistito a crederci... e alla fine...

Red Canzian ai tempi dei Capsicum Red (1972 circa)

 

A&B: A seguire, entrasti negli Osage Tribe (3), altro gruppo progressivo di quel periodo. C'entra qualcosa il fatto che la loro etichetta, la Bla Bla, era la stessa dei Capsicum Red?

Red Canzian: Sicuramente. Il grande capo era Pino Massara che aveva inventato i Capsicum Red, gli Osage Tribe e Franco Battiato, quello di Fetus (4), il suo primo capolavoro, fatto di ricerca pura, con i primi vagiti dell’elettronica mescolati ad un rock visionario e cantautorale.
E così ho riformato gli Osage, partendo dal batterista, Cucciolo, che già suonava nella formazione originale. Eravamo sicuramente bravi e molto spettacolari e funambolici nei nostri concerti, ma la musica che proponevamo non poteva avere un futuro all’interno di un reale riscontro popolare: facevamo fatica perfino a pagare le cambiali del furgone.
Peccato, eravamo davvero forti!

A&B: Franco Battiato era stato il vocalist di quella band e tu ne sei entrato "ancora" da chitarrista. Ci sarebbe di che parlarne per ore (non sperare di cavartela con una risposta evasiva e lapidaria).

Red Canzian: Bhè, se sei alla caccia di scoop, allora te ne servo uno bello e quasi inedito: Franco Battiato è stato l’autore del secondo singolo dei Capsicum Red, che si intitolava “Tarzan!!!”. Lo registrai io da solo, a Londra, senza i miei compagni.
A suonare nel disco, oltre a me, c’erano gli Stone the Crows (5), ottima band rock inglese, e a farmi i cori c’era nientemeno che Maggie Bell, la loro straordinaria vocalist, allora definita la nuova Janis Joplin.
Fu proprio in quell’occasione, a Londra, che incontrai per la prima volta Battiato. Ricordo che aveva una gran testa di capelli ricci alla Jimi Hendrix, un cappello nero a larghe tese e un lungo mantello, sempre nero. Abbastanza inquietante nell’aspetto, ma un grande artista, già allora.

A&B: Vorrei una tua personale opinione sul periodo sperimentale di Franco Battiato. Mi è capitato di sentire delle registrazioni del "Be-In" di Napoli (6), organizzato nel 1972 dagli Osanna (7) e la sua esibizione era assolutamente controtendenza, difficilissima da digerire, largamente fischiata dagli astanti.

Red Canzian: Non andai a quel raduno e quindi non ne conosco i contenuti.
Posso però dirti che Franco, dopo una partenza melodica, quando cantava “è l’amore, che ci prende, piano piano, per la mano”, ha avuto una crescita espressiva e culturale velocissima e potente.
Ha partorito immediati segnali d’arte pura che sì, all’inizio hanno faticato ad essere compresi e accettati, ma poi hanno rappresentato le reali basi per i suoi grandi successi, uno su tutti “La voce del padrone”.
Franco è un po’ un Picasso della musica: ha imparato a dipingere il classico per arrivare alla scomposizione cubista.

La copertina dell'album "Appunti per un'idea fissa" dei Capsicum Red

 

A&B: La leggenda vuole che tu ti sia presentato al provino da bassista per i Pooh, non soltanto privo dello strumento, ma addirittura senza averlo mai suonato in precedenza.

Red Canzian: A volte la leggenda è molto simile alla storia. Quando fui convocato a quel provino, in quello strano albergo disperso nell’appennino, a Roncobilaccio (8), non pensavo che sarebbero stati interessati a me... ero così diverso da loro, sia musicalmente che esteticamente: loro bravi ragazzi, ben pettinati e vestiti di velluto; io capellone, dall’aspetto leggermente troglodita a causa della spelacchiata pelliccia che usavo (all’epoca non ero vegano). E soprattutto, ero un chitarrista, non un bassista. Infatti, feci il provino con un basso che Riccardo Fogli mi aveva lasciato in dote. Ma nella vita, se le cose devono andare, vanno... e così è stato!

A&B: Io sono dell'opinione che i bassisti esprimano maggiore talento quando nel loro passato hanno imbracciato una chitarra. Ogni volta che un chitarrista prende in mano un basso, si ascoltano grandi, grandissime cose. Non mero accompagnamento ma scale, assoli, basi ritmiche inusuali. E' per questo che i Pooh hanno scelto un chitarrista e non un bassista?

Red Canzian: Sicuramente per i primi anni ho suonato il basso come se fosse una chitarra.
Ricordo che il povero Maestro Monaldi, grande arrangiatore delle orchestre nei nostri dischi prog più importanti, come “Parsifal” e “Un po’ del nostro tempo migliore”, mi prendeva in giro dicendo che ero un bassista con aspirazioni da ottavino, perché suonavo sempre in alto, a fine manico, a cercare le ottave della chitarra.
Poi, col tempo, mi sono innamorato del basso e per primo in Italia, in un disco pop, ho fatto un assolo di basso fretless (in “Ci penserò domani”, nel 1978).

A&B: Vasco Rossi è la rockstar eccellente del rock italiano, anche quando se ne esce con un brano pop come "Sally" e un album acustico come "Canzoni per me", mentre per tutti, voi permanete - e sempre permarrete - nell'alveo del pop, dove "cuore" fa rima con "amore", anche quando partorite esempi cristallini di altri generi musicali, come "Parsifal", che compete, a mio modesto avviso, con l'eccellenza del prog italiano (e parlo da cultore dello specifico genere), o come "Inca" e "L'ultima notte di caccia", testimonianza del miglior rock sinfonico di sempre, per non parlare della recente rivisitazione di "Pensiero", che esprime addirittura una vocazione squisitamente rock, se non addirittura hard rock. Perché?

