Cinque amici, spalmati tra due coppie e una persona single, sono alle prese con il tentativo di “trovare un posto al mondo stipato”, tra sogni e disillusioni, aspirazioni e rinunce, tentativi e abbandoni alla sconfitta, raccontati in tre episodi principali e più appendici.
Nel primo, un'aspirante attrice ed il compagno, in un traumatico risveglio, ci divertono raccontandoci la genesi del leit motiv del “più che abbastanza”, momento che resta forse quello con più speranza; nel secondo una aspirante avvocato insoddisfatta, cerca di partire per una impossibile vacanza con il suo esilarante “ricercatore” di lavoro e “trovatore” di APP nonché aspirante professionista di videogiochi; nel terzo una insegnante di sostegno affronta pestiferi pargoli in attesa, chissà quando, di poter passare di ruolo. In una conference call le tre amiche, interpretate da Achiropita Dalila Bosco, Martina Nuzzi ed una effervescente Irene Losi, si trovano a confessarsi i rispettivi insuccessi, le angosce per il futuro, l'assenza di prospettive ed un presente pieno di insoddisfazioni, confronto accompagnato da una voce fuori campo che elenca le tematiche delle incombenze quotidiane con cadenza inesorabile, fornendo una sottolineatura che, in congiunzione temporale con le disillusioni delle tre donne, traccia netta la linea di una impossibilità di riuscita e realizzazione delle loro esistenze. A far da contraltare ad un livello più gioviale, troviamo i personaggi interpretati da Joele Attianese e Marco Antonio Fiore che si incontrano in fila dinanzi ai centri dell’impiego. Nell'occasione, in un apprezzabile momento teatrale di semi-improvvisazione che coinvolge il pubblico, i due si inerpicano in una fuga dalla realtà con disincantato abbandono tramite una fantomatica APP. Sono le tre stesse protagoniste a mostrarci gli effetti di questo strumento digitale che viene pennellato, nell'immaginario dell'uditorio, attraverso l'incedere di figure eteree in un movimento spontaneo al ritmo di una musica leggiadra, in sincronia con un gioco perfetto di penombre e luci, durante il simbolico gesto di depositare per poi subito levare dai palmi degli spettatori dei simbolici cuori. E' qui che la abile regia di Anna Califano mostra in pieno la sua maturità, scoccando alle nostre corde emotive un colpo degno del miglior tiratore, nel mostrarci il bisogno impellente di questa fuga mentale dei due ragazzi. Le interazioni tra gli attori sono ben coordinate attraverso scene composte in ottimo equilibrio, con scambi divertenti ed ironici nei quali di certo l’uso calibrato del dialetto campano è funzionale alla ricercata leggerezza ma anche, nelle migliori tradizioni partenopee di rappresentazione, all’ottenimento del pieno senso tragico che risulta strumentale per la denuncia chiaramente espressa attraverso tutto l’unico atto. “Meglio fallire in qualcosa che ti piace che fallire in qualcosa che non ti piace”, è la sentenza che cala la mannaia su di una realtà che è tentativo senza speranza, atto di vera denuncia di un mondo mai così complesso, competitivo e crudele per molti aspetti che, vissuto e raccontato da giovani anime, dà un senso netto della cronologia di una sconfitta. Se si apprezza decisamente lo spirito di quanto si vede in scena, nonché la perizia della preparazione, le intuizioni sceniche di ottima originalità ed un testo profondo (pur indugiando a tratti in alcuni stereotipi), si nota di contro la mancanza di un messaggio che indichi un accenno positivo e propositivo fino in fondo e che forse lascia un poco troppo l’amaro in bocca, soprattutto parlando di giovani spiriti. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 22 marzo 2023. |
Caffè ammore é pucundria con Basta un niente per lasciarsi trascinare dalle preoccupazioni, dallo stress, dai ritmi frenetici del lavoro che scandiscono le nostre giornate. Quello che mi ha sempre emozionato nella vita sono i piccoli gesti, a volte buffi, a volte goffi, di chi prova suo malgrado a farti una carezza al cuore. C’è della tenerezza e un’umanità nel preparare con cura il caffè ad una persona la mattina per farle iniziare bene la giornata… o a prepararsi delle cose buone da soli anche se si è un disastro in cucina. L’essere umano è buffo ma nasconde tanta ricchezza nei suoi piccoli gesti, nei suoi tentativi. Suo malgrado, senza risorse se non l’affetto vorrebbe aiutarti con quei pochi spicci che ha, con quella parola “un po’ più” vicina alla tua sofferenza. O quando è solo prova ad aiutarsi con delle cose “belle”, ripetendosi frasi motivazionali con tanto di soddisfacente autopacca sulla spalla. La vita ha già tutto in sé per essere raccontata e noi abbiamo voluto portare sul palco delle sue “fotografie”. Un pomeriggio in cucina qua, una mattina in stanza là, una sera a telefono qui. E tentativi. Di quando si parla con gl* amic*, o compagn*, quella luce negli occhi, quei sorrisi, quello sdrammatizzare, fare bordello e apprezzare il positivo. I problemi, le ansie, non scompaiono mica… la pucundria…però nel titolo mi sembra non ci sia solo questa parola (fonte: comunicato stampa). Teatro Trastevere Via Jacopa de' Settesoli, 3 |