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Iron Maiden: I Numeri Della Bestia Festeggiano 30 Anni

La formazione degli Iron Maiden del 1982. Da sinistra verso destra: Steve Harris (basso) Clive Burr (batteria), Bruce Dickinson (voce), Dave Murray (chitarra) e Adrian Smith (chitarra).

Quando usci’ The Number of The Beast, terzo studio album degli Iron Maiden, io non ero ancora nato, - anche se mancavano solo pochi mesi – ma l’influenza che ha avuto sul sottoscritto è stata forse di poco meno superiore a chi visse quell’epoca d’oro del rock Made In Uk. Rilasciato dalla EMI Records il 22 marzo 1982 e successivo di due LP che definirono lo stile della “Vergine di Ferro”, questo album ha presentato al mondo il nuovo cantante Bruce Dickinson, proveniente dagli altrettanto seminali Samson (sempre della gloriosa ondata di band New Wave of British Heavy Metal) ed un suono sicuramente meno logoro e privo di quell’attitudine punk (ma dall’impianto melodico più definito) tanto cara al dimissionario singer Paul DiAnno. Un disco che almeno a parere di chi scrive non è considerabile come il capolavoro assoluto della band londinese, ma sicuramente il più famoso e iconico, quello che tre decadi dopo semina ancora proseliti e devoti tra i metal maniacs di tutto il pianeta.
Otto tracce (che diventeranno nove nella ristampa del 1998, dove fu aggiunta la b-side “Total Eclipse”), una copertina che è entrata nella leggenda ed una serie di hit single che hanno concesso agli Iron Maiden di entrare definitivamente nella storia del metal mondiale, nonostante la carriera fosse ancora all’inizio. Simbolica all’interno della raccolta è sicuramente “Run To the Hills”, rilasciata il 12 febbraio 1982 e che fu il singolo anticipatore delle release, diventando da subito un classico radiofonico. Scritta da Harris, la canzone è un inno a favore degli Indiani d’America, depredati (ma anche uccisi e stuprati) delle loro terre e della loro cultura dall’uomo bianco, pronto a colonizzare il continente verso un futuro proiettato al consumismo, perdendo però la purezza delle loro origini. I versi d’apertura in tal senso restano eloquenti, con la voce squillante di Dickinson che è supportata in maniera magistrale dalla sezione ritmica e dal potente giro armonico della chitarra:

White man came across the sea
Brought us pain and misery
He killed our tribes he killed our creed
Took our game for his own need




La copertina ufficiale del singolo di “The Number of The Beast”, pubblicato dalla EMI Records il 26 aprile 1982

 

Ma il disco presenta almeno altri due brani che tutt’oggi sono acclamatissimi nelle esibizioni dal vivo del gruppo: la title track e “Hallowed Be Thy Name”. La prima, nota per il poderoso acuto di Dickinson che, secondo le dichiarazioni che lo stesso cantante rilasciò nel documentario dedicato all’album per la serie di DVD “Classic Rock”, fu fortemente voluto dal produttore Martin Birch per mostrare tutte le abilità tecnico/compositive degli Iron Maiden, la seconda invece, posta in chiusura e della durata di oltre sette minuti contiene uno dei testi più ispirati che si siano mai ascoltati in un brano heavy: nel pezzo infatti si narrano le ultime ore di vita di un condannato a morte, che dapprima si dimostra rassegnato al suo triste destino, ma che poi si convince che l’esecuzione sarà solo l’inizio di una nuova vita nell’aldilà. Una cavalcata nello stile più classico del metal britannico con un intermezzo strumentale da tramandare ed arricchito da due splendidi soli di chitarra (il primo di Dave Murray, il secondo di Adrian Smith) con un’interpretazione teatrale generale al limite della perfezione, che rendono al meglio il climax lirico all’ascoltatore. Ma sono anche altri i pezzi che meritano segnalazione: “Childer of The Damned” ad esempio, è una canzone articolata e stratificata che prende ispirazione dal film del 1963 Il Villagio dei Dannati; “The Prisoner” è tutt’oggi apprezzabile per una serie di soli di chitarra magistrali e per il drumming pulito e preciso di Clive Burr (alla sua ultima prova prima di essere allontanato), che si ripete con un intro ben eseguito nella meno nota ma altrettanto riuscita “Gangland”.


The Number of The Beast, almeno a detta dei più maligni, coincide con la fine del regime dittatoriale creativo creato dal fondatore/bassista Steve Harris in favore di un lavoro più organico, anche se giocato principalmente dal dualismo con Dickinson, è farà volare direttamente il quintetto al primo posto delle classifiche inglese (arginando anche il dominio mondiale di Thriller di Michael Jackson) ed è a conti fatti una pietra miliare del rock duro britannico, per molti critici l’ultimo vagito della scena prima di una lenta agonia e conseguente morte. Il resto della storia è scritto e probabilmente conosciuta da tutti coloro che stanno leggendo, ma a livello di immaginario tutt’oggi, il nome degli Iron Maiden è essenzialmente abbinato a questo full length, destinato tra trenta anni ad essere altrettanto acquistato, celebrato ed ascoltato come oggi, come nel 1982. Maya permettendo, chiaro.


01. Invaders
02. Children of the Damned
03. The Prisoner
04. 22 Acacia Avenue
05. The Number of the Beast
06. Run to the Hills
07. Gangland
08. Hallowed Be Thy Name
La versione Remastered uscita nel 1998 per la EMI Records include il brano “Total Eclipse”, nella tracklist posizionata alla numero 08.

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