Red Canzian: Perché il nostro è un paese poco attento e ciò che tu hai fatto all’inizio della tua carriera, anche se poi la tua proposta musicale cresce e cambia, ti rimane appiccicato addosso, come un marchio di fabbrica.
La colpa è forse un po’ nostra ma sicuramente un po’ anche della stampa, che faticava a premiare i grandi venditori di dischi: non era di spessore farlo, non faceva figo.
Ho assistito involontariamente a un discorso tra alcuni critici musicali che stabilivano, prima di sentire il nuovo disco di un collega, del quale per correttezza non faccio il nome, se massacrarlo o parlarne bene!!!
Oggi, improvvisamente, quando i Pooh sono in procinto di fermarsi, scoprono la loro anima rock e, finalmente, il grande valore della parte letteraria scritta da Valerio Negrini, che davvero è stato autore di pagine molto più importanti di tanti idolatrati cantautori, che però vestivano le loro canzoni in modo un po’ più serioso ma certamente un tantino più palloso e un po' meno pop di noi!

La formazione attuale, in una efficace inquadratura dal vivo (estate 2016)

 

A&B: Io credo che il binomio Pooh = pop si verifichi per colpa dei Pooh, che non hanno voluto osare di più. Mi spiego: i soloni della musica, i tecnici altezzosi, i musicofili incalliti arricciano il naso, parlando dei Pooh, ignorando - o volendo ignorare - alcune importanti considerazioni: per prima cosa, è più facile scrivere un pezzo sperimentale che una melodia compiutamente armoniosa ed i pezzi dei Pooh sono tutti così: lineari e sensati, con una costruzione della melodia che nella maggior parte dei casi è assolutamente perfetta, anche nelle parti vocali, spesso multistrutturate come pochi altri sanno fare, tra italiani (New Trolls) e stranieri (dai Manhattan Transfer a Crosby, Stills, Nash). Quindi, se è vero che i Pooh fanno pop, non è vero che la loro sia musica facile, da comporre, da ideare, da arrangiare e da suonare, visto che l'esecuzione di molti brani richiede anche grande perizia tecnica. Su quest'ultimo aspetto, inoltre, va soggiunto che Dodi Battaglia è certamente uno dei più bravi chitarristi italiani, se non europei (non lo dice chi scrive, ma un personaggio ben più autorevole quale Franco Mussida (9) della Premiata Forneria Marconi) mentre te e Stefano D'Orazio siete polistrumentisti, suonando entrambi, tra gli altri strumenti, anche il flauto traverso.  
Mi chiedo e ti chiedo, quindi, perchè ostinatamente permanere in una compagine pop, seppur di qualità, limitando le incursioni verso altri generi, pur avendo tutte le capacità tecniche di esprimersi in altre direzioni?

Red Canzian: Ti ringrazio della domanda, nella quale accenni alla poca predisposizione di un certo tipo della critica ad accettare quella dei Pooh come musica di qualità.
Come dicevo prima, la colpa è un po’ anche nostra e della nostra assoluta onestà: a costo di essere fuori moda o poco amati, noi abbiamo sempre seguito e inciso quello che in quel momento ci veniva, senza pensare a cosa avrebbero detto di noi i critici.
Di sicuro tutti, ad oggi, ci riconoscono un inconfondibile marchio di fabbrica e una fedeltà stilistica, pur avendo in realtà cambiato abito alla nostra musica varie volte.

A&B: Non credi che l'immagine dei Pooh potesse essere rappresentata in maniera meno laccata - meno vicina a quella da "bravi ragazzi" di cui si parlava in apertura - offrendo anche una proposta musicale più articolata, meno aurea, più trasgressiva?

Red Canzian: Siamo stati per oltre 40 anni nella stessa formazione e ognuno di noi quattro aveva un suo modo di intendere la vita, la musica e le mode. Siamo stati sinceri e abbiamo fatto quello che ci piaceva fare in quel momento.
Certo, potevamo osare di più e forse chissà dove saremmo arrivati o, forse, non saremmo qui a fare quest’intervista.
Quanti gruppi si sono persi proprio scimmiottando quello che altri avevano fatto prima e meglio di loro? Noi abbiamo sempre fatto i Pooh, nel bene e nel male, anche a costo di non piacere. Tuttavia, alla fine, la storia l’abbiamo scritta noi, in questi 50 anni.

I Pooh oggi. Da sx: Riccardo Fogli, Red Canzian, Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Stefano D'Orazio

 

A&B: Ho sempre pensato che Riccardo sarebbe tornato nei Pooh e che la formazione si sarebbe estesa a cinque elementi. Tuttavia, non pensavo che ciò si sarebbe verificato così in ritardo. Come mai fare questa cosa soltanto in chiusura? Ci avevate pensato anche prima, voi quattro, a farlo rientrare nei ranghi?

Red Canzian: No! L’idea è giusta e giustificata adesso, in occasione di questo gran finale. Ed è un vero peccato che Valerio ci abbia lasciato, altrimenti sul palco ci sarebbe stato anche lui. Prima non avrebbe avuto senso: la storia, quella vera e lunga dei Pooh, l’hanno fatta Roby, Dodi, Red e Stefano, quelli che l’hanno portata avanti per 43 anni, conducendo infine in porto questa grande avventura!

