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Black Sabbath: 40 Anni di Storia in Salsa Heavy

Era il 13 febbraio del 1970 quando l’etichetta Vertigo dava alle stampe il primo disco di una promettente ed “oscura” band di Birmingham.

Quell’album, fatto di atmosfere plumbee e malate, ben orchestrate dalla voce oltre tombale e sguaiata di un certo Ozzy Osbourne e dai riff affilati e disturbati della chitarra di Tony Iommi, inizia con una pioggia scrosciante accompagnata da rintocchi di campane, un pioggia scosciante e qualche nota di basso e batteria tribaleggiante, come se fosse l’iniziazione di un rito. Il pezzo in questione è anche quello che da il nome a questo giovane ma artisticamente già maturo quartetto inglese: “Black Sabbath”. Oggi, passati esattamente 40 anni da quell’album, riconosciamo tutti, addetti ai lavori e semplici fan, la grande importanza che quell’intro cosi malato ed oscuro, di come abbia influenzato qualsiasi forma e sottogenere di Heavy Metal e non solo, ma allora, un sound cosi “difficile”, soprattutto in un momento storico fatto di Rock politico e Hard da stadio, sembrava destinato ad essere cestinato nel giro di qualche promo show e copie del vinile a prendere polvere sugli scaffali dei negozi di dischi. Poco più di 8 mesi dopo, esattamente il 18 settembre 1970, i Black Sabbath ci riprovano, con la consapevolezza che il primo album, seppur pieno zeppo di grandi canzoni e tecnicamente articolato, non avesse ancora smussato tutti gli angoli della propria proposta, risultando ancora spigoloso per le masse e caratterialmente immaturo. Il secondo disco del sabba nero è quindi Paranoid, assoluto masterpiece del Rock duro con la title track che sarà uno dei brani più coverizzati della storia della musica moderna e con un riff clonato da milioni di chitarristi Metal. E l’inizio della scalata verso l’Olimpo del Rock, quello dove dentro ci stanno già di diritto formazioni come Deep Purple e Led Zeppelin, e che vedrà l’entrata della band solo nella primavera del 1971, con la conquista del territorio americano: prima con la pubblicazione del disco oltreoceano e poi, con un tour di spalla ai Grand Funk Railroad, idoli generazionali assoluti dei 51 stati uniti che spesso verranno però oscurati dal pragmatico carisma di Osborune e dalla coesione unica del resto della band on stage.

Ma Paranoid non è solo il brano che da il titolo al disco, ma anche “Iron Man”, con una delle architettature chitarristiche più affascinanti che le 6 corde ci abbiano donato, la strumentale jam session “Rat Salad”, che mette in mostra tutti i muscoli e la creatività della batteria di Bill Ward, la ballata psichedelica “Planet Caravan” (tanto per tornare agli influenzati, la celeberrima cover dei Pantera vi dice niente?) e la monumentale e iniziale “War Pigs”, metafora sull’impegno guerrafondaio degli Stati Uniti in Vietnam, il tutto prodotto dalla lungimirante mente di Roger Bain, un abecedario della musica Heavy mondiale insomma, che 40 anni dopo mantiene intatto tutto il suo misterioso fascino e furore sonoro che è destinato a durare in eterno. Divenuti popolari pur non essendolo nel senso più trasversale del termine musicale, i Black Sabbath da allora in poi continueranno il loro processo creativo senza soste, producendo lavori come l’introspettivo e stupendo Master Of Reality (da molto riconosciuto come l’apice assoluto della loro carriera) , pregno di musicalità sinistre e sempre vicine all’occulto (intraprese già col primo album, per dovere di cronaca) e Volume 4, che vede il combo di Birmingham sperimentare soluzione più vicine al progressive e ballate di chiaro stampo beatlesiano come “Changes” , con Osbourne accompagnato solo da pianoforte ed archi. Con l’uscita di Sabbath Bloody Sabbath (1973) iniziarono anche i primi dissidi interni, con Osbourne e Ward che secondo quanto dichiarato poi dal cantante, fecero uso di LSD per tutti i giorni per due anni. Nonostante ciò, il songwriting non cede mai il passo e il disco è caratterizzato ancora una volta da una musicalità complessa e incline al Progressive, accentuata dalla collaborazione esterna di Rick Wackeman degli Yes come tastierista. Per molti, i “veri Sabbath” finiscono con questo disco, anche se tutto sommato con la pubblicazione di Sabotage nel 1975 cederanno solo il fianco a refrain più fruibili (“Am I Going Insase (Radio)”) realizzando comunque un lavoro molto vario e complessivamente buono. Con l’avvicinarsi degli anni ’80 e con la nascita di musiche più elettroniche dettate dall’uso dei synth, i Black Sabbath seguono la scia col controverso Technical Ecstasy, per poi arrivare all’abbandono di Ozzy Osbourne conseguente all’ormai strabordante uso di droghe e alcol ed al suo primo rientro nel 1978 per cantare nel mal riuscito Never Say Die, che sancisce anche la fine della line-up originale per quasi 20 anni. Di fatti, Osbourne viene definitivamente allontanato dal resto della band: il primo inizierà nel 1980 una fortunata e riuscita carriera solista diventando un’icona dell’Heavy Metal mondiale, i secondi, chiameranno come singer prima Ronnie James Dio e poi l’ex Deep Purple – Ian Gillian per una serie di dischi poco fortunati dal punto di vista delle vendite ma artisticamente sempre di alto livello. Per tutta la seconda metà degli anni ’80 e ’90 il solo Iommi resterà come unico denominatore comune con la formazione originale, che si riunirà solo nel 1997 per un tour mondiale acclamato e che ha registrato sold out ovunque. Il resto è storia, col ritorno di Osbourne all’attività solistica alternata a reality show e con Iommy che col bassista originale Geezer Butler e Dio da vita agli Heaven And Hell, una sorta di Black Sabbath 2.0. Ma quello che ci premeva dire, a chi sta leggendo queste righe, e di come 4 musicisti cresciuti nei sobborghi industriali della fumosa Birmingham siano riusciti ad essere inconsapevolmente i veri e unici grandi pionieri della musica dura, influenzando pesantemente anche lo Stoner e sottogeneri come il Doom, e nelle tematiche iniziando 15 anni prima della sua riconosciuta nascita, il corso “satanico” e demoniaco del Black Metal, senza però aver mai avuto bisogno del make-up o di mostrare teste di maiale durante i concerti. Indispensabili, immortali, carismatici e unici, c’è una Rock band di oggi alla quale si possa applicare questi 4 aggettivi senza poi vergognarsene?



Discografia essenziale Black Sabbath:
1970 – Black sabbath
1971 – Paranoid
1971 – Master Of Reality
1972 – Volume 4
1973 – Sabbath Bloody Sabbath
1980 – Heaven And Hell (con Dio alla voce)
1983 – Born Again (con Ian Gillian alla voce)
1989 – Headless Cross (con Tony Martin alla voce)

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