Alan Ford
Festa Grande (n. 650)

Il ragguardevole traguardo del 650° numero di Alan Ford si sostanzia nell'ennesima cocente delusione.
L'idea di fondo dietro all'iniziativa è ottima: tributare il personaggio rievocando una moltitudine di eventi e personaggi di un tempo, ivi compreso l'indimenticato Magnus. Si tratta, evidentemente, di una emulazione di quanto fatto con efficacia nel numero 150 della serie, dove Alan e Bob entrano in contatto sia con nemici del Gruppo TNT, sia con altri personaggi creati dallo stesso Max Bunker (come Kriminal o Satanik). 
Orbene, tanto apprezzabile fu il risultato all'epoca, quanto pessimo è quello raggiunto oggigiorno.
Il pretesto è l'ormai abusato teatro newyorkese, quello delle rivisitazioni dei grandi classici letterari, all'interno del quale un Numero Uno che riveste l'improbabile ruolo di presentatore, tratteggia per sommi capi la storia della scassata gang, partendo dalle origini. 
In un susseguirsi piuttosto repentino di antiche scenette, disegnate dal puntualissimo Dario Perucca, che persegue il lodevole scopo di tributare il suo blasonato predecessore (è la prima delle uniche due note positive che leggerete in questa recensione), la storia rientra in toto tra le più disorganiche tra quelle scritte dallo storico sceneggiatore. 
Passi aver gettato al vento, ormai da tempo immemore, i tratti salienti della serie - cioè il senso del grottesco, la satira sociale, le battute argute e sferzanti, il gusto del noir, le incursioni nei generi spionistico e horror - non è certamente tollerabile stuprare tout court l'abc della sceneggiatura fumettistica, castrando la storia finanche di una labile trama.
In maniera oltremodo confusa, infatti, viene proposta una stratificazione narrativa e grafica che si sostanzia in un susseguirsi confuso e caotico di immagini tra loro completamente slegate, in un contesto generale del tutto privo di una minima ratio. Giusto per fornire un esempio, si passa dalla cocente delusione per mano di Brenda, (pag. 91) al matrimonio con Minuette (pag. 92) senza alcuna soluzione di continuità, neanche sfruttando il (pur debole) pretesto del Numero Uno oratore. Per non parlare dell'annuncio, ad opera di quest'ultimo, di una "esilarante avventura nel deserto" (pag. 75) al quale seguono vignette in un cui è raffigurata la Statua della Libertà (pag. 76). 
E le battute? Beh, non siamo neanche sui livelli di minimo sindacale: già le prime due vignette assumono una connotazione allarmante (ai lati di un teatro ci sono due cartelli: in uno c'è scritto "Ridere ridere ridere", nell'altro "Piangere piangere piangere", mentre una voce fuori campo chiede: "Cosa c'è da piangere? Cosa c'è da ridere?"), ma l'apice si raggiunge proseguendo nella lettura: "Domande di cultura a Bob: chi è Marat? Ah è morto? Come si chiamava il re? Maestà" (pag. 79); per non parlare di "è una schiappa e crede di valere due schiappe" (pag. 105) oppure "la super-spia Margot furba come una furba" (pag. 15). 
Non è finita: un conto è il linguaggio semplice e diretto, altra cosa sono gli strafalcioni grammaticali. C'è anche questo, purtroppo: passando dalla prima persona singolare alla terza singolare, per poi tornare alla prima, il Conte Oliver asserisce: "Io sono un nobile inglese che ama questo paese in cui mi sono trasferito magno cum gaudio" (pag. 113); e che dire di "una banda di fantasmi che ogni tanto si materializzano per rubare"? (pag. 100).
Insomma, il tenore dell'albo è questo.
La conclusione affidata all'intero organico gaudente, poi, si evidenzia quale quadretto familiare scontato che assume connotazioni preoccupanti allorquando i protagonisti canticchiano coralmente "Siamo tutti svegli in attesa della parte seconda".
Per grazia di Dio, anche no! 
Basta e ancora basta con questa serie che si trascina stancamente verso l'ennesimo numero povero di idee nel quale i personaggi di un tempo appaiono sbiaditi, quando proprio irriconoscibili. 
E qui, soccorre lo stesso Bunker che, a pochi giorni dalla pubblicazione del qui recensito numero 650, rilascia dichiarazioni che solleticano un certo interesse mediatico. No, nessuna ennesima rivoluzione copernicana all'orizzonte (niente tradimenti o decessi dei componenti del Gruppo T.N.T. e nessun nuovo amore in grado di minare la partnership con l'ormai storica partner Minuette), bensì la notizia che la serie (la quinta più coriacea del panorama nazionale, dopo Diabolik, Tex, Zagor e Topolino), chiuderà nel 2024, con il numero 660 (siamo così giunti al secondo aspetto positivo della presente recensione).
Durante un’intervista rilasciata al TGR Lombardia, Luciano Secchi ha infatti ammesso di essersi stancato di scriverne le storie: «Ora sto studiando un nuovo personaggio, che sostituirà Alan Ford fra dieci numeri. Con il 660, finisce lì».
Finalmente!, gli facciamo eco: la debolezza di Alan Ford, da almeno trent'anni a questa parte, poggia sulla caparbia ostinazione del milanese di identificarsi quale unico autore delle storie, rifiutandosi di affidare ad altri le sceneggiature.
Non ci vuole un mostro di intelligenza per capire che se sei un genio, la cosa dovrebbe risultare agevole, se invece sei appiattito sull'ordinarietà, la mancanza di idee e lo scivolamento verso il basso sono i rischi che vai certamente correndo.
Guardando altrove, i fatti danno torto a Bunker/Secchi e danno ragione agli innumerevoli sceneggiatori che hanno delegato ad altri la stesura delle sceneggiature. Prendiamo Tex, per esempio: le sue storie si basano da anni su punti fermi del tutto invariati, pur non risultando (quasi) mai ripetitive. Anzi, grazie a nuovi talenti (e ciò riguarda anche i disegnatori), ogni albo dello storico ranger risulta oltremodo avvincente. Nel caso di Alan Ford, invece, il disegnatore originario fu sostituito, lo sceneggiatore no. Sarebbe stato meglio l'inverso, invece, con tutto il rispetto per Bunker e tutti i successori di Magnus.   
Alla luce di queste considerazioni, non possiamo che gioire alla notizia della chiusura della serie, chiedendoci, invero, come mai questa scelta non venne fatta anzitempo.







