Voilà l'archetipo del musical vincente, in grado di racchiudere in un sol colpo gli elementi della formula perfetta: l'opera è infatti variopinta, energica e frizzante.
Arturo Brachetti è a dir poco vulcanico, spettacolare nei suoi trasformismi-lampo, inaspettato ma apprezzatissimo anche nel canto e nella danza; i 6 ballerini sono versatili e atletici, tutti perfettamente in grado di miscelare tra loro chiari retaggi di studi classici con elementi di danza moderna, primo fra i quali il Charleston; Giulia Ercolessi, nel ruolo di prostituta vivace, garantisce effervescente comicità, pur facendo trasparire un velo di fragilità interiore, testimonianza di rara capacità espressiva; Christine Grimandi, Cristian Catto, Fabio Bussotti e Niccolò Minonzio esprimono una sobrietà posturale e vocale in grado di bilanciare perfettamente il contesto trasgressivo e multicolorato tratteggiato dal Kit Kat Club, locale eccentrico ove agiscono i protagonisti tutti (la prima, peraltro, colpisce anche per le sue incredibili doti canore); l'organico musicale - composto da 4 musicisti - garantisce virtuosismi esecutivi rigorosamente suonati dal vivo, come si conviene ad ogni musical che si pretende definire tale (fanno eccezione alcune orchestrazioni corali, ovviamente pre-registrate). Infine, c'è Diana Del Bufalo, che riunisce in un sol colpo tutti gli elementi sopra descritti: ballerina, attrice, singer, spicca come di consueto quando si dedica al canto, colpendo anche l'immaginario collettivo con una performance attoriale in bilico tra ammiccante sensualità e candida innocenza. Si aggiungono elementi di danza, evidentemente impartiti da Felice Lungo, Capo Balletto, che esprimono grande impegno e immutata passione. A latere, il musical persegue anche l'intento di informare: non tutti sanno, infatti, che prima dell'avvento nel Nazismo, Berlino era meta e ristoro per tanti “uraniani”, cioè persone che godevano dell’ascendente di Afrodite Urania, protettrice degli omosessuali (oggi il termine è desueto, sostituito dall'acronimo LGBTQ+). La Germania tutta, invero, già a partire da fine Ottocento, era infatti largamente nota per la sua apertura e accettazione di gay, lesbiche e trans, stampando riviste a tema omosessuale, producendo diversi film specifici di successo, addirittura riassegnando il genere sessuale presso una clinica specializzata unica in tutta Europa. Hitler e i suoi seguaci - come correttamente evidenziato dalla regia di Luciano Cannito e dello stesso Brachetti - soppressero tutto ciò, dando vita al periodo oscurantista poi tristemente consegnato alla storia. L'opera è adatta anche ad un pubblico di minori, pur rigorosamente accompagnato, stante la presenza di turpiloquio, sebbene limitato (invero, del tutto gratuito) e di allusioni piccanti piuttosto ricorrenti (stavolta necessarie, in ragione dell'esigenza primaria di descrivere con efficacia la compagine anticonformista ed eterodossa che connotò periodo storico e area geografica sopra descritti). La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 18 ottobre 2023 |
FABRIZIO DI FIORE ENTERTAINMENT |