A&B: I Pooh hanno cantato "Storie di tutti i giorni" in una recente ospitata televisiva ma hanno escluso lo stesso brano dalla tracklist dei concerti e dell'ultimo disco live. Per quale motivo? L'esecuzione di questo pezzo - peraltro, non meno popolare di storiche hit dei Pooh e con un sound molto vicino a quello del gruppo - non avrebbe assunto la forma di un doveroso atto di rispetto nei confronti di Riccardo?

Red Canzian: Riccardo gode di tutto il rispetto nostro e del pubblico, ma questo è il 50ennale dei Pooh. La storia si festeggia con le canzoni che l’hanno fatta.
Pensa che suoniamo dal vivo solo uno dei quattro inediti scritti per questo gran finale, proprio per non togliere spazio alle canzoni storiche.
Di sicuro, piacerebbe al pubblico sentire Riccardo cantare “Storie di tutti i giorni” insieme a noi, ma un concerto non è uno spettacolo televisivo, e serve anche un "pensiero" che guidi le emozioni nelle quasi tre ore che si sta sul palco. La musica è molto più seria della vita stessa, a volte, e non può funzionare sempre, tutto e il contrario di tutto!

A&B: Queste le mie recensioni delle due ultime uscite discografiche dei Pooh: L'ultima notte insieme e Pooh 50. Cosa non condividi delle mie osservazioni?

Red Canzian: Ci sta, è il tuo pensiero, che un po’ si è già confrontato con il mio nelle risposte precedenti.
Non mi vedrai mai arrabbiato per una critica. Mi arrabbiavo a 23 anni, quando dicevano che ero "il bello dei Pooh", mentre io avrei voluto essere considerato come musicista.
Oggi sono un uomo sereno e in pace con sé stesso.
Credo che la nostra musica abbia compiuto un bellissimo e lungo arco in un cielo dove spesso era l’unica a brillare, come in altri momenti c’era qualcun altro che brillava più di noi, ma tutto è sempre stato fatto e vissuto con onestà. E con lo stesso amore con il quale parlo dei Pooh, sono convinto che questo sia il momento magico per fermarci.
Abbiamo scritto, cantato e detto tutto quello che era possibile scrivere, cantare e dire. Ora, continuando insieme, rischieremmo la ripetizione, saremmo costretti a una continua citazione di quello che siamo stati e rischieremmo di sentirci dire, come hai fatto tu nel tuo articolo, che “Ancora una canzone”...
(Red si riferisce alla mia recensione del live “L'ultima notte insieme”, di cui parlo molto bene, pur non risparmiando alcune critiche in chiusura, tra cui quella indirizzata al pezzo “Ancora una canzone” che "non è certo un archetipo della canzone italiana, perdendo il confronto con il repertorio storico della band". NdA).
Chiudiamo alla grande, con un pubblico che ci ama da sempre, che ci ha riscoperti o che ci ha incontrati soltanto in questi ultimi anni, per la prima volta. Cosa vogliamo di più!?

La formazione classica, nei primi anni '70

 

A&B: Vorrei che mi parlassi di “Pooh tribute band project”, un doppio cd da te fortemente voluto, contenente brani dei Pooh rivisitati da 25 cover band provenienti da tutta Italia, ai quali si aggiungono un centinaio di elementi di un’orchestra sinfonica.

Red Canzian: Ho dato spazio a 25 Tribute Band dei Pooh, in questo doppio Cd, ognuna delle quali ha registrato un nostro brano.
E’ un buon prodotto che rappresenta soprattutto l’amore e la dedizione che tanti musicisti, alcuni molto bravi, hanno dedicato alla mostra musica.
Non solo: questi ragazzi interpretano a 360° gradi tutto il nostro progetto, il nostro spirito, il modo di fare spettacolo, i nostri effetti scenici, i nostri costumi.

A&B: Perchè la scelta delle cover band? Perchè non puntare su gruppi di diversa estrazione musicale, ad esempio coinvolgendo sapori jazz o irruenze hard rock?

Red Canzian: Le band si sono più o meno attenute agli arrangiamenti originali, tranne un paio che hanno reinterpretato i nostri brani.
Ho fatto questo disco perché volevo fare questo disco. Un giorno, chissà, produrrò un gruppo di punk rock o un ensemble di musica celtica.
Del resto, che senso ha chiedere ad un cuoco come mai sta preparando una pasta al pomodoro e non un risotto con la zucca?

Red Canzian dal vivo (estate 2016)

 

A&B: Non ci credo che i Pooh si fermeranno. Continuerete ancora, vero?

Red Canzian: I Pooh continueranno a seguire la loro storia, la loro discografia e a proteggere il patrimonio socio-culturale che rappresentano, ma non faranno più dischi o concerti insieme.
Ognuno di noi, ne sono certo, non smetterà di essere se stesso e magari comincerà a dedicare un po’ di tempo a quelle "voglie frenate e trattenute" nel corso di questi 50 anni.
Insomma, ognuno continuerà a fare ciò che ama: cantare, suonare, scrivere, pensare... o riposare!

A&B: Concludo cambiando totalmente tema. Diventare vegetariani o vegani è molto difficile: ho eliminato la carne dalla mia dieta ma non riesco a togliere il pesce e i formaggi. Aiutami, ti prego...

