Coinvolgente e godibile, "Gabriele d'Annunzio", il secondo dei tre "Inimitabili" di Edoardo Sylos Labini, è un'opera scritta con intelligenza e sensibilità, interpretata con passione ed evidente suggestione per l'irresistibile Immaginifico che, ad 86 anni dalla sua scomparsa, continua ad esercitare potente fascino e a conquistare chi vi si avvicina, col suo inarrivabile divismo prima ancora che coi suoi capolavori. Il 52enne regista e attore pometino, in modo rispettoso e al tempo stesso tattico, opta per una narrazione biografica fedelmente cronologica e sopratutto "terza", raccontandoci le gesta e le opere del Vate pescarese per lo più da novelliere e calandosi, invece, nei panni di colui che fece "della propria vita come si fa di un'opera d'arte" soltanto nei momenti essenziali e drammaturgicamente più intensi. Di queste "gocce" in cui l'attore passa dal racconto all'interpretazione, il punto più alto è senz'altro rappresentato da "La pioggia nel pineto", la cui declamazione, non a caso centrale nei 70 minuti di spettacolo, restituisce in modo pieno e credibile il panismo dannunziano. Per la maggior parte del lavoro teatrale, tuttavia, il "Comandante" è invece oggetto e non soggetto. Così vogliono gli autori che grazie alle scene di Alessandro Chiti e alle installazioni di Marco Lodola, ce ne offrono una riproduzione a colori vivaci e grandezza naturale sul lato sinistro del proscenio: un totem bonario, mai austero e giudicante, che si lascia raccontare ed interpretare così come i posteri lo vedono; senz'altro memore di quel sogno fatto a Gardone Riviera nel 1923 che lo fece interrogare su chi mai, allora o nei secoli, avrebbe potuto indovinare quello che di sé aveva voluto nascondere. Edoardo Sylos Labini sceglie quindi di separare in modo fisico il suo territorio, nel qual talvolta passa dal raccontar all'essere, dal resto del palco con una cornice luminosa ed evidente dietro la quale il Maestro Sergio Colicchio, con una performance pianistica coinvolta, tecnicamente impeccabile ed energica ma mai fuori contesto, non solo accompagna e sottolinea la narrazione ma in alcuni casi la sostituisce. "La vita del Vate è una galoppata, una carica di cavalleria che trasforma la cronaca in leggenda", pare dirci questa pièce e ogni carica, come ci ricorda Francis Ford Coppola in Apocalypse Now, ha bisogno della sua colonna sonora. Dal retro del palco ecco quindi che Colicchio, con le sue musiche originali, non fa contrappunto o solo tappeto ma fa trama unica con la parola, talvolta prendendone completamente il posto. In un unico caso, poi, la usa egli stesso, non per il canto ma da improvvisato e scanzonato attore, quando, convocato dal protagonista al suo fianco, restituisce al motto dannunziano forse più famoso e saccheggiato dalla propaganda fascista, quella genuinità euforica e di pascoliana radice con la quale era nato, durante la Grande Guerra, per sostituire il "barbarico" hip hip urrà. Un'ultima menzione merita la scelta degli inserti espositivi - foto e filmati storici - commentati dalla voce bellissima e a tratti suadente di Stella Gasparri che didascalizzando con taglio televisivo pagine dell'epopea poetica, narrativa, amorosa, mondana, politica e bellica dannunziana, dona all'opera un'utile e forse necessaria alternanza ritmica e un cambio di registro che ben si armonizzano con i toni inevitabilmente enfatici e modernamente patriottici del protagonista. L'opera di Edoardo Sylos Labini continua il 28 settembre con un altro evento ancora, l'ultimo del trittico, stavolta dedicato a Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. |
INIMITABILI: GIUSEPPE MAZZINI
|