Alan Ford, giovane grafico pubblicitario squattrinato, si reca fiducioso al suo primo appuntamento di lavoro. Purtroppo però ha sbagliato a trascrivere l’indirizzo per cui invece di trovare il suo primo cliente finisce in un fatiscente negozio di fiori, sede del più terribile gruppo di agenti segreti in attività, cioè il Gruppo TNT. Da quel giorno, quasi suo malgrado, Alan Ford inizia la sua carriera come agente segreto e contemporaneamente inizia anche una delle più originali e insolite (oltre che di successo) serie mai apparse nel campo del fumetto italiano. Uno degli elementi più innovativi in Alan Ford è quello di essere un fumetto corale, in cui i diversi componenti del Gruppo TNT hanno il loro spazio oltre che una loro personalissima caratterizzazione. Si va da Bob Rock, complessato per il suo naso prominente e la sua altezza al Conte Oliver, nobile inglese decaduto abilissimo nell’appropriazione di beni altrui e Grunf, pilota della prima guerra mondiale e inventore bizzarro del Gruppo, per continuare con Geremia e Cariatide, il primo affetto da mille mali immaginari e il secondo, che dovrebbe essere il capo in seconda del Gruppo TNT, impegnato spessissimo a dormire. Ma forse il personaggio più insolito, e non a caso tra i più apprezzati dai lettori, e’ il Numero Uno, il capo supremo del Gruppo TNT, vale a dire un vecchio paralitico inchiodato su una sedia a rotelle ma che nonostante questo è lucido, intelligente e assai furbo, oltre che di pessimo carattere. Recentemente però c’è stata una grande svolta. Tutti i componenti del Gruppo TNT eccezion fatta per Alan e il Conte Oliver sembrano perire in un incidente, ingoiati dalle acque di un fiume. A fianco di Alan, oltre a Clodoveo, adesso c’è una bella francesina di nome Minuette Macon che l’aiuta a gestire la nuova attività ufficiale “Agenzia T.N.T.investigazioni a prezzi modici”. Le avventure di Alan Ford e il Gruppo TNT si muovono tra umorismo, avventura e una tagliente satira della società attuale, permettendo così la possibilità di più livelli di lettura, in cui non mancano, oltre al divertimento, elementi di riflessione. L’originalità della serie è anche testimoniata dalla difficoltà che inizialmente ebbe per imporsi presso il grande pubblico. Infatti il grande successo arrivò ben due anni dopo la sua prima apparizione, in particolare con la trilogia che vede i nostri eroi lottare contro Superciuk, il bandito alcolizzato che ruba ai poveri per dare ai ricchi, primo di una serie di nemici incredibilmente bizzarri. Nell’arco degli anni Alan Ford ha saputo evolversi adattandosi al mutamento dei tempi, cosa questa che lo rende ancora, a distanza di quasi trent’anni dal suo esordio, estremamente attuale.
Fonte: sito ufficiale di Max Bunker

 


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