Red Canzian: Amico mio, c’è ancora un bel po’ da fare!
A febbraio esce il libro dedicato al veganesimo che ho scritto con Chiara
(la figlia che Red ha avuto dalla sua precedente relazione sentimentale. Nda) e magari, leggendolo, troverai la spinta per il passo decisivo (10).
Ricorda che il pesce è muto ma soffre anche se non urla e che il formaggio, pur buonissimo, è una spremuta di colesterolo e grassi animali.


Red Canzian ai tempi del suo ingresso nei Pooh (1973)



Note


(1) La formazione dei Capsicum Red era composta da Bruno "Red" Canzian (chitarra, voce), Mauro Bolzan (tastiere), Paolo Steffan (basso, voce, piano), Roberto Balocco (batteria).
Nonostante all'epoca del loro esordio non abbiano attirano molto interesse, il loro unico disco, "Appunti per un'idea fissa", gode oggi di un certo interesse tra gli appassionati di rock progressivo.
La prima facciata è certamente la più interessante: pur contenendo una rivistazione della "Patetica" dI Beethoven, non suona affatto pretenziosa: vi sono sintetizzati gli stilemi del prog di allora, con ottimi protagonismi di tastiere. I tre brani presenti sul lato b possono essere inseriti a pieno titolo nell'alveo molto esteso dello specifico genere, sebbene più vicini alla formula canzone.
Il nome
Capsicum Red si deve alla presenza di Red Canzian, ma non per sua volontà: fu scelto dal produttore Pino Massara quando, scoperto Canzian nel 1970 quale cantante e chitarrista dei Prototipi, decise di portarlo nella propria etichetta, la neonata "Bla Bla".
Da notare che, per attrarre maggiore interesse, i Capsicum Red vennero da lui presentati come un gruppo straniero, cosa che permise loro di raggiungere un discreto successo con i primi due 45 giri: Ocean/She's a stranger (BBR 1306, 1971) e Tarzan/Shangrj-la (BBR 1322, 1971).
Il brano "Ocean", inciso da Canzian con musicisti di studio che poi non faranno parte della formazione presente nell'album, ebbe successo anche grazie al fatto che venne usato come sigla della trasmissione televisiva, "...E ti dirò chi sei".
Il secondo 45 giri, come peraltro precisato dallo stesso Canzian nell'intervista, fu inciso a Londra con i musicisti del gruppo Stone the Crows.

(2) www.italianprog.it/ è un sito (e anche un libro molto corposo, peraltro edito in varie lingue) interamente dedicato alla musica progressiva italiana degli anni '70.
E' considerato il sito più autorevole dello specifico genere.
Anche i Pooh vi sono citati, ma limitatamente agli album "Parsifal" e "Un po' del nostro tempo migliore", certamente i loro album progressivi.

(3) Gli Osage Tribe furono fondati nel 1971 da Franco Battiato che riunì attorno a sé il batterista Cucciolo, il chitarrista Marco Zoccheddu (già nei Nuova Idea) e il bassista Bob Callero.
Battiato riuscì ad inserire la band tra le fila dell'etichetta Bla Bla ma, attratto dalla carriera solista, abbandonò quasi subito il gruppo, di fatto riuscendo ad incidere soltanto il primo singolo, "Un falco nel cielo".
I supersiti, di stanza a Genova, si indirizzarono verso il nascente rock progressivo, sebbene a vocazione hard rock, pubblicando nel 1971 uno dei dischi più interessanti dello specifico genere, "Arrow head".
Quando Zoccheddu e Callero fondarono i Duello Madre, verso la fine del 1972, Cucciolo fu messo in contatto con Red Canzian che, chiamato il bassista Giampiero Marchiani, decise di rispolverare la sigla, Tuttavia, anche questa formazione ebbe vita breve: Cucciolo partì militare e fu sostituito da Enzo Vallicelli (già con gli Hellza Poppin e dopo con gli Uno, gruppo fondato assieme a membri degli Osanna, altra band progressive, di cui si parla abbondantemente nelle note successive) mentre Canzian venne reclutato dai Pooh.
Nel 2013 Cucciolo riprende in mano la storica sigla e pubblica un cd intitolato "Hypnosis" nel quale sono alternati rifacimenti di brani storici e composizioni inedite, con una formazione che comprende il bassista Bob Callero e il chitarrista Mattia Tedesco.

(4) Inciso per la citata Bla Bla, il primo album di Franco Battiato, "Fetus", pubblicato nel 1972, può essere inserito nel filone del rock progressivo, seppur con qualche riserva: prevalentemente sperimentale, aveva un suono minimalista, principalmente creato da un sintetizzatore VCS3, presentava arrangiamenti complessi, testi assai inusuali e una copertina che creò scandalo, giacché riproduceva la fotografia di un feto umano.
Il successivo "Pollution", sempre pubblicato dalla medesima etichetta, viaggiava sulle stesse coordinate sonore, sebbene in termini di maggiore determinazione.

