Decisamente ricca ed interessante è l'esperienza che Stefania Porrino, grazie alla sua autobiografica presentazione ed alla mise en espace della sua premiata opera "Il Rondò del Caffè Ristoro", ha regalato stasera, ad un ristretto ma grato pubblico, al Teatro di Documenti.
Un debilitante e limitante malanno (si spera passeggero) ha impedito la partecipazione della nota scrittrice, poetessa e saggista Dacia Maraini. Quello che avrebbe dovuto essere un dialogo a due, si è così tramutato in un illuminante monologo in cui la figura di Dacia Maraini è risultata, comunque, decisamente presente (anche per mezzo di una breve telefonata in viva voce). In qualità di ex docente dell' autrice, nonché suo modello ispiratore, è risultata infatti, attraverso una lectio di una pagina di appunti dei suoi insegnamenti (gelosamente ed accuratamente conservata per ben quarant'anni), il perno sostanziale, cardine dell'intero programma. Vari gli spunti di riflessione offerti da Stefania Porrino, spesso conditi da una linea di pensiero protesa al femminismo, quest'ultimo inteso in un'accezione edulcorata (maturamente elaborata), improntata su una presa di coscienza di peculiarità specifiche, più che di differenze tra i due universi, maschile e femminile. Ha innanzitutto premesso che fare del teatro e della scrittura la propria professione è una vera sfida, un salto nel vuoto che corrisponde ad inoltrarsi in un vicolo non esattamente cieco ma quantomeno "orbo". Ha voluto sottolineare l'importanza della lingua e del linguaggio teatrale, che deve cercare sensualità e simbolismo e tentare sempre di rinnovarsi. Ha quindi affermato che i dialoghi, per tenere alta la partecipazione dello spettatore, abbisognano di una sorta di concatenazione tra le frasi di cui sono composti, che devono essere conclusive delle precedenti ma propedeutiche alle successive. La costruzione della psicologia, piuttosto che della tipologia dei personaggi, poi, deve avvenire attraverso le mutue interazioni, senza una loro descrizione didattica: gli attori possono così mostrarsi ad un pubblico che ha quindi l'opportunità di conoscerne i differenti caratteri, lentamente ma in una forma più profonda. Ha terminato il suo intervento dando enfasi al diktat, che prevede che la costruzione della struttura, della trama, dell'evoluzione, dell'apice e della conclusione dell'opera, deve risultare perfettamente chiara e delineata nella mente dell'autore, ben prima della stesura della prima singola parola. Il trait d'union tra la disquisizione iniziale e la piece messa in scena dagli attori della Compagnia del Mutamento, risiede nel fatto che questo sia il testo splendidamente "didattico" che Stefania Porrino ha scritto per mettere a frutto gli insegnamenti ricevuti (anche dalla scuola di Eduardo De Filippo). La modalità di mise en espace è stata una scelta adeguata, sia per le dimensioni del teatro (deliziosamente, romanticamente e nostalgicamente minuscolo, privo di un vero palcoscenico), sia per il risalto che l'assenza di scenografia e costumi dona al testo. Nient'affatto marginale l'abilità degli attori, i quali, accompagnati da una composizione discreta (ed essenziale) di musiche e suoni per chitarra classica, accompagnata soltanto da qualche gioco di luci ed ombre, sono riusciti a trasmettere con efficacia il messaggio insito nella sceneggiatura. L'autrice, attraverso una trasposizione tra la scrittura e la musica, ha raccontato, in parte autobiograficamente, quelle che sono le dinamiche che intercorrono tra il maestro e l'allievo (rectius, la maestra e l'allieva). Ottima la presenza scenica e la cura della voce e dell'espressività recitativa dei due personaggi maschili, che hanno gestito con audacia interpretativa il "palcoscenico" e sono riusciti ad esprimere al meglio la simbologia accordata ai loro ruoli. Le tre donne hanno incarnato