Lucida follia è quella raccontata dal drammaturgo Giuseppe Manfridi, con un testo per sole attrici, nell'opera La castellana, un noir,
dove Eszrébet Bàthory, contessa ungherese vissuta tra la fine del 500 e l'inizio del 600, narra le vicende che le hanno valso l'appellativo di "più grande serial killer della storia" (sembrerebbe che le sue vittime siano state oltre 600). Nella rappresentazione, in scena nella suggestiva location della Casina di Raffaello, vengono rievocati i momenti conclusivi della abietta vita della nobildonna, quando gli armigeri inviati dall'imperatore entrano nel suo castello per arrestarla. Questa assassina seriale, ritenendo che il sangue di giovani vergini l'avrebbe preservata dall'invecchiamento, per soddisfare la necessità di inseguire la bellezza anche a costi altissimi (tema peraltro molto attuale) sacrifica centinaia di fanciulle, adescandole nel suo castello con la scusa di offrire loro rifugio e lavoro. L'austera contessa sa bene che le sarà riservata una sorte orrenda (murata viva) che offende la sua dignità e per questo maledice chi non comprende che la bellezza perenne è "un suo diritto". Come non rivedere in questi atteggiamenti la ricerca affannosa del bello che dilaga nell'attuale società e che quindi rende questo testo sempre attuale. Tema caro a Manfridi è l'insondabile umano che, anche in questa rappresentazione, riesce ad essere perfettamente cristallizzato. La messa in scena dell'opera è affidata a Melania Fiore che domina da sola il palco, dando vita ad una contessa indomita e fiera dei suoi privilegi di casta. E' infatti sdegnoso il piglio con cui in modo sprezzante si rivolge all'invisibile paggio nano Janos, terrorizzato da tanta crudeltà e dalla sorte che lo attende. Melania Fiore incarna perfettamente il narcisismo della protagonista, il suo fare è aristocratico ed i suoi occhi fiammeggianti. Un personaggio, che per sua natura, non solo di solito non è ben accolto dal pubblico (difficile ispirare simpatia quando la crudeltà e l'alterigia trasudano da tutti i pori!), ma che corre il rischio, anche per la complessità del testo di Mafridi, di essere troppo sopra le righe. A Melania Fiore va dunque il merito di essere riuscita a far emergere quel poco di umano che, nonostante tutto, alberga in fondo all'animo della contessa. Molto bello l'abito scarlatto indossato dalla protagonista in contrasto con la sua carnagione diafana, quasi a materializzare tutto il sangue versato dalle giovani donne per le velleità della nobildonna. L'opera, anche per il suo costrutto lessicale, riesce ad evocare dinamiche psicologiche che coinvolgono lo spettatore, affabulato dalla creatività di Manfridi, capace di generare momenti di empatia per una pluriassassina. Una storia vera raccontata in un monologo forte per la tematica, emozionante per l'interpretazione, denso di enigmi. La splendida Casina di Raffaello completa con una cornice quattrocentesca tutta l'opera. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 5 agosto 2022. |
La castellana, un noir |