(5) Gli Stone The Crows furono un gruppo scozzese di stampo blues/rock, formatosi a Glasgow, ed in attività dal 1969 al 1973. Effettivamente la loro cantante, Maggie Bell, divenne famosa per il suo timbro molto simile a quello di Janis Joplin.
La sua abilità fu tale da attirare le attenzioni di Peter Grant, noto manager dei Led Zeppelin, convinto che il gruppo potesse diventare la punta di diamante della label discografica Polydor.
Tuttavia, pur riscuotendo un discreto successo inzialmente - anche grazie alla perizia tecnica del chitarrista Les Harvey (amico e non meno capace di Jeff Beck, Jimmy Page ed Eric Clapton) - la band si sciolse quando lo stesso Harvey rimase folgorato da una scarica elettrica durante un'esibizione.
Maggie Bell, sua fidanzata, attraversò una profonda depressione e il gruppo si sciolse inevitabilmente.
La loro discografia comprende quattro album: "Stone the crows" (1970), "Ode to John Law" (1970), "Teenage Licks" (1971), Continuous Performance" (1972).

(6) Il raduno denominato "Be-In" - che si tenne a Napoli, nell'estate del 1973 - fu organizzato dal gruppo partenopeo degli Osanna e vi presero parte questi ultimi, il citato Battiato e il meglio della scena progressive italiana dell'epoca: Peter Hammill, Jumbo, De De Lind, Perigeo, Claudio Rocchi, Living Music, Quella Vecchia Locanda, Tito Schipa Jr., Atomic Rooster, Garybaldi, Mauro Pelosi, Vince Tempera, Edoardo Bennato, Cervello, Oro, Semiramis, Rosa Balistreri, Murple, Shawn Phillips (Pholas Dactylus, Metamorfosi e i due leader del Banco del Mutuo Soccorso, Francesco Di Giacomo e Vittorio Nocenzi, non poterono esibirsi per problemi legati al protrarsi delle esbizioni di altri artisti). L'evento riscontrò un grande successo di pubblico e di critica ma chiuse tragicamente in perdita, con pregiudizio delle finanze della band. Chi scrive ha avuto modo di ascoltare le registrazioni della performance di Franco Battiato: l'artista siciliano si presentò munito del solo sintetizzatore e si profuse in un assolo di stampo sperimentale, più vicino all'avanguardia sonora, piuttosto che al rock progressivo, attirando fischi e proteste da parte del numeroso pubblico. Per chi volesse documentarsi sul citato festival/raduno, riporto di seguito gli articoli apparsi sulla rivista Ciao 2001 in quello stesso anno (n. 27 dell'8 luglio 1973), a firma di Fiorella Gentile, Dario Salvatori, Maurizio Baiata. Da notare che la prima dei tre, parlando dell'esibizione di Franco Battiato, espresse un giudizio grossomodo coincidente con quello dello scrivente. Gli interventi sono lunghetti, ma vale la pena leggerli, trattandosi di documenti di un certo valore storico-musicale. Il primo intervento è altamente suggestivo (mi piacerebbe intervistarla, questa redattrice dotata di profonda sensibilità e rara capacità di comunicare con la penna). 
Fiorella Gentile: A distanza di tre anni dall'ultimo festival di Wight, non ho ancora dimenticato l'emozione di vivere un avvenimento tanto più grande di me. 60.000 persone, l'enorme arena recintata, il timbro colorato d'ingresso sulle mani, le bandiere variopinte e i venditori ambulanti di yoghurt, hot dogs e altre gioie varie: la notte e la silhouettes danzanti, mille sacchi a pelo e un immobile palcoscenico di stelle. Le file allucinanti, che si snodavano per chilometri, le bancarelle assurde e la violenza di mille odori. E Grande, su tutto e su tutti, la Musica. E' vero: Wight is Wight. Eppure i tre giorni passati al be-in napoletano non sono stati meno belli, meno coinvolgenti, anche se ogni cosa mi sembrava, rispetto a quella esperienza, in tono ridotto, quasi senza amplificazione. Pesava favorevolmente sulla bilancia la tenerezza d'aver visto finalmente nascere in Italia qualcosa che altrove è già finita, forse per l'oscura volontà di chi non ha mai potuto sentirsene parte. Sembrava di assistere alla proiezione di un film, al quale si poteva partecipare indifferentemente nel ruolo di protagonisti o di spettatori. Ogni cosa aveva un preciso senso artistico, anche le scaramucce nel retro-palco per gli strumenti o la posizione dei furgoni, gli anacronistici divismi di certi artisti arrivati solo per la loro esibizione e subito ripartiti (lasciandosi dietro una scia di profumo alla "Greta Garbo") sotto gli sguardi commiseranti di chi quei tre giorni se li stava godendo sin dai primi attimi di tensione. E poi il lento ma costante fluire di ragazzi con in mano le coperte e sul viso una espressione di incertezza circa quel che poteva accadere, e di speranza che fosse quello che era stato promesso. Eddie Ponty, il gigante buono, sempre in attività, a difendere, sostenere, accusare, con una lucidissima percezione del pubblico; Danilo (Rustici), a grandi passi per il campo, messaggero degli Dei; Angelo Del Giudice (uno degli organizzatori), sempre sorretto, nei piccoli come nei grandi problemi, dal sorridente fatalismo napoletano; Elio (D'Anna), mollica di pane sotto una colonia di formiche, sempre a spiegare, discutere, convincere, disteso solo mezz'ora prima della fine del be-in, quando già nasceva il rimpianto e faceva dimenticare la stanchezza; Tony Marcus, come un sogno ricorrente, col suo cappello a falda larga e la custodia del violino in mano; Lino (Vairetti) in mezzo alle sue sculture nell'assurdo giardino del ristorante. Tutto aveva un senso preciso. Anche la bottiglia volata via improvvisamente, le grida confuse da cui si distinguevano solo "compagno" e "fascista", le persone che si muovevano come palline di ferro in un campo magnetico e la calma che è seguita, quando ci si è accorti che quel gioco era vecchio e fuori luogo, lì. Il sole che intorpidiva gli animi e i corpi e la musica, bella e brutta. Il rock invecchiato e distillato dei complessi "divi", il canto dissacrante e bellissimo di Peter (Hammill), "il profugo"; l'energia ritmica dei Jumbo; il sound "genesiano" di alcuni complessi nuovi; i De De Lind originali e precisi; Claudio Rocchi con due splendidi bambini, tirato fuori da un quadro bucolico; il favoloso incanto della musica del Perigeo; Alan (Sorrenti) sensibilissimo, ma temporaneamente senza voce e, purtroppo, senza più Tony. E poi, meravigliosa, la jam session da annali del pop, L'Uomo e la Donna (Elio e Tony) che dialogavano coi loro strumenti: il flauto accattivante e aggressivo, il violino pazzo e remissivo. Una straordinaria intesa musicale, che si traduceva in movimento fisico, in sguardi e sorrisi, nel diffuso rossore di lei e nella prepotente personalità di lui. Il gioco infantile di due artisti eccezionali, alla riscoperta dell'essenzialità musicale. Dietro, un solido mantello ritmico: la chitarra di Danilo, la batteria e il basso (Atomic Rooster) che stavano alle regole, pur abituati a tutt'altro, le altre due chitarre (De De Lind e Living Music) docili, il flauto intimidito (Quella Vecchia Locanda) e il sintetizzatore (Battiato) a volte efficace, altre fastidioso, in mezzo a tanta armonia, come un gesso sulla lavagna, e ridondante. 25.000 presenze registrate nei tre giorni, un'atmosfera sempre più compatta, i poliziotti annoiati all'uscita, la folla ormai contenta, il sole patrocinante, gli amici: peccato per chi non c'è stato. Unico grosso rammarico l'ho avuto nel constatare l'egocentrismo di alcuni artisti, che non hanno capito assolutamente niente dello spirito della manifestazione e si sono impossessati del palco come se fosse stato allestito per loro soli. Cosa che purtroppo ha sottratto tempo a quanti ancora avrebbero dovuto suonare e non hanno potuto (come i Metamorfosi). Anche Vittorio e Francesco del Banco erano intenzionati a fare un jam session con gli Osanna e altri musicisti, se ne avessero avuto la possibilità. Neanche gli organizzatori hanno potuto offrirla loro non volendo cadere in pesanti discussioni.
Dario Salvatori:
Grazie al primo be-in il rock italiano ha fatto un grosso passo in avanti. Forse non tutti se ne sono accorti ma sicuramente se ne parlerà molto in futuro. Infatti, grazie all'organizzatore Angelino Del Giudice (chiamiamolo pure "organizzatore" anche se suona male, ma state tranquilli che si distacca completamente da tutti gli altri del settore, sia per metodi di lavoro, sia per un'innata umanità), il rock è entrato per la prima volta sotto l'ala di un'Azienda di Cura e di Soggiorno. Ciò è importantissimo. E' un dato di "ufficialità" che non dobbiamo assolutamente lasciarci sfuggire di mano. Fino ad oggi soltanto il jazz (dopo tanti anni riconosciuto a livello serio e qualificante) era riuscito ad abbinare le sue manifestazioni con enti ufficiali; anzi spesso la sua vitalità e l'organizzazione di rassegne a livello europeo dipendevano soltanto da questo. Ora sembra arrivata anche l'ora del rock. Dopo tanti patimenti, dopo tanti permessi revocati, dopo mille ghettizzazioni di ogni sorta, qualcuno pensa bene di riconoscere la nostra musica. A parte i soliti dieci anni di ritardo con cui si arriva a capire certi fenomeni, nulla in contrario. Attenzione però! Stiamo attenti a chi andrà in mano la gestione di tutto ciò... Il festival è stato indubbiamente bello ed interessante, vivacizzato da polemiche sul prato e al microfono, che tutto sommato non hanno guastato per niente. Bello il posto. Il Villaggio Kennedy di Camaldoli era in pratica una pista di go-karts, con erba e asfalto. In certi momenti si aveva l'impressione di essere ad Altamont; per sfortuna sono mancati i Rolling Stones, per fortuna sono mancate le coltellate. L'acustica era la solita delle manifestazioni all'aperto, l'organizzazione sonora aveva ogni tanto momenti di crisi. Il pubblico napoletano ha mostrato di gradire forse più di ogni altro Claudio Rocchi, sempre presente a certe manifestazioni, che ha riproposto brani tratti dal suo ultimo long playing. I ragazzi del Perigeo hanno suonato, devo dire con molto impegno, alcuni titoli del loro primo long playing "Azimut", fra cui "Grandangolo", riproponendo infine un pezzo particolarmente caro a Giovanni Tommaso, "Tutti hanno un blues da piangere", brano che già gode di una buona popolarità senza essere mai stato inciso. Solita divisione di pubblico con l'esibizione del Rovescio della Medaglia, gruppo romano che si è presentato con l'organico esteso. Grossa gioia per gli amanti dell'hard, mentre gli altri devono ammettere che il Rovescio è un grosso set, voglio dire che indipendentemente dai singoli gusti, rimane un gruppo organizzato, preciso, costituito da professionisti e in grado di offrire un grosso show da palcoscenico. Bravissimi gli Osanna, a cui si deve in parte l'allestimento del be-in. Ottima resa dal vivo ancora una volta del loro "Palepoli" naturalmente senza maschere e scenografia. Altra divisione di pubblico per il Living Music; c'era chi applaudiva e chi rideva. Ho scoperto che questo gruppo non è molto amato dal pubblico impegnato, quelli cioè che parlano di profanazione di Allen Ginsberg, e da una fetta di critica che mette in discussione la serietà e l'autenticità dei componenti. Vorrei soltanto suggerire di ascoltare più umilmente, di ricordarci che siamo italiani e che viviamo in Italia e, infine, che all'interno del Living Music c'è tanto amore. Mi è poi piaciuto molto Tito Schipa, un ragazzo indubbiamente dotato e ricco di contenuti. Il guaio di Tito è che essendo un poliedrico si dedica contemporaneamente alla musica, al teatro, alla regia, alla recitazione, senza riuscire a mettere a fuoco tutti questi lati con lo stesso successo. Bella reazione del pubblico al suo "Combat". Ancora bravi i Garybaldi, Mauro Pelosi, Tempera, Bennato, Cervello e Oro. Meno bravi i Semiramis, i De De Lind, poco sincera Rosa Balistreri. Assolutamente strepitosa la gente sul prato. In questo senso Napoli è un po' la California della situazione. Elisir magici del prato, Raffaele Cascone, lo sballato, sul palco, Eddie Ponti, fratello maggiore, istituzione da palcoscenico, con il microfono in mano, ci hanno aiutato a stare meglio, ad "esserci", a contarci, a vedere e a constatare che la prossima edizione dovrà essere ancora più bella.
Maurizio Baiata:
Parlare di deliri e di tristezze, ad un tempo, è cosa per lo meno strana in un contesto prettamente musicale, soprattutto se si ritrovano caratteri di positività e di negatività in una stessa ambientazione, nel nostro caso la occasione del be-in di Napoli. Due sono i motivi che a mio avviso è importante far rilevare in questa sede: il primo, il viso di Shawn Phillips, la rada barba bionda, i capelli incredibili e gli occhi buoni e giusti proiettati verso il cielo di Napoli, e la sua musica magica, irreale, altezzosa quasi nella sua limpidezza e cristallinità; il secondo, di tutt'altra natura, legato a vicende molto più terrene, che è doveroso segnalare e forse anche denunciare, giacché rispecchiano un po' la vita dei nostri complessi, minori e non, alle prese con il mondo manageriale e di interessi della nostra pop music. Preferisco ricordare e toccare ancora una volta con mano la delirante personalità di Shawn dai lunghi capelli, giungo nuovamente a Napoli dopo un periodo di qualche mese trascorso in America per una serie di concerti che lo hanno imposto come figura di primissimo piano fra i cantautori della sua terra, mentre qui lo andiamo scoprendo lentamente, a viva forza taluni perché violentati dal suo dire sin nel midollo, lenti a convincersi altri, perché una voce-galassia a volte sconcerta e prima di essere amata va capita. Shawn, un furgone, la gioia negli occhi, la mano sul volante e sulle miriadi di chitarre che lo accompagnano da un milione di anni. il sorriso dolce sulle cose e sugli uomini, la parola semplice, Texas e Palepoli nella gola: un uomo che ormai molti di noi conoscono. Accompagnato da Tony Walmsly, Shawn ci ha dato un suono a tratti nervoso, irreale, fino ad ora sconosciuto; le sue celebri chitarre a doppio braccio respiravano attraverso un sintetizzatore, sonorizzavano la atmosfera palpando l'oscurità, bagliori distinti ed accecanti erano quel suono mozzafiato: il pubblico sconcertato, le gambe molli per l'emozione, mentre già Sorrenti aveva calcato il palco, con "Serenesse" nella voce ed il pensiero di Phillips nella mente, indubbiamente. Bello e giusto e sacro, nell'atmosfera chiesastica che si era fatta attorno alle luci della sua figura, era il racconto di Shawn, maestro e gran cantatore di California e di Positano: "She Was Waiting For Her Mother...", meglio conosciuta come "Woman", a spalancare il cuore verso l'amore e la purezza, e le travolgenti espressioni di "Second Contribution" gettate in faccia agli emisferi dell'armonia, qualcosa di incredibile, indescrivibile tanto il linguaggio, ogni nota, l'espressione di Phillips superano il semplice ascolto musicale, per giungere a penetrare i nostri cervelli e le nostre anime. Mentre la favola continuava per opera di un soffio d'America, il sottobosco dei giornalisti, degli addetti e non, degli organizzatori, dei complessi e dei lori impresari, si ingegnava tutto a raccogliere le trame del lavoro che li aveva portati sino al primo "Be-in", e forse il tutto poteva apparire squallido, ma dietro le quinte l'occhio dell'appassionato sincero sapeva distinguere lo sporco dal puro, sempre si tratti della sua musica, o che un ideale venga frustrato, o che, come nel nostro caso, e precisamente nel corso di entrambe le due occasioni napoletane (Avanguardia e Be-in) alcune formazioni non abbiano avuto la possibilità di esprimersi, per ragioni varie che non staremo a discutere, o non sono state segnalate dalla critica dei quotidiani e non, pur avendo numeri di indubbio interesse. Vorrei parlare dei Pholas Dactylus e dei Metamorfosi che, nel corso della serata finale del Be-in si sono visti negare la gioia del palcoscenico ed il rendere giustizia, oppure al limite vanificare dei loro sforzi per la troppa goliardia o il mancato rispetto di artisti senz'altro più affermati, ma che non avevano il diritto di esibirsi per un'ora e più. Lo stesso Shawn ha esagerato, trascinato in un orgasmo furibondo di suoni e colori, e Alan ha gettato alle ortiche anche gli sforzi dei suoi compagni che tentavano di frenarlo e seguirlo in una sorta di giusto delirio, bello sì ma inutile nei confronti di chi era lì per le stesse ragioni. Stesso comportamento da parte di altri: quello che è accaduto per i Pholas Dactylus ed i Metamorfosi non si deve assolutamente ripetere, come non deve passare senza l'interesse di alcuno il discorso intrapreso dal gruppo Abramo Lincoln, con il buon senso alle spalle ed il jazz davanti agli occhi. Vorrei terminare con un breve discorso inerente proprio ai Pholas: il loro suono è ancora acerbo, ma le idee sono completamente nuove; con racconti che si snodano attraverso l'abbattimento delle barriere temporali e spaziali, per mezzo della percezione extrasensoriale proiettata nel futuribile e nella scienza del fantastico, nella filosofia cosmica, e nella cosmogonia degli eterni e degli inconoscibili. Dal canto, che è più giusto definire narrazione pura di una concretezza ideale che non ha riscontro almeno a livello di testi, alle più semplici costruzioni armoniche, il gruppo dimostra un carattere proprio ed una limpidezza d'intenti non comune. Con il beneplacito di chi regola le segrete cose della musica pop italiana, questo modo di gente coraggiosa e reale merita la nostra partecipazione e la nostra fiducia per il futuro. 

