Questo su Rino Gaetano non è l’ennesimo libro biografico sul cantautore nato a Crotone e poi trapiantato a Roma. O meglio: lo è in parte ma con un’impostazione innovativa che abbraccia varie sezioni.
Si va dall’ottima prefazione di Pasquale Panella (il paroliere dell’ultima produzione di Battisti) a quella della dinastia Micocci, padre e prole: ossia il Gotha della label “It” fondata da Vincenzo, con pochi soldi, ma con un oceano di fiducia verso i nuovi cantautori che scovava in qualche rara sortita al notissimo locale capitolino “Folkstudio”, oppure tra le file di aspiranti che facevano anticamera fuori del suo ufficio, collocato sulla collina Fleming di Roma. L’incontro tra il discografico e Rino ha fortuite coincidenze, in quanto l’artista, quella sera fatidica, si convinse di cantare per la prima volta nel citato locale, dopo insistenza di vari amici e conoscenti, tra cui Antonello Venditti, che già si stava affermando con De Gregori sotto l’ala coccolante di Micocci, che rimase particolarmente persuaso ed incuriosito, non solo dalla particolarità dei pezzi proposti ma anche dal graffio vocale e spirituale di Rino, nel quale subito credette fermamente. Su Rino Gaetano si cominciarono presto a coniare le prime definizioni del tipo: “Il Petrolini della musica italiana” o il “Cantabarista”, ma il ragazzo rimaneva sempre solido sulle spalle, in quanto non ancora pienamente convinto di cantare i suoi brani, pensava più di venderli ad altri. Prese fiducia da Venditti (che gli produsse il primo 45 giri “I love you Maryanna”) ma, ancora incerto sul da farsi, scelse lo pseudonimo di Kammamuri’s. Nonostante non riscuotesse il consenso sperato, Rino confidò a Micocci di ambire ai primi guadagni per regalare una casa ai genitori e comprarsi un’automobile, poiché si spostava solo con l’autobus (tra cui il mitico “60” notturno che percorreva la via Nomentana). Da qui avviene la svolta che dona grande convinzione e slancio morale al Nostro: Micocci stacca un assegno di imprecisato valore che gli fa brillare gli occhi, con la promessa di buttarsi ora, anima e corpo, in quello che diverrà il suo lavoro di cantante. La grande parte del libro, scritto da Stefano Micocci e Carlotta Ercolino (ed edito da Terre Sommerse) è strutturata con 230 pagine dialogate e romanzate (in parte vere e in parte fantasiose) dei personaggi che hanno ruotato intorno a Salvatore Gaetano, detto Rino. Per le donne si è fatto ricorso simbolicamente a quelle citate nelle sue canzoni: Aida, Berta, Gianna. Il racconto si snoda su trame fluide ed appassionanti benché, in qualche passaggio, ci siano improvvisi cambi di tempo per descrivere l’aneddotica da un disco all’altro. Ci si rende conto, però, che una certa sintesi doveva essere scelta a vantaggio di una narrazione più serrata ed accattivante.
Chiudono il sostanzioso volume di 411 pagine le testimonianze e i gustosi amarcord dell’ormai divenuto amico fraterno Venditti, di De Gregori, di Ron e logicamente dei Micocci. Appendice a parte se la concede Stefano, con dediche appassionate verso la lunga schiera di artisti ed autori che hanno orbitato nell’entourage: da Lucio Dalla a Franco Califano, da Giancarlo Bigazzi a Gaio Chiocchio. L’elenco è vastissimo e farà riflettere molto su quanta arte qualitativa ci hanno lasciato in eredità. Evidentemente, il mito di Rino Gaetano era già scritto nel firmamento perché il tragico schianto sulla Nomentana (come quello analogo di Fred Buscaglione), ci ha portato via un insolito artista che, con la sua coraggiosa timidezza e il suo immenso estro, geniale e profetico, resterà sempre vivo nei nostri cuori con sorprendente attualità.
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Editore: Terre Sommerse Pagine: 411 p., ill. Uscita: 2017 EAN: 9788869010682
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