Dove si pone il confine tra le azioni di un genitore tese a dare ai propri figli più possibilità di successo, e la negazione del diritto di poter scegliere per se stessi anche il peggio, scevri da condizionamenti? Quanto può costituire felicità il raggiungere una meta piuttosto che realizzare se stessi nel viaggio per conseguirla? Nell’acuto spettacolo diretto e scritto da un eccellente Emanuele Aldrovandi, il viaggio umano assume una dimensione di meta racconto attraverso il personaggio di Ferdinando che, a tratti, si rivolge al pubblico al di là delle scene per assumere funzione di narratore riuscendo in tal modo ad instillare ulteriori elementi di riflessione in chi assiste. Ferdinando cerca di domandarsi se e quanto abbiano un senso le aspirazioni che ha Marta, sua compagna, finalizzate a spingere al successo la propria figlia Emma nella convinzione che siano il termine di una felicità da raggiungere ad ogni costo. Nei suoi intrighi, oltre il proprio compagno, la stessa Marta coinvolge lo sconclusionato cognato Carlo per riuscire a sfruttare la notorietà dell'attrice Chiara a favore della stessa Emma. Da questo intrigo pasticciato nasce l'occasione narrativa di poter raccontare molte verità, attraverso un'ironia mirabilmente incastonata in una dimensione distopica eppur sempre concreta: nel generare la risata viene instillato via via un senso più profondo nel medesimo istante, rendendo meno aulica la riflessione indotta dagli eventi in palco e rendendola più “quotidiana”, pertanto vicina ad ogni spettatore. I personaggi hanno conseguentemente funzioni precise attraverso i dialoghi, ma al contempo lasciando ad ogni interprete ambiti di manovra di dimensioni tanto più ampie, per le loro caratterizzazioni, quanto più questa ampiezza risulti funzionale a realizzare il senso del racconto. In questo esiste per l’attore una efficace eppur terribile arma a doppio taglio, poiché lo stesso spazio per creare il proprio personaggio potrebbe rapidamente compromettere ogni intento laddove non soppesato accuratamente. Se infatti tali creazioni dei caratteri in scena non fossero ognuno in sintonia con gli altri, nell’ottica delle intenzioni di narrazione ed in delicato equilibrio persino nei tempi, l’effetto sarebbe terribilmente conseguente. Di tutto questo è invece fulgido positivo esempio lo stesso Tomas Leardini nel caratterizzare il suo personaggio in modo calibrato ed efficace nelle nevrosi dello stesso Carlo, così come la caratura delle ambizioni nella madre interpretata benissimo da Serena De Siena, e come la presa in carico di “coscienza in scena” di Giusto Cucchiarini arrivando ad un dialogo chiave con la iconica affermata attrice interpretata alla perfezione da Silvia Valsesia. Il plauso in questo caso è pertanto d’obbligo perché riuscire ad instillare sia risate che riflessioni, con giusti personaggi ed in tempi perfetti, peraltro in una dimensione (creata da ottime luci e scene) cosi complessa, non è affatto cosa comune.
La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 13 febbraio 2025. |
COME DIVENTARE RICCHI E FAMOSI DA UN MOMENTO ALL’ALTRO con Giusto Cucchiarini Serena De Siena Tomas Leardini Silvia Valsesia
regia e testo Emanuele Aldrovandi
scene Francesco Fassone luci Antonio Merola costumi Costanza Maramotti aiuto regia Luca Mammoli
Una madre vuole aiutare la figlia di sette anni a diventare un’artista di successo e per farlo è disposta a tutto. Uno spettacolo sul rapporto fra la felicità e la realizzazione personale, che pone una riflessione su cosa sia la qualità artistica nell’epoca della post-verità.
NOTE DI REGIA La scrittura è estremamente concreta e realistica, ma l’allestimento sarà onirico e surreale, perché quello che viene messo in scena è il ricordo di un uomo che continua a rivivere la giornata nella quale la vita di una bambina di sei anni è cambiata per sempre. La storia di una madre, Marta, della sua ossessione per la realizzazione della figlia Emma e del suo piano bislacco che coinvolge con l’inganno Chiara, una famosa attrice, e Carlo, cognato appassionato di scacchi, rivive attraverso lo sguardo di Ferdinando, talvolta distaccato, talvolta pieno di sensi di colpa: cosa avrebbe potuto fare di diverso? È possibile cambiare il corso degli eventi e incidere veramente sulla realtà e sul mondo? Se il testo affronta il rapporto fra la felicità e la realizzazione personale, la chiave registica con cui ho deciso di metterlo in scena pone l’accento sul vortice ossessivo di chi è condannato a pensare una cosa e poi, nell’attimo successivo, esattamente la cosa opposta. La realtà si deforma sotto lo sguardo di chi è convinto di non poterla mai conoscere, ma solo ipotizzare. .
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