(7) Gli Osanna fanno parte del gotha del rock progressivo nazionale, collocati immediatamente dopo ai quattro "big" dello specifico genere (Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccosro, Orme, New Trolls).
Si formano a Napoli, agli inizi degli anni settanta dall'unione del gruppo Città Frontale con il fiatista Elio D'Anna.
Tra i primi in Italia ad esibirsi dal vivo con trucco e costumi di scena, fondevano rock progressivo, musica tradizionale, sperimentazione, teatralità e commedia dell'arte.
Dopo aver pubblicato cinque album seminali per il rock progressivo ("L'uomo", 1971, di stampo hard rock; "Preludio, Tema, Variazioni e Canzona", 1972, con un'orchestra diretta dal Maestro Luis Bacalov; "Palepoli", 1973, indirizzato alla tradizione partenopea, ma sempre con un piede nel progressive; "Landscape of Life", 1974, di grande influenza inglese; "Suddance", 1978, che anticipa la formula tipica del primo Pino Daniele), tornano in attività nel 1999 e da allora, continuano ad esibirsi dal vivo, seppur con l'ausilio di diversi nuovi membri (tra i quali David Jackson, dei Van Der Graaf Generator).
Per maggiori approfondimenti su questa band, consiglio la lettura del seguente articolo a firma di chi scrive: www.artistsandbands.org/ver2/articoli/biografie/7379-osanna-facimmo-o-prog.

(8) Per gli smemorati, i Pooh tennero le selezioni per il nuovo bassista agli inizi del 1973, nella lavanderia di un albergo collocato sull'Appennino tosco-emiliano, a Roncobilaccio. Red Canzian già conosceva la band, i cui membri incontrò nel 1971, in occasione del Festivalbar di quell'anno, ove chiacchierarono a lungo in attesa delle rispettive esibizioni. Privi del bassista, ai tre superstiti venne in mente quella lunga chiaccherata che, unita alle competenze tecniche del trevisano, influì in maniera determinate sulla decisione finale.

(9) A metà degli anni '80, Franco Mussida rilasciò una lunga intervista a Paperlate, la prima rivista di progressive rock in Italia. Fu proprio in quell'occasione che il chitarrista espresse il lusinghiero giudizio nei confronti di Dodi Battaglia (pur indirizzando alcune critiche al gruppo tutto, sebbene caratterizzate da spirito costruttivo).
Per i noti problemi di spazio che affliggevano le edizioni cartacee, specie quelle amatoriali, come nel caso de quo, non tutto di quella chiacchierata fu trasposto nero su bianco e quella specifica dichiarazione, unitamente ad altre opinioni (nello specifico, tutte quelle non specificamente afferenti alla Premiata Forneria Marconi e al rock progressivo), furono tagliate dalla versione definitiva, poi pubblicata sul n. 7, dell'ottobre 1985, a firma di Roberto Cangioli, Ezio Candrini e Giorgio Brancaglion.
Ne consegue che la testimonianza in argomento è rimasta inedita fino ad oggi, qui pubblicata per gentile concessione della predetta rivista Paperlate e dei tre autori di quella storica intervista, che ringraziamo sentitamente.  

(10) Red ha già scritto un libro in cui parla (anche) della sua scelta vegana, pubblicato nell'aprile 2012 ed intitolato "Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto". Si tratta di un'autobiografia in cui, oltre a spiegare il perchè delle sue scelte alimentari, parla di sé, della sua infanzia, del suo mestiere di musicista, della sua famiglia, dei suoi hobby.
Altri libri a sua firma trattano tematiche rivolte alla natura: "Magia dell'albero", "Storie di vita e di fiori", "I bonsai - La natura in miniatura", "Un albero per la vita" e "Bonsai".







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