Scritto da Mariarosa Gallo Sabato 15 Marzo 2025 09:48 Letto : 1513 volte
Gabriel Calderon si erge come un regista visionario, capace di fondere metateatralità e introspezione psicologica in un’opera che indaga con raffinato acume le pieghe più recondite dell’identità e dell’ambizione. Il palcoscenico si trasforma in un laboratorio dell’anima, dove il confine tra realtà e finzione si fa labile, quasi evanescente, in un gioco in cui l’attore medita sul prezzo della propria trasformazione. La narrazione ruota attorno alla figura di un interprete, in questo caso Francesco Montanari, noto per la sua intensità e versatilità, che offre una performance complessa e sfaccettata grazie alla sua capacità di entrare in contatto con le emozioni più crude e sottili del suo personaggio rendendo ogni movimento, ogni battuta, un atto di forte coinvolgimento emotivo. Montanari non si limita a interpretare un uomo che combatte contro una pulsione bestiale ma incarna l’esistenza di un essere umano intrappolato tra il desiderio di controllo e l’impossibilità di dominarne le forze interne. La sua lotta diventa metafora di una ricerca di potere e di significato in un mondo che sembra sfuggirgli continuamente. Investito dal desiderio di emergere, avendone finalmente l'opportunità, assume il ruolo di Riccardo III e, in tal modo, si abbandona a una ineffabile metamorfosi che lo muove ben oltre il mero atto recitativo. In questo percorso, l’individuo si perde tra le molteplici sfaccettature del potere e della disperazione, diventando al contempo artefice e prigioniero della propria ambizione. Nel cuore della narrazione, il cinghiale rappresenta efficacemente l'allegoria di quella energia incontrollabile e primitiva che attraversa l’essere umano. La figura dell'irsuto suide, infatti, diventa il vettore per esplorare le contraddizioni dell’uomo moderno: la violenza, la primordialità, la necessità di sopravvivenza, ma anche la sua solitudine e il desiderio di redenzione. Il protagonista, interpretato magistralmente, è un uomo che sembra incarnare questo stesso conflitto. Sebbene la sua lotta esteriore contro la bestia indomita sembri il motore della narrazione, l’aspetto più potente del dramma risiede nel confronto tra la natura e la civiltà, tra l'istinto e la ragione. Calderon, attraverso la sua direzione, che sa essere tanto essenziale quanto profondamente evocativa, dispone una scenografia minima e un gioco di luci che, con tagli netti e ombre penetranti, crea un’atmosfera claustrofobica e surreale. Ogni elemento scenico, ogni mascheramento, si carica di significati simbolici, rendendo il teatro un luogo in cui la parola e il silenzio dialogano in maniera intensa e inesorabile. La recitazione, di una forza emotiva straordinaria, contribuisce a scandire l’opera trasformandola in un’esperienza quasi ipnotica. L’attore protagonista, immerso in una spirale di desiderio e disperazione, incarna con verosimiglianza il tormento interiore di chi, nella ricerca di sé, rischia di smarrirsi nelle pieghe della propria apparenza. L’influenza shakespeariana è palpabile e dirimente; la figura del leggendario monarca ambizioso e crudele che pur di ottenere il potere è disposto a sacrificare ogni principio morale, emerge come un parallelo silenzioso ma potente. Così come il sadico Re è consumato da una inarrestabile brama di potere e dalla consapevolezza della sua stessa corruzione, anche il protagonista di questo spettacolo sembra intraprendere una discesa verso il tunnel dell'autodistruzione, senza poter sfuggire alla propria natura di personaggio che persegue la sua brama di potere a tal punto da trascurare ogni altro aspetto della sua umanità. Allo stesso modo, il "cinghiale" di Montanari, nel suo atteggiamento nichilista, sembra essere guidato da un impulso che lo porta a cancellare ogni traccia di civiltà e di razionalità configurandosi non solo come una rivisitazione del dramma del Bardo ma anche come una meditazione profonda sul ruolo dell’attore e più ancora dell'individuo con l'ineluttabile peso della propria ambizione. Con una lingua sofisticata e una direzione che disvela crudamente le ombre dell’animo umano, Gabriel Calderon, in questa drammaturgia, offre al pubblico una pièce provocatoria e lirica, capace di rimanere impressa nella mente e nel cuore degli spettatori. In definitiva, un potente monito di riflessione sulla fragilità dell’essere e sulla perpetua ricerca di una verità celata dietro le apparenze ingannevoli del potere e della fama. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 14 marzo 2025 |
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