altrettante generazioni, ognuna ad un diverso livello di preparazione e di "immersione" nel mondo della musica classica, ma tutte con una condivisa, forte passione. In tempi e modi diversi, sono giunte alla conclusione che l'espressione artistica, per quanto talentuosa, affinché risulti efficace, esige impegno, cura, studio, abnegazione, costanza e forse, un pizzico di follia e di incoscienza. Raggiungere l'obbiettivo non è quindi solo il creare ma anche l'esprimere con incisiva adeguatezza il proprio moto interiore, attraverso la non trascurabile tensione verso la bellezza. Le loro vite si intrecciano, confrontandosi, per poi districarsi autonomamente e parallelamente, anche se unite da un legame che mai si scinde. Quello tra l'insegnante ed il suo adepto è infatti indissolubile, soprattutto nell'universo dell'arte: questa, in ogni sua declinazione, è un'onda emozionale che necessita, per la ricerca di un equilibrio interiore, di una valvola di sfogo e colui che accompagna e guida nei processi atti a darle forma e vita, utilizza, suo malgrado, quella che viene definita la memoria emotiva, che pone le radici nei nostri ricordi, carnalmente e permanentemente. Ma l'artista affermato è, nonostante il proprio successo, comunque un'anima in continuo fermento e vive la propria inquietudine in maniera alternativa. Matura in lui il bisogno di rendere immortale la sua opera, il suo stile, la sua mano, la sua impronta, tramandando la sua essenza, trasmettendo il suo spirito e la sua anima artistica al discepolo. E' prigioniero di una sorta di pulsione che lo spinge a trasfondere la sua arte ed il mezzo di cui si avvale, è l'insegnamento. Questa nobile attitudine può essere vissuta in maniera passiva: "io sono la mia opera e sono qui, affianco a te, mio allievo... osservami, studiami, emulami, impara dal maestro e perpetua la mia arte". Oppure attivamente, applicando un differente approccio: "noi siamo qui, insieme, viaggiando verso l'obbiettivo comune della individuale realizzazione; io ti guiderò, ti mostrerò gli strumenti, te li fornirò e ti aiuterò ad usarli, anche attraverso lo scambio e cresceremo entrambi, condividendo le emozioni e le modalità e le tecniche con cui esprimerle". Il messaggio di fondo, tuttavia, rimanda ad una responsabilizzazione dell'artista, che deve prendere coscienza del fatto che i maestri si possono emulare, seguire o addirittura idolatrare ma anche che il solco del percorso individuale deve essere tracciato in autonomia, prendendo contatto con la propria interiorità, con il proprio più intimo io, condividendo le emozioni che ne scaturiscono, attraverso la più nobile delle arti, la comunicazione.
Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 27 aprile 2022.
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Il Rondò del Caffè Ristoro di Stefania Porrino con il supporto di Dacia Maraini con il patrocinio: - del Conservatorio di Musica "Licinio Refice" - dell'Accademia di Belle Arti di Frosinone in collaborazione con il Centro Studi "Vera Pertossi" messo in scena dalla Compagnia del Mutamento
TEATRO DI DOCUMENTI via Nicola Zabaglia, 42 Roma
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Spettacolo per bambini: Il costo dei biglietti varia da € 7,00 a € 10,00 - Tessera (solo per gli adulti) € 3,00 Orario degli spettacoli: da martedí a sabato ore 20.45 domenica e festivi ore 18.00. Gli spettacoli per bambini iniziano alle ore 15.45 Prenotazioni ed informazioni: da lunedí a venerdí dalle 10.30 alle 18.30
Il Teatro di Documenti si raggiunge con i seguenti mezzi pubblici: Treno: Stazione FS Ostiense, Stazione FS Lido Metro: B Piramide Bus: 3 – 23 – 30 – 75 – 83 – 170 – 280 – 716 – 718 – 719 – 781 La pista ciclabile “Roma Testaccio - Cimitero Acattolico - Colosseo” passa davanti al Teatro